La vigilia della Concezione, tornando a casa dopo il lavoro, mentre salivo per le carraie, ho pensato: « Stasera vado alla Messa in Duomo: il Proposto ha detto che ci sarà freddo, ma non fa niente, il freddo non mi fa paura».
Ero quasi in cima alla Scalaccia quando ho sentito la voce della Natalina Dianda, I’ho aspettata, e insieme siamo salite in Duomo. Mentre finiva la Messa è cominciato il doppio della Concezione e sul portone del Duomo ho trovato la Lucia del Capretz. Davanti alla porticina del campanile non ho resistito e ho detto alla Natalina e alla Lucia:
«Io vado lassù, alle campane».
Loro mi hanno risposto:
« Sei matta, vuoi diventare sorda? »
« Ma se non diventano sordi i campanari, perché devo diventare sorda proprio io? » — Ed ho cominciato a salire le scale, con loro dietro. Mentre andavo su sentivo dentro di me come una smania, uno struggimento e intanto il suono si faceva sempre più forte, più vivo, e io sempre più veloce; mi sembrava di sognare.
Ecco, le campane! Il Nesi mi vede, mi fa cenno di venire avanti; non credo ai miei occhi, sono nella cella campanaria, I ‘emozione è forte, vedo i gemelli dell’Arturo che suonano la Piccola e la Mezzana e il Rossi di S. Pietro in Campo che suona la Grossa.
Intanto sono arrivate anche la Natalina e la Lucia. Continuo a guardare, il Berto mi sorride;
l’Enrico e il Luigi Cosimini ci salutano con cenni delle mani; il Nesi mi dà un bicchiere di vino, lo bevo senza levare gli occhi dalle campane. Ecco, si danno il cambio: il Nesi alla Piccola, il Berto alla Mezzana, l’Enrico alla Grossa. Il doppio si snoda festoso e perfetto, io sogno ad occhi aperti e mi sembra di vedere la cella campanaria grande, grande, con tutta la gente di Barga che guarda le campane, ascolta e ammira la bravura dei campanari, ai quali si arrossano sempre più le mani per i duri canapi.
Intanto le campane volteggiano nell’aria con il ramoscello d’olivo benedetto legato sopra il giorno della Domenica delle Palme. Fuori il paesaggio è irreale, sembra un presepe. Riscopro l’aspetto antico delle cose e continuerei ancora a sognare, se il Nesi non mi porgesse di nuovo un bicchiere di vino, che non posso rifiutare.
E così si giunge alla fine: le campane vengono fermate con le braccia, e già i campanari discutono animatamente sugli sbagli che io non ho sentito.
Il campanile sta ancora vibrando, e noi, tutti insieme, scendiamo le scale: i campanari, carichi di fiaschi di vino, stanchi ma contenti, il Proposto, il Benedetto, che poco prima si erano uniti a noi, ed io, che avevo sempre creduto che le campane fossero una cosa da uomini. Stasera però le ho sentite anche mie.
(Da L’Ora di Barga – dicembre 1977)
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