Scacco al Re (seconda puntata)

-

«E che sarà mai?…» pensavo tornando a casa.
«In fondo, qualche partita a scacchi l‘avevo fatta, no? E poi, con tutto il rispetto, se non batto un vecchietto come lui…»
Ventiquattrore dopo, bevuto il the freddo, ci studiavamo da dietro lo schieramento dei rispettivi pezzi. Lui, che aveva il bianco, fece la prima mossa e io, fiducioso, risposi prontamente.
Dopo altre tre mosse il mio re capitolava ignominiosamente sulla scacchiera mentre Guido rideva divertito.
«Lei non sa giocare a scacchi! Al massimo sa muovere i pezzi e, forse, neanche quello…».
Lo guardavo con gli occhi sgranati senza capacitarmi della magia che mi aveva appena fatto.
«Si chiama Matto del Barbiere, è un piccolo scherzo che si fa ai principianti»
e poi, scrutandomi dubbioso, disse ancora:
«È sicuro che vuole davvero giocare con me?»
Se c’è una cosa che ho sempre odiato più di perdere, è perdere facendo la figura dello stupido!
In preda a un soprassalto d’ingiustificato orgoglio, udii la mia voce dire che, se mi avesse dato tempo, un giorno l’avrei battuto.
Ecco! Non mi era bastata la figuraccia appena fatta: la volevo anche reiterare nel tempo…
«Allora, forse, questo le sarà d’aiuto»
disse, mentre prendeva da uno scaffale un vecchio libro dalla copertina consumata dall’uso.
Ho ancora davanti agli occhi il suo sguardo che mi scrutava, tra l’incerto e il possibilista, cercando di decidere se valesse davvero la pena di prestarmi quel manuale.
Era un venerdì sera e durante la settimana dopo, l’ultima prima delle elezioni, ogni sera bevemmo e chiacchierammo del più e del meno.
Mi raccontò che, come capo cantiere per un’importante ditta che realizzava grandi progetti nei Paesi emergenti, aveva girato il mondo e conosciuto molteplici realtà e costumi.
Una sera mi fece ridere fino alle lacrime raccontandomi di quando non riusciva neanche a lavorare perché le scimmie gli rubavano tutto, vestiti compresi.
Ci facevamo compagnia come buoni amici senza mai menzionare gli scacchi ma, intanto, io studiavo…
Imparai le aperture più famose come la Partita Spagnola, la Difesa Siciliana e la Partita dei Quattro Cavalli. Studiai lo sviluppo del gioco, i finali e, in generale, appresi come ogni casa della scacchiera fosse fondamentale e non si potesse trascurare nemmeno l’ipotesi di gioco più improbabile.
Il libro lo diceva chiaramente: gli scacchi sono una battaglia tra due menti dalla quale la clemenza e il perdono sono banditi.
Feci la conoscenza con un mondo fantastico la cui storia era popolata da personaggi immensi e tragici, capaci dell’esaltazione più assoluta e della disperazione più nera.
Nomi di autentici giganti come Alechin, Capablanca, Tal, Rubinstein e Tarrash mi divennero familiari come quelli di amici conosciuti da sempre e iniziai a riconoscerne lo stile.
E compresi anche come la passione per gli scacchi, se portata all’estremo, possa diventare un’ossessione che conduce alla pazzia assoluta, come nel caso del grande Steinitz che voleva sfidare Dio concedendogli anche il vantaggio di un pedone!

(continua)

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.