Imprevedibili incontri

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(Ogni riferimento a persone o a cose è puramente casuale)

Se da ragazzo avesse immaginato un tribunale, lo avrebbe immaginato con aule con arredi curati, importanti, persino forse con degli uscieri in livrea;  pensando a questa sua ingenuità giovanile, sorrideva dentro di sé l’anziano giudice mentre saliva le scale annerite dai passi continui, le pareti, la ringhiera tutto sembrava distante, ammutolito da migliaia di drammi, di contenziosi, di liti, di guerre vinte e perse; il sorriso allora si smorzò e si domandò quando era accaduto che a quell’ambiente che a tutti metteva soggezione, avesse cominciato a manifestare una sofferenza così manifesta.

Tra poco sarebbe stato Natale – che fosse l’avvicinarsi delle feste ad insinuargli questo tormento? da tempo aveva preso l’abitudine di porsi domande per ogni cosa, passando di domanda in domanda senza sentire alcun bisogno di trovare risposte, o almeno così credeva.

In realtà quel giorno non avrebbe dovuto esserci, tra pochi mesi si sarebbe concluso il suo lavoro e da tempo si era adoperato per portare al termine nei giudizi tutti i fascicoli assegnategli, ma per rimandi, trasferimenti, indisposizioni eccezioni, alla fine quella mattina si trovò lì seduto davanti ad un faldone neppure troppo alto per la verità – riguardante un uomo, accusato di truffa e di violenza per futili motivi – si concentrò sui fatti senza soffermarsi sul nome e il cognome, pensò solo che aveva pressappoco la sua età. L’esposizione degli odiosi accadimenti contestati, pagina dopo pagina, lo assorbì al punto di chiedersi se lo sgomento che da qualche tempo lo assaliva in quei corridoi grandi e per lo più deserti, fosse dovuto al trasmigrare degli insulti, delle violenze, delle sopraffazioni, dei reati vissuti e dettagliati per avere infine dalla legge, giustizia – ma non era forse stato questo il senso del suo lavoro e della sua vita? Fattosi un’idea della penosa questione, riordinò i documenti, fu allora che lesse con attenzione il nome del denunciato – Ferruccio Doriani.

Nella giornata grigia di un paludoso novembre, nel grigio di quelle stanze e della sua vita, un fremito lo attraversò, Ferruccio Doriani nato a Barga il 29 gennaio 1950 coniugato con, per saperlo doveva solo girare la pagina.

Il giorno del suo undicesimo compleanno aveva avuto in regalo dai genitori, una nuova bicicletta, rossa fiammante, ed essendo i primi giorni di una calda primavera, volle andarci a scuola; quella mattina era troppo importante arrivare in sella alla sua Atala.

Rosellina, lo aveva visto e lo aveva salutato, poi quando furono in classe gli si avvicinò – bella la tua bicicletta – me l’hanno regalata i miei – rispose lui con trepida noncuranza, sentendosi immensamente felice… aveva fatto colpo!

Ma quando al suono della campanella, uscì, trovò tutte e due le gomme delle ruote tagliate e un po’ storto il manubrio; riuscì con un po’ di difficoltà a riportarla a casa e l’episodio portò il padre a chiedere un colloquio con il direttore scolastico, il quale promise di indagare e di punire i responsabili.

I responsabili se li immaginava anche se non ne aveva le prove, ma non avrebbe mai pensato arrivassero a tanto, fino a quel momento si era trattato solo di qualche spintone o sgambetti, o sberleffi silenziosi quando il maestro lo lodava.

Seppure da bimbi, Rosellina lo guardava teneramente e lui adorava quella sua compagna di scuola così delicata di lineamenti e di modi, ma il ripetente, quello che era più alto e più grosso di loro, non sopportava di vederli insieme, prendeva in giro lei chiamandola contessina o con scherzi da villano la urtava malamente, un desiderio di ferire per l’evidente simpatia che la ragazzina provava per il rivale, l’alunno perfetto.

Per mesi ci furono questi episodi di bullismo esasperato senza tregua. Per quel ragazzino così educato, furono mesi di grande tensione, solo gli sguardi della piccola Rosa, Rosellina come la chiamava lui, avevano il potere di calmarlo, di farlo sognare, di sicuro un giorno l’avrebbe sposata.

L’anno scolastico finì, ma non l’amicizia tra i due ragazzini e neppure le angherie di quel Ferruccio che per mesi con il suo gruppetto continuò con le vessazioni, fino a spingersi nel giardino di casa, alla metà del viale del Canteo, per spaventare il cane tirandogli sassi. I suoi genitori, non volevano dare un’apparente importanza ai fatti che il figlio raccontava, lo esortavano ad essere forte, ma quando al padre, direttore di banca, si prospettò il trasferimento in una filiale più importante fuori dalla Toscana, anche in virtù di questi episodi di violenza che vedevano oggetto il figlio, lo accettò e seppure a malincuore la famiglia partì da Barga, senza farvi più ritorno.

