Lo scrittore Bartolomeo Di Monaco parla del libro sul Teatro dei Differenti di Cecchi

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BARGA – Lo scrittore Bartolomeo Di Monaco ci parla del libro “Barga – La storia del Teatro dei Differenti” di Pier Giuliano Cecchi

 

Dopo Lucca e il mio paese natale di San Prisco, in provincia di Caserta, Barga è la cittadina che amo di più. Ho partecipato per 2 anni di seguito al campeggio che vi organizzava il Patronato C.I.F. (Centro Italiano Femminile) e vi ho poi fatto qualche visita al tempo che vi era ricoverata la mia tata Umiliana presso il Centro Anziani, collocato davanti al campo sportivo. Mi ritrovo perciò nella poesia che alla città dedicò un suo figlio illustre, Mario Mazzoni, nella quale ad un certo punto si legge: “o mia Barga, città di cortesia/ d’aria, di cielo, e di soavi donne.”.

Pier Giuliano Cecchi, barghigiano doc, ne traccia un breve storia nel volume dedicato al glorioso Teatro dei Differenti, uno di quei teatri paesani che hanno allietato e fatto la storia di molte piccole comunità. È uscito grazie all’impegno profuso dalla Unitre di Barga. Il titolo è: “Barga. La storia del Teatro dei Differenti”, giunto già alla seconda edizione nel gennaio 2024.

Il Teatro dei Differenti fu costruito nel 1688, abbattuto e poi ricostruito negli anni 1793-1795; ha visto sfilare sul suo palcoscenico personaggi importanti della cultura nazionale, tra i quali Giovanni Pascoli che il 26 novembre del 1911 vi pronunciò il famoso discorso: “La Grande Proletaria si è mossa”. La celebre Eleonora Duse vi recitò da bambina con la compagnia del padre Alessandro Vincenzo Duse.

Il teatro è stato riaperto il 29 novembre 1998 (ore 16,30, ci fa sapere l’autore), lo stesso giorno, ossia, in cui nel 1924 moriva a Bruxelles Giacomo Puccini. Negli anni della chiusura, ci furono molte sollecitazioni a riaprirlo. In un articolo apparso sul giornale La Corsonna (è il fiume di Barga) a cura di Alfredo Stefani, se ne narrano i meriti: “ininterrottamente per quasi tre secoli si sono dati gli spettacoli più attraenti, dalla stagione d’opera a corsi di recite di buone compagnie di prosa, poi conferenze, serate di filodrammatici, musica, lezioni e letture.”. E ancora leggeremo: “si andava a teatro come ad una chiesa”. La giornalista Eleonora Facco scriverà su “Il Giornale di Barga” dell’ottobre 1973: “è caro al cuore dei Barghigiani quasi come il vecchio Duomo”.

Erano gli Accademici di Barga (Accademia dei Differenti), gruppo costituito da personalità del territorio a interessarsi del Teatro, fino al punto anche di indebitarsi per sostenerne le spese di ristrutturazione e manutenzione. Grazie alla presenza e all’attività del Teatro, nacque presto “un’Accademia Musicale.”, “in virtù di una volontà propria di facoltosi cittadini barghigiani”. La funzione del Teatro (vi si rappresentarono anche opere di Voltaire) fu rilevante: “Certamente era piacevole e interessante andare a teatro, perché è lì che le idee si potevano scambiare, si facevano nuove amicizie e magari parlare insieme anche di politica”. E ancora: “Il Teatro ormai è il luogo, l’ambiente più ricercato, anche consono, per ospitare di queste manifestazioni patriottiche” Negli anni sarà sede anche di locali turbolenze di protesta, talvolta violente.

L’autore, che ha al suo attivo altre pubblicazioni che riguardano il suo territorio tanto amato, ha voluto raccogliervi gli articoli di sua firma, 31 ci fa sapere, ospitati dal Giornale di Barga online diretto dal benemerito Luca Galeotti, arricchendoli con i risultati di altre minuziose ricerche.

È un testo puntiglioso che ci immerge in una storia movimentata (si accenna anche all’assedio di Barga del 1437 e al terremoto del 7 settembre 1920, che causò “non poche macerie”), legata sempre e fondamentalmente alla vita e al bene della comunità. Si ricordano anche i pittori che decorarono il Teatro nel dopoguerra: Antonio Da Prato e Michele Tonini. Nonché il regista inglese Peter Hunt e la moglie Gillian Rodhes Armitage, pittrice e scenografa (si trasferirono e presero la residenza a Barga nel 1963), che rianimeranno a partire dalla metà degli anni Sessanta la vita artistica del Teatro e della cittadina, finanziando loro stessi le attività promosse.

Il barghigiano vi troverà, insomma, più di un motivo di interesse, finendo con l’amare sempre più il luogo in cui vive. Si deve sapere, infatti, che un tempo essere barghigiano era un segno distintivo e si diceva di lui: “Homo de Barga”. L’autore auspica il ritorno a quei fasti e a quel prestigio, ricordando anche che ai suoi tempi: “il Teatro dei Differenti si mantiene e sempre più si connota nel suo ruolo di tempio laico di Barga, dove trova il suo vero, il sentimento della barghigianità.”.

La narrazione è storicamente articolata (sono dettagliatamente indicati i numerosi spettacoli che vi si rappresentarono) e rende comprensibile i passaggi che hanno condotto alla Barga odierna.

Molte le illustrazioni allegate e ricchi fin nei particolari i riferimenti nel testo a documenti e avvenimenti, anche minuti, dell’epoca (tra questi spiccano le visite, seppur fugaci e avvenute in tempi diversi, della ex regina delle due Sicilie, Maria Isabella di Spagna e Maria Ferdinanda, vedova del granduca di Toscana Ferdinando III), alcuni finora inediti. Più volte si ricorda il “Bargeo, il poeta di Barga Pietro Angeli, che tanto fece dire di sé nel corso del secolo XVI, uno dei massimi letterati nel suo tempo in tutta l’Italia.”. Si ricorda anche un personaggio conosciuto a Lucca e non solo (io stesso lo vidi più di una volta), cantore e menestrello, con barba e capelli lunghi e folti, che si esibì nel Teatro con la sua speciale chitarra che chiamava “chitarpa”, Italo Meschi. In una lettera all’amata Carla dell’11 agosto 1943, che si trova nel libro “Italo Meschi – musico cantore della Terra Lucchese. Poesie, riflessioni, testimonianze”, edito nel giugno 1993 da NerosuBianco a cura dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Provincia di Lucca, così scriveva: “”ho sempre detto che, Iddio, mi ha dato una moglie di legno, la mia chitarra.”

Infine, un ringraziamento speciale e i più sentiti complimenti vanno indirizzati all’autore che si è sobbarcato con entusiasmo e sagacia un lavoro immane, tale da poter destare invidia in un archivista di professione.

(Fonte Amici Lucchesi)

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