Abitare significa per me trasformare un luogo in un abito e indossarlo; significa portarsi addosso un’atmosfera e accogliere sulla pelle l’aria buona o il vento forte. Dire “io abito a Barga non è esatto”, io abito Barga e mi porto addosso angoli e scampoli di un mondo sospeso nel tempo.
Indosso le crepe sui muri; le imposte chiuse; i fiori di tarassaco davanti a porte che nessuno apre mai. Indosso un tempo lentissimo, quasi fermo e imparo a stare nel mio guscio; a saper attendere che ogni cosa si compia; a saper sperare che niente finisca davvero e che la vita vorrà tornare a fare rumore anche qui.
“Che rumore fa la felicità?” è una canzone dei Negrita che ascoltavo ieri, è una domanda aperta a tante risposte. Qui la felicità fa rumore al mattino quando si sente qualche bambino correre a perdifiato oppure all’ora di pranzo quando gli studenti si affollano davanti alla fermata dell’autobus, fa rumore quando suonano le campane e a me pare di vivere in un altro tempo.
Stamattina non sono andata a scuola perché ho una leggera influenza, mi è mancato il rumore che c’è al mattino su via del Giardino o nei corridoi della scuola. Ho scritto cose senza importanza, le dedico a chi non si accorge che la felicità quando è viva fa rumore e, magari, se ha un gessetto in tasca, lascia un ricordo sul selciato.
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