Dice Borges – beati gli amati, gli amanti e quelli che sanno fare a meno dell’amore. Io dico – beati quelli che l’amore non lo pensano.
Io non so dosarlo, lo servo col caffè, ogni mattina, amaro o dolce, senza misura. Di più non so fare.
So leggere Borges; pregare ridendo; fare il solletico al cuore degli altri; puntare la sveglia
alle sette e atterrare piano dal cielo alla terra, con un bacio distratto. L’ amore attento
non è di questo mondo.
O forse sì?
Non le conosco queste mani, le ho fotografate anni fa in P.zza Angelio a Barga, quando uscivo con la reflex e cercavo di capire il significato della parola fotografia. Le ritrovo ora nel telefono, che mi ha fatto dimenticare il senso della ricerca fotografica, ma mi ha aiutato spesso nel prendere appunti sparsi di fotografia spicciola e leggera. Non ricordo cosa stessi pensando, so cosa penso adesso. Queste mani sconosciute sono una lezione di pazienza, la pazienza di chi costruisce e non rinuncia a sentirsi faber fortunae suae. E allora mi accorgo che l’amore somiglia a questo intreccio paziente e si impara attraverso la vita ordinaria. Forse è questo l’amore:
sostare su cose note;
annotare sogni di seconda mano;
assecondare il ritmo del tempo;
temporeggiare e resistere;
festina lente;
ricominciare da capo;
rinunciare a capire;
carpire l’attimo;
desiderare un’altra latitudine;
essere incudine e non più martello.
Sono queste le cose
che fanno l’amore nei giorni ordinari, quando non si vorrebbe nient’altro che un guscio di lumaca per non perdere né la strada né l’anima.
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