Nelle ultime settimane il libro era diventato quasi un’estensione del mio corpo; lo leggevo continuamente e poi rigiocavo sulla scacchiera le partite più epiche della storia cercando di carpirne astuzie e segreti.
Tra le partite dei tanti Grandi Maestri internazionali rigiocavo con più piacere quelle del marchese Rosselli del Turco, forse per il suo stile asciutto, forse perché toscano come me.
Quando, finalmente, mi sentii pronto andai a suonare il campanello della casa di Guido.
Dopo qualche minuto mi venne ad aprire indossando un comodo cardigan marrone sopra una camicia chiara ben stirata.
«Non credevo che tornasse, invece eccola qui!»
disse con un sorriso a metà tra il sorpreso e il divertito.
Muovendosi con la circospetta lentezza delle persone anziane m’introdusse nel salotto dove, ancora una volta, ebbe luogo il rito del the freddo che appannava i bicchieri e li imperlava di piccole gocce di condensa sulla superficie trasparente.
Dissimulando la tensione fingemmo di parlare del più e del meno, ma la scacchiera attirava i nostri sguardi e ci reclamava impaziente.
Finalmente iniziammo a fronteggiarci nel silenzio rotto solo dal pigro girare delle pale del ventilatore di stile coloniale che pendeva dal soffitto.
Guido dette inizio alle ostilità e, quando con mossa da manuale rifiutai il Gambetto di Donna che mi proponeva, non riuscì a trattenere un fugace sguardo pieno di rispetto.
«Il ragazzino ha studiato…» deve aver pensato, aggrottando le ciglia sul quel viso in cui l’età aveva dipinto sparse e disuguali macchie marroni.
Obbedendo alle ultime teorie sul “gioco dinamico” appena apprese dal manuale, feci in modo di liberare spazio di manovra per gli Alfieri mentre i Cavalli presidiavano i punti nevralgici del mio schieramento.
Con apparente sicurezza, ma col cuore in tumulto, contrastavo ogni tentativo del mio avversario di conquistare il centro della scacchiera mentre il tempo, denso e liquido come nel famoso quadro di Dalì, sgocciolava lento dal soffitto e sulle bianche pareti che ci proteggevano dalla calura.
Poi lo vidi… una mossa debole aveva aperto il piccolo spiraglio che neanche osavo sognare; eseguii un arrocco e poi, protetta dalla Torre, la mia Donna puntò alla giugulare del Re bianco.
«Al Re!!!»
dissi con voce più alta del normale e il petto pieno d’orgoglio.
Sapevo che non era Scacco Matto, ma anche la sola possibilità di portare una minaccia al cuore di colui che mi aveva ridicolizzato con quel dannato “Matto del Barbiere” mi rendeva euforico.
Quando mi accorsi della trappola era già troppo tardi e poche mosse dopo il mio Re cadeva sconfitto sul piano di lucido legno levigato.
«Chi dà al Re senza uno scopo, se ne pente poco dopo!»
Sentenziò Guido, citando un vecchio proverbio che, purtroppo, non era riportato nel libro…
(continua)
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