La quiete dopo la tempesta

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Nella corsa della manopola del gas c’è un punto in cui la curva della coppia e quella della potenza si accordano quasi magicamente per far funzionare le cose al meglio.
A quel regime la guida diventa fluida, i consumi si abbassano e i chilometri scorrono che nemmeno li senti, mentre il fruscio del vento sovrasta il sommesso ronfare del motore.
Com’è lontana la zona alta degli strumenti dove la moto urla la sua rabbia e tutto accade così in fretta!
Abbandonata la noia della pianura padana e del suo troppo cielo, metto la prua verso Nord e mi godo il paesaggio che inizia a formarsi mentre le cime dolomitiche s’intravedono in lontananza.
Come sorti dal nulla, i primi contrafforti delle Prealpi si ergono ad annunciare l’inizio della stretta valle dell’Adige che scorre, pigro, alla mia destra.
Ci sono fiumi che, come impazienti di compiere il proprio destino, si precipitano verso la foce in una corsa a rotta di collo su sassi arrotondati, pietre levigate e fondi sabbiosi, striando il loro percorso con ribollenti scie di schiuma ma, decisamente, l’Adige non è tra questi e ogni sua curva, ogni sua ansa sembra una scusa che lui s’inventa per rimanere aggrappato alle montagne dov’è nato e rimandare il suo annullarsi nell’Adriatico.
Un sordo brontolio mi strappa di colpo a questi pensieri; alzo gli occhi e mi accorgo che le cime che mi circondavano sono scomparse dentro nubi d’inchiostro a tratti illuminate dal giallo vivo dei lampi. Quassù quando il tempo dice di cambiare lo fa sul serio e, infatti, dopo pochi attimi grossi goccioloni di pioggia impattano sonoramente il parabrezza e mi trovo avvolto nel diluvio!
Di fermarsi sotto questo scroscio non se ne parla, così mi appiattisco in carena e accelero dividendo le pozzanghere in larghi schizzi che ricadono lontani: bisogna arrivare in fretta a un riparo.
Proprio mentre le artiglierie del cielo riempiono l’aria di scoppi e i primi proiettili di grandine mi fanno risuonare il casco arrivo al sospirato cavalcavia, rallento con prudenza e mi fermo finalmente all’asciutto.
Mentre ascolto il rumore della pioggia battente, unito al ticchettio dei cilindri che si raffreddano, mi ritrovo a pensare che i ponti autostradali, sempre pronti a dare un riparo nei momenti più critici, sono i più fedeli amici dei mototuristi che girano il mondo senza un tetto sulla testa.
Proprio sotto i ponti di mezza Europa ho stretto amicizie che il tempo non scalfirà mai con la gente più inaspettata, ma oggi sono solo con me stesso e l’unica compagnia sono gli sguardi che mi arrivano dalle auto in corsa che mi sfrecciano anche troppo vicine.
Dopo una buona mezz’ora, passata col naso all’aria sperando in una tregua, vengo ricompensato da un’ampia schiarita da ovest che, in breve, spinge le truppe del maltempo in una rotta disordinata e poco dignitosa.
Il mondo, che era intrappolato in una grigia animazione sospesa, riprende vita e i colori si riaccendono più vivi di prima.
Anche l’Adige, diventato di un cupo color ferro, adesso riflette l’azzurro di un cielo di nuovo terso tra sponde tornate del consueto verde brillante.
Come non ripensare alla famosa poesia di Leopardi? Solo che qui “l’erbaiuol che, di sentiero in sentiero, rinnova il grido giornaliero” ha le sembianze di un grosso camion di verdura surgelata che, rombando, mi fa il pelo a centoventi all’ora!
Mi rimetto in sella e, avvolto nel vapore che sale dall’asfalto che si asciuga, riparto accelerando per recuperare almeno un po’ del tempo perso.
Cortina d’Ampezzo è la signora delle Dolomiti e le signore, si sa, non vanno fatte aspettare

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