Molti sostengono che l’origine della proprietà della comunità di Barga su circa 900 ettari di terreno sul versante modenese dell’Appennino sia dovuta alla generosità di Neri da Montegarullo, signore di Roccapelago, o per volontà di suo nipote Obizzo di Cortesia. Non esistono documenti al riguardo ma solo valutazioni circa i rapporti amichevoli che Neri ebbe con Barga e con Firenze a cui resero servizio, sia lui che Obizzo, come mercenari.
L’ipotesi cade definitivamente leggendo gli atti del processo del 1374 seguito alla rivendicazione di tale territorio promossa dallo stesso Obizzo.
Il processo si aprì il 5 luglio nel castello di Barga, affidato al giudizio del potestà del luogo, il fiorentino Lapo di Fornaino de’ Rossi.
Furono nominati i notai per assicurare la correttezza delle procedure. Essi raccolsero le prove e le testimonianze proposte dalle parti e predisposero i capitoli su cui sarebbero stati chiamati a rispondere i testimoni.
Obizzo, forse deluso dai contatti preliminari ricercati con Firenze, non produsse prove né testimonianze a sostegno della rivendicazione avanzata a nome suo e del Marchese di Ferrara, rassegnandosi così ad un verdetto sfavorevole.
Vennero così definiti i capitoli nei quali si affermava tra l’altro:
-l’esistenza di alcuni privilegi imperiali di Federico II che attribuiscono alla comunità e alla totalità di Barga, terre e beni che sono al di là delle Alpi,
-di un documento papale di Gregorio IX in cui si precisano i confini della Garfagnana in cui, in particolare, vi sono indicati due termini, quello di Cerri (Cerro di Meloto posto alla confluenza dell’emissario del lago Santo con il rio Tagliole) e quello di Colle lungo (Collettone o Costa del Terzino) per delimitare le proprietà che la comunità di Barga possedeva al di là dall’ Alpe,
-di un contratto del 1270 con il quale il comune di Barga vendette all’Ordine di Altopascio il pascolo al di qua e di là delle Alpi fino al luogo detto “Corte Vecchiani”,
-di un contratto del 1296 con il quale il comune di Barga vendette, per cinque anni, a Vitale Lupardi il pascolo di qua e di là delle Alpi presso il Collelungo e Verrucole,
-di contratti del 1288, del 1291, del 1306 di vendita del pascolo delle suddette Alpi,
-che la gente di Barga aveva da tanto tempo, di cui non esisteva memoria contraria, il possesso dei luoghi contestati e ne aveva sempre disposto liberamente.
-che l’Alpe di Barga confinava con la comunità di Coreglia e di Fiumalbo nel luogo detto Cerro di Meloto, con le terre lavorative di Roccapelago nel luogo detto Collelungo, con il termine di Cigerana (Ceserana) e con la Verrucola.
Furono interrogati 19 testimoni, tutti di parte garfagnina. Ognuno di essi rispose sui suddetti capitoli, per la parte a lui nota. Dal verbale delle testimonianze si ricavano interessanti elementi di conoscenza della zona contestata e delle attività che vi si svolgevano.
Guido di Duccio (di Ceserana) affermò l’esistenza di privilegi concessi ai Barghigiani per averne avuto notizia da un vecchio uomo di nome Vitale, detto Malpezzo di Ceserana. Descrisse i beni posseduti da Barga comprendenti le Alpi Cocere, la valle Colombere (oggi nota come Valcolombra nella zona compresa tra S. Bartolomeo e il Saltello) e, di là dall’Alpe, una certa selva detta Selva Romanesca.
Disse che da oltre 60 anni aveva visto molte persone di Ceserana trascinare con buoi legname da una selva posta vicino a quella di Barga e di aver udito che anche i barghigiani trascinavano legname dalla Selva Romanesca.
Confermò inoltre i termini di confine indicati per averne avuto notizia da Vitale Luperti.
Gualdo Ture (di Ceserana) testimoniò di essere stato per oltre 50 anni al servizio di maestri legnaioli di Barga che lavoravano nella Selva Romanesca, la quale apparteneva a Barga come affermava la gente di Coreglia, di Ceserana e della Garfagnana.
