BARGA . Questo testo è stato scritto da una studentessa dell’ISi di Barga; lo ha presentato al suo esame di maturità per parlare di sé, raccontare un frammento importante della sua storia. È la prima poesia che scrive.
Doris Bellomusto, mia collega, appassionata di poesia, l’ha letta con cuore commosso e ha scritto per il giornale di Barga questa nota di lettura.
A quanto pare, la scuola e la poesia possono ancora fare bene.
Giada Giovannetti
Sessanta, cinquanta, quaranta…
così inizia l’inferno
Non mangio e rimango muta nel letto, non bevo e ascolto il mio corpo…
trascorrono giorni, poi i mesi,
e pezzi del mio corpo si disciolgono come per una magia che non comprendo.
Accarezzo le mie dita,
sento le piccole ossa e la pelle morbida e sottile ricoprirle.
Ho freddo.
Metto la testa sotto le coperte col minimo movimento.
Più leggera sono più riesco a toccare il mio scheletro,
più leggera sono più la realtà si allontana da me.
Non odio il mondo
Non voglio apparire, mi voglio “sentire”, mi voglio “percepire”, mi voglio abbandonare…
e chiudo gli occhi, sono sola.
Dormo
Mi sveglio
Dormo
La stanchezza mi aiuta a percepire la presenza dei piedi, delle gambe, del bacino…
Solo la testa mi crea fastidio…
Non riesce ad essere leggera
Il collo sottile non riesce più a reggerla dritta
Non vuole reggerla più…
Se solo smettesse di farmi male!
Sono le immagini che la percuotono, ma come le getto via le immagini?
Si autoalimentano loro!
Mangiare,
saziarsi di cosa?
Non trovo che buio, e consigli,
buio e consigli.
ma l’affetto dov’è?
Ne ho bisogno..
L’unico cibo…
Non mi viene dato…
Pretese di un fragile animo…
Mangerò forse,
domani..
Scrivere una nota di lettura a questa poesia mi è sembrato giusto e urgente.
Non conosco l’autrice, so che è giovanissima e sento che questo testo è un grido.
Ogni verso esprime il bisogno di dire per intero il dolore e darsi al mondo per quel che si è. Commuove il ritmo incalzante dell’inizio “Sessanta, cinquanta, quaranta”, è una ballata del dolore dall’inizio alla fine.
C’è un’attenzione puntuale alle percezioni più minute e con parole chiare si dichiara la volontà di tenersi lontana dalla realtà. La chiusa è molto efficace, un netto e radicale rifiuto dei consigli che non portano a niente e un bisogno d’amore urlato a gran voce.
Solo l’amore può curare l’anoressia, forse…
Gli ultimi due versi si aprono alla speranza lieve di un domani incerto e a me che leggo si apre nel cuore uno spiraglio di gioia.
Questi versi sono onesti e limpidi, danno corpo e vita alle “pretese di un fragile animo” che ha avuto il coraggio di dire al mondo che cos’è l’anoressia.
Doris Bellomusto
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