Lui pianse calde lacrime, non voleva andare via, ormai Barga era la loro casa, non voleva lasciare la piccola Rosa e neppure il suo grande amico Mario con il quale condivideva tutti i suoi giochi; Mario gli voleva bene come un fratello, era un anno più piccolo perché aveva fatto la primina e nonostante questo voleva proteggerlo! Aveva dei bei capelli scuri con una ritrosa sulla fronte e lì un ciuffo di capelli rimaneva un po’ sollevato, quasi un segno distintivo della sua intelligenza ed allegria.

Una volta partito, a lungo lui continuò a pensare a Rosellina, le aveva scritto anche diverse cartoline, poi con il tempo i contatti si persero; In terza liceo, si aggiunse in classe una nuova compagna, Carla, anche lei fine e delicata, se ne innamorò ricambiato e finita l’università si sposarono appena superò l’esame per diventare Magistrato.

La pagina del documento intanto, era lì ferma sul tavolo – anni trascorsi lontani irrompevano nella mente e nel cuore  e quelle dimenticate emozioni infantili con stupore riaffioravano prepotenti;  alla fine si decise e spostò il foglio – no, non era lei la moglie – tirando un grande sospiro, si lasciò andare allo schienale della poltrona.

In quel mentre bussarono, erano gli avvocati delle due parti, qualcosa gli stava sfuggendo, si rese conto che non c’era tempo per dei rimandi, il denunciato sarebbe stato comunque presente per un ultimo interrogatorio, insieme ai testimoni.

Il caso li aveva fatti rincontrare lontano da Barga dopo così tanti anni, ma era sicuro che Ferruccio non avrebbe mai potuto riconoscerlo tanto più per la sostituzione all’ultimo momento, mentre lui avrebbe avuto modo di osservarlo con la massima attenzione, la stessa attenzione con la quale aveva riletto gli atti con le sue presunte minacce nei confronti dell’ex socio e la denuncia per averne falsificato la firma per la vendita di un bene di proprietà dell’altro. Ascoltati ancora i testimoni, vide entrare un uomo tarchiato ma con fare gagliardo quasi spavaldo, e quando gli pose le domande in merito ai fatti contestati, quello rispose – Signor Giudice qui, signor Giudice là, con una sfacciata sicurezza. Quando tutto ebbe termine, e alla luce dei documenti e delle ultime testimonianze, avrebbe poi dovuto nei giorni a seguire emettere sentenza, la stanza andò svuotandosi, solo l’uomo non si spostava e lo guardava, poi con sollievo lo vide girarsi per uscire, ma quando fu sulla porta si voltò e dritto negli occhi gli disse – lei è morta due anni fa, il 21 di maggio, ha fatto sempre la maestra e non si è mai sposata – il tono accorato così in contrasto con la tracotanza del prima, gli fece capire che l’intensità del sentimento provata dal suo antagonista doveva essere stata pari alla sua.

Qualche giorno prima di Natale con una piccola valigia salì sul treno e dopo qualche ora di viaggio ed un paio di cambi, nel primo pomeriggio scese alla stazione di Fornaci di Barga, da dove con un servizio privato raggiunse l’albergo prenotato a Barga, per passarvi dei giorni in solitudine nel ricordo di quel tempo passato.

Era meravigliato lui stesso di questo suo uscire dalle sue abitudini, dalla sua casa dove aveva vissuto ogni Natale, anche dopo che aveva perso la moglie.

Appena arrivato all’albergo, si sistemò; scese per la cena e poi si coricò presto.

Il mattino seguente, uscì e prese a passeggiare fino alla casa dove aveva vissuto con i suoi genitori e si meravigliò di trovarla pressoché uguale a come la ricordava, come se il tempo si fosse fermato e con emozione gli tornarono alla mente tante immagini care di allora. Era il giorno della Vigilia, faceva freddo con il nevischio portato dal vento, ma nel pomeriggio ormai inoltrato non volle mancare di camminare per gli antichi vicoli e vie di Barga dove si celebrava il Santo Natale con il presepio vivente, guardava le caratteristiche botteghe artigiane ricreate nei vecchi fondi delle case con le luci fioche, si sentiva solo ma sereno, all’indomani sarebbe andato al camposanto; aveva appena imboccato via di Mezzo quando qualcuno lo chiamò per nome, si girò e vide un uomo di una certa età con una donna al suo fianco, rimase un attimo spaesato, allora l’uomo si tolse il berretto e dai capelli bianchi spuntò il ciuffo ribelle – Mario!

 

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