Berto Menchi (di Ceserana) disse di aver condotto le sue bestie al pascolo nell’alpe assieme ad un vecchio di nome Galgano di Castro. Nell’occasione Galgano gli indicò i confini delle terre di Barga che coincidevano con quelli descritti nel capitolo.
Lenno Contri detto Resta confermò l’antico uso fatto dai barghigiani della Selva Romanesca ed i suoi confini.
Guidotto Pellegrini di Albiano, Bartolo Benincasa, Domenico Orsoni (di Albiano) confermarono in sostanza le attività praticate da tempi antichi dai barghigiani nella Selva Romanesca, quali il pascolo, la lavorazione di doghe ed altri legnami e il loro traino con buoi.
Guccio di ser Jacopino dichiarò che 60 e più anni prima suo padre aveva costruito una sega ad acqua nella Selva Romanesca a confine con il territorio della comunità di Coreglia. L’impianto traeva l’acqua dal fiume detto delle Tagliole e vi si recavano per tagliare tavole alcuni maestri falegnami coreglini ed altre persone.
Turo Guidotti, Villanetto di Colucci, Antello Tebaldini (di Coreglia) confermarono di aver lavorato legname nella Selva Romanesca di Barga su licenza di detta comunità.
Piero di Menconi (di Coreglia) riferì tra l’altro che il signore Francesco dei Castrucci si era recato a cavallo a Montefiorino del Frignano e perché più comodamente potesse andare e tornare, comandò a certi uomini di Coreglia di attenderlo presso il monte Verrucola in un posto situato tre miglia entro le alpi della comunità di Barga.
Piero Tomei, Arriguccio Ducci e Pellegrino Guidotti affermarono in sostanza di aver lavorato legnami su licenza del comunità di Barga nella zona della Verrucola e confermarono i confini della proprietà barghigiana, dalla Bruciata al Collelungo e da questo al Cerro di Melotto. Tali confini erano stati loro indicati da pastori di Coreglia che pascolavano i loro animali assieme a quelli di un signore di Altopascio in un luogo detto Lago Santo.
Duccino Pacionchi testimoniò di aver guidato Francesco dei Castrucci alla Verrucola nel territorio di Barga. Disse inoltre che, per pubblica voce e fama, Collelungo e Cerro erano termini indicati in un privilegio papale rilasciato alla comunità di Barga.
Lenzo Ceschi ricordò di aver pagato, assieme ad altre persone di Coreglia, gabelle per aver lavorato legnami e fatto pascolare i suoi animali in una zona detta Pian di Gorgo (Diaccioni) nella selva della comunità di Barga. Descrisse inoltre i confini delle comunità di Coreglia, Fiumalbo e Barga presso il termine di Cerro di Melotto.
Giovanni Casugli riferì di aver lavorato su licenza della comunità di Barga nella Selva Romanesca a produrre doghe da bigonci. Disse inoltre di non aver mai udito che quelli di Montegarullo avessero qualche parte in quella Selva.
Barsuglino Bonanelli (maestro falegname di Coreglia) disse che ancora nel trascorso mese di giugno stava lavorando bordoni nella Selva Romanesca su licenza della comunità di Barga. Confermò i confini tra Coreglia, Fiumalbo e Barga presso il Cerro di Melotto e tra Ceserana, Roccapelago e Barga presso il Collelungo per averli appresi da Bonanello suo padre che aveva lavorato in quei luoghi. Ricordò infine che la comunità di Barga aveva alcune “fabbriche” in detta selva.
Tutti i testimoni affermarono di aver testimoniato solo perché citati e per amore di verità, confermando che la proprietà della Selva Romanesca da parte della comunità di Barga era di pubblica voce e fama.
L’audizione delle testimonianze si concluse il 18 agosto 1374.
L’estensione del territorio storico di Barga al di là dell’alpe risale quindi a tempi assai precedenti dei quali non conosciamo al momento nè riferimenti temporali né documenti al riguardo. Sappiamo invece con certezza che anche la comunità di Coreglia ha posseduto pascoli nella zona del Lago Baccio, poi persi per la pressione di Fiumalbo e il disinteresse di Lucca, e Barga stessa ha esteso il proprio territorio fino al monte di Gragno.
Nella foto di Rifugio Giovanni Santi: il crinale appenninico che divide le province di Lucca e Modena
Tag: Lago Santo, pieve pelago, ASBUC
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