Gli anni del Boom

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Qualche giorno fa un ragazzo, figlio di alcuni amici, mi ha chiesto di spiegargli come fossero quei famosi anni ’60 del cosiddetto boom economico che aveva visto in un breve servizio televisivo.
Confesso che questa richiesta, se da una parte m’ha fatto piacere, dall’altra m’ha messo assai in crisi.
Come sintetizzare in poche parole la carica di energia, ottimismo e voglia di fare che ha caratterizzato quegli anni?
Come potevo rendere l’idea di come gli Italiani percepissero quegli orizzonti di benessere e sicurezza che, d’improvviso, si spalancavano davanti ai loro occhi increduli e ancora pieni degli orrori della guerra?
Come descrivere quello straripante entusiasmo che permeava la fase di ricostruzione di un Paese dove spuntavano come funghi nuove case, palazzi, cinema, teatri, autostrade e il vecchio veniva sostituito dalla scintillante modernità del nuovo?
Gli ho parlato di come la gente, che appena pochi anni prima non aveva nemmeno da mangiare, grazie alla “tredicesima” iniziò a comprare gli elettrodomestici, uno dopo l’altro, fino a raggiungere la tanto agognata mobilità individuale per mezzo della FIAT 500, e di come le famiglie dei lavoratori iniziarono a permettersi le prime vacanze al mare grazie al Made in Italy che conquistava i mercati di tutto il mondo.
Era un’Italia veramente “fondata sul lavoro” come diceva la Costituzione, nella quale bastava avere fantasia, coraggio e capacità per avviare un’attività, un negozio, inventarsi una vita…
Ho conosciuto persone che, rincorrendo il “mito della fabbrichetta”, dal nulla sono diventate industriali e imprenditori: alcuni ce l’hanno fatta subito, alcuni solo dopo qualche tentativo, altri ancora hanno dovuto arrendersi ma, almeno, avevano avuto la possibilità di provarci perché la gente non era ancora incatenata da una burocrazia che complica le cose senza fornire niente in cambio.
Parlavo… parlavo… ma vedevo che lui mi seguiva a fatica: sicuramente non ero abbastanza bravo a fargli vivere quelle emozioni per me ancora così forti e reali.
All’improvviso, però, mi è venuta un’idea: ho aperto Youtube e gli ho fatto vedere il filmato di un concerto semi improvvisato che un giovanissimo Celentano tenne nella Piazza del Duomo a Milano.

(qui  il link: alzate il volume)

Oltre ai volti noti di Gino Santercole, Miki del Prete e degli altri componenti del “Clan Celentano”, in quel video di pochi minuti c’è tutta l’Italia di quel tempo:
la dirompente energia del Rock’n Roll appena arrivato dall’America insieme ai juke box, l’entusiasmo dei giovani, la benevola curiosità o l’ostentata indifferenza delle persone mature nei confronti del “nuovo” e tanta, tanta gioia di vivere.
Il look di ragazzi e ragazze improntato a un’eleganza della quale si è persa traccia e a una modernità che non prescindeva ancora dal decoro.
E poi quei volti, che nonostante l’espressione che voleva essere “vissuta”, non riuscivano a celare tutta l’ingenua freschezza di quegli anni ancora così giovani e puri.
Nel pubblico che gremisce la piazza brilla il sorriso timido di quella ragazzina col montgomery che si scioglie via via nel ballo, consapevole di mettere in atto, proprio perché femmina, una trasgressione alla morale dell’epoca da non poter raccontare al ritorno a casa.
Mi commuovo a pensare che molti di loro non ci saranno più e che gli altri staranno vivendo il rigido inverno della loro vita in un Paese che non riconoscono perché troppo diverso da quello della loro giovinezza.
Il ragazzo ha guardato tutto il filmato e poi ha voluto vederlo ancora una volta battendo il tempo con un piede.
Alla fine ha sorriso e ha detto:
«Forte, però!»
L’ho guardato e avrei voluto dirgli:
«Già… forte!… Chiamateci pure BOOMER, ma non saprete mai cosa vi siete persi!»
Ma sono stato zitto perché quel ricordo, che per un attimo mi ha bagnato lo sguardo, mi avrebbe anche incrinato la voce.

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