Come già messo in evidenza in alcuni miei articoli, pubblicati in passato su questo giornale, all’interno del Duomo di Barga, sulle lastre dei Plutei che dividono le navate della chiesa tra la parte destinata ai fedeli e la parte destinata al clero, sono presenti molti graffiti, tracciati spesso con una certa abilità artistica.
Detti graffiti non sono sempre evidenti e riconoscibili con facilità principalmente perché alcune incisioni spesso sono state realizzate con tratti eseguiti in modo superficiale tanto che sono apprezzabili solo se chi li vuole osservare si dota di una lampada di discreta potenza luminosa riuscendo a proiettare un fascio di luce radente tale da renderli visibili.
Col compianto Antonio Nardini ho eseguito parecchi sopralluoghi indagando alla ricerca di tali testimonianze che restituiscono un messaggio che ci arriva attraversando spazi temporali secolari.
Tra i vari esempi rinvenuti voglio illustrare quello che mi ha particolarmente incuriosito: si tratta di una scritta che riporta nome professione e data di chi l’ha incisa.
Si tratta di una scritta compilata con un misto di caratteri maiuscoli e in corsivo che recita: ”Lothario Simoni Opaio MCCCIII”.
Dando per scontato che si tratti di una scritta non realizzata in tempi recenti da qualche visitatore, autore di gesti vandalici, vale la pena di soffermarci ad operare una analisi, per quanto possibile, approfondita.
Nome: Lotario Simoni
Professione: Opaio cioè Operaio
Data indicata nel graffito: MCCCIII, cioè 1303
La parte più significativa della scritta, oltre alla data compilata con numeri romani, quindi perfettamente compatibili con l’epoca, è a mio parere, la parola OPAIO, cioè OPERAIO.
Perché mi ha colpito questa parola che di per se in apparenza non rappresenterebbe niente di particolare? Perché la parola opaio, secondo me, indica che Lotario era, senza dubbio, un operaio dell’Opera del Duomo.
Appartenere all’Opera del Duomo in qualità di Operaio rappresentava, all’epoca, una posizione sociale invidiabile. Per acquisire il titolo di Operaio era necessario risultare persona di specchiata moralità e sicura affidabilità. Come risulta dagli Statuti del Comune dell’epoca, l’Operaio, all’atto della nomina, doveva spogliarsi di ogni bene e proprietà possedute, che entravano a far parte del patrimonio del Duomo, in cambio sia lui che la propria famiglia, vita natural durante, venivano mantenuti a cura e spese dell’Opera stessa.
Lo statuto del Comune, del 1360, al Libro Secondo – Affari Straordinari – Cap. xv recita: “Parimenti stabiliamo che l’Operaio ….. sia tenuto, debba giurare e giuri di preservare custodire in buona fede, senza frode, tutti i denari e le cose e i diritti dell’Opera stessa, tanto presenti che futuri, che perverranno nelle sue mani o di altri per suo conto, di richiedere ed esigere, con buona fede e senza frode, i legati e le cose aggiudicate o assegnate o date in altro modo o lasciate all’Opera stessa da qualche persona e di conservarle accuratamente e spenderle per l’utilità della detta Opera e non altrimenti…..”
Tale era la considerazione che la comunità di Barga aveva nei confronti dell’Operaio da affidargli la custodia delle armi più potenti e micidiali dell’epoca: le balestre.
Infatti nello Statuto, al Capo XXII, si dice: “Parimenti stabiliamo che il detto Operaio …. sia tenuto e debba conservare, guardare e custodire tutte le balestre e i canapi del Comune di Barga e gli siano affidate le balestre a numero e i canapi a peso e il detto Operaio, come detto, sia tenuto a custodirli”.
Oltre a quanto descritto numerose erano le incombenze che facevano capo all’Operaio, che oltre a preoccuparsi della manutenzione della chiesa doveva anche rendicontare, con tanto di registri contabili, le spese, le entrate e le uscite, ed ogni aspetto della vita religiosa legata al Duomo di Barga.
In definitiva la figura dell’Operaio del Duomo ci fornisce uno spaccato della società medievale come era organizzata nel comune di Barga, e ci porta a concludere con un grazie a Lotario che con un gesto, che oggi definiremmo deprecabile (nessuno dovrebbe permettersi di incidere il proprio nome su un monumento) ci ha permesso di operare le riflessioni del presente scritto e illustrare, anche se sommariamente, un aspetto della vita di un borgo medievale.
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