Adesso che nell’era digitale possiamo catturare immagini con la massima facilità grazie a fotocamere sofisticatissime e perfino ai telefoni cellulari, sembrerà strano che una volta esistesse qualcuno che campava vendendo “macchinette fotografiche” e pellicole di celluloide che, poi, la gente gli avrebbe riportato per ottenere fotografie stampate su carta.
In ogni paese c’era un tipo un po’ strano, una via di mezzo tra l’artista e lo stregone, che mischiando nel buio di angusti stanzini misteriose sostanze chimiche riusciva, non si sa come, a trasformare in ricordi gli scatti, a volte maldestri, della gente.
Tra tutti gli abitanti era l’unico in grado di padroneggiare quelle oscure pratiche e quei riti arcani che permettevano di fermare il tempo durante i momenti felici e le occasioni solenni, trasformandone il labile ricordo in qualcosa di tangibile che, in futuro, avrebbe potuto essere consultato ogni volta che se ne sentisse il desiderio.
Come ho già detto, ogni paese degno di questo nome aveva il proprio personaggio, un po’ sopra le righe, che di mestiere faceva il fotografo e in questo Fornaci non faceva eccezione, anzi…
Il suo nome era Silvano Rigali e discendeva dalla famosa dinastia dei “Diavoli”, gente dal cuore grande e dal carattere proverbialmente estroso e imprevedibile.
Essendo l’unico fotografo era sempre indaffarato e quando, poi, si avvicinava il periodo delle cresime e delle comunioni non sapeva letteralmente come accontentare tutti quelli che avevano assoluto bisogno del “Diavoletto” perché la loro gioia venisse immortalata per sempre.
Ma lui non era capace di deludere nessuno e così, dopo aver navigato per tutto il giorno da un rinfresco all’altro, la sera tornava a casa con qualche difficoltà motoria dovuta alla quantità di spumante, torte e pasticcini che aveva dovuto ingurgitare per non offendere i vari padroni di casa.
Non ricordo una lieta ricorrenza della mia famiglia che sia stata celebrata senza di lui.
Matrimoni, battesimi, cresime, comunioni… Lui c’era sempre e, se non era ancora arrivato, lo aspettavamo come si aspetta un amico e non come “quello che fa le fotografie” perché, oltre alla lampeggiante macchina fotografica, portava con sé la sua umanità e la sua allegria.
Quando si doveva decidere quali dolci preparare per la festa, la nonna Faustina diceva sempre:
«Ricordiamoci di fare gli spumini, che al Silvano gli garbano tanto!»
E lui ogni volta gli faceva molto onore, mangiandoli con gli occhi prima che con la bocca, e poi abbandonandosi a lodi sperticate che riempivano di gioia le cuoche che gongolavano contente.
Eppure con la mia famiglia gli esordi non furono dei migliori: per il matrimonio dei miei genitori, a causa della memorabile bisboccia della sera precedente, rimase clamorosamente addormentato e dovettero correre a tirarlo giù dal letto per portarlo in chiesa a forza di braccia.
Quando, finalmente, riuscirono a farlo arrivare in condizioni più o meno presentabili era talmente tardi che la cerimonia era già finita da tempo.
Per fortuna l’allora giovane don Ferretti acconsentì a ripetere “per finta” la celebrazione del sacramento e tutto andò a buon fine, ma nelle foto dell’album di famiglia si vede bene che il sorriso tirato di mia madre cela a stento un furore omicida.
In seguito, il matrimonio lo “addomesticò” notevolmente, ma a quei tempi era ancora un autentico spirito libero e il sangue della dinastia dei Diavoli che gli scorreva veloce nelle vene lo rendeva protagonista di aneddoti che passavano di bocca in bocca aggiungendo colore alla vita del paese.
Ricordo ancora quella volta in cui, per appagare la mia curiosità di bimbo, mi portò nella sua camera oscura e rimasi impressionato dalla fioca lampadina rossa fissata in alto, dall’acre odore dei reagenti chimici e dai suoi gesti esperti, a malapena intravisti nel buio, che fecero accadere il miracolo di un’immagine dove prima c’era solo un bianco pezzo di carta che fluttuava sul fondo di una bacinella.
E tutte quelle fotografie che prima, semplicemente, non esistevano e dopo stavano tutte lì, in fila, appese ad asciugare davanti ai miei occhi…
Scienza? Magia? Tutto questo e molto altro ancora che abbiamo irrimediabilmente perso, sacrificandolo sull’altare di un progresso tecnologico che non tollera più l’arte e la poesia di gesti sapienti dettati dall’esperienza e dalla passione di una vita.
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