Scacco al re (prima puntata)

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Quello del 1976 fu uno dei mesi di giugno più caldi che io ricordi, e lo so bene perché lo passai a consegnare i certificati elettorali sotto un sole che picchiava senza pietà già dalla mattina presto.

Passato l’entusiasmo iniziale, realizzai che mi era toccato una specie di paese-dormitorio che la gente abbandonava poco dopo l’alba per andare a lavorare e tornarci solo in tarda serata, spesso col buio.

Per non parlare di quei casolari sparsi lungo il fiume che raggiungevo dopo un lungo tragitto su strade sterrate per poi trovarli invariabilmente disabitati.

In certi posti dovetti tornare più e più volte, spendendo in benzina per la mia Cinquecento gran parte di quello che avrei guadagnato ma, a dispetto della pila dei certificati che sembrava crescere invece che calare, il lavoro andava portato a termine in tempo per la data delle elezioni.

Fu così che un tardo pomeriggio suonai il campanello dell’ultima casa in programma per quella giornata. Dopo qualche minuto mi venne ad aprire un signore anziano vestito in modo informale ma molto decoroso.

«Ferrari Guido?» chiesi

«Si, Ferrari Guido» rispose lui con voce un po’ tremula e gli occhi che faticavano ad adattarsi alla luce.

Feci per consegnargli il certificato, ma dovevo essere talmente accaldato e malridotto che lui mi guardò di traverso e disse

«Sarà meglio che entri e si prenda un po’ di the freddo, prima che mi crolli sulla porta».

Mentre cercavo cortesemente di rifiutare, le mie gambe lo seguirono fino alla fresca ombra del soggiorno dove mi fece cenno di sedere in poltrona.

Siccome di case ne avevo visitate tante, non potei fare a meno di notare come la sua, in ordine e arredata con gusto, riflettesse l’immagine elegante e leggermente demodé del proprietario.

In particolare la mia attenzione venne catturata da una foto in cui si vedeva lui da giovane seduto su una Vespa con una delle più belle donne che avessi mai visto che gli cingeva la vita sorridendo, e da una scacchiera in legno di pregevole fattura con tutti i pezzi allineati e pronti per una battaglia che attendevano da chissà quanto tempo.

Da ogni prospettiva la guardassi ricevevo la forte l’impressione di una casa in cui molto si era vissuto in tempi migliori di quello attuale.

Mentre ogni singola cellula del mio corpo lo ringraziava per l’imprevisto ristoro, disse

«Da quando la mia Elvira se n’è andata, vivo qui da solo e aspetto la mia ora.» e scacciò con un gesto della mano le parole di circostanza che pronunciai di rimando.

«Ho una figliola, ma è sposata e vive lontano. Ogni tanto viene a trovarmi ma perlopiù sono da solo ed è giusto così perché deve vivere la propria vita. Ho la radio, i miei libri… la televisione la guardo poco.»

In effetti aveva davvero una bella libreria e una strepitosa radio tedesca a valvole degli anni Cinquanta, di quelle coi tasti d’avorio e famose per i suoni caldi e pastosi.

Feci per alzarmi quando, col tono di chi non si aspetta una risposta negativa, disse:

«Ho visto che guardava la foto; la vuol vedere una cosa? Andiamo…»  e mi fece strada giù per una scala ripida e stretta.

A un tratto si strinse al mio braccio con la mano ossuta e al mio istintivo sguardo di diffidente sorpresa replicò:

«Non sia ridicolo! Non sono quel tipo di persona. E poi, se mi venissero certe idee potrebbe buttarmi in terra con un soffio… È che ogni tanto mi gira un po’ la testa».

Mentre mi vergognavo in silenzio, la scala terminò in un garage pieno di ordinati attrezzi da bricolage in cui, nel bel mezzo, campeggiava una cosa coperta da un telo grigio.

Con un sorriso furbetto e un gesto teatrale tirò via il telo, scoprendo la Vespa della foto!

Una VBB bianca del 1962 perfettamente conservata.

«Bella, eh?!» e negli occhi stanchi gli passò un lampo di vita.

«Quanti ricordi… Con la mia Elvira ci siamo andati fino a San Marino! E mica con l’autostrada sa? Si fece il passo del Muraglione e si prese tanta di quell’acqua! Ma la sto trattenendo troppo; è che non vedo mai nessuno…».

Istintivamente provai un senso di tenerezza e simpatia verso questo signore così anziano e dignitoso

«Ma no… è stato un piacere» sentii la mia voce che diceva

«E se a lei non dispiace, fino a quando non ho finito con i certificati potrei passare a quest’ora per un bel bicchiere di the freddo».

Parve animarsi di colpo…

«Volentieri! Allora l’aspetto… ma lei sa giocare a scacchi?»

Avventatamente risposi di si, e mi cacciai in un guaio.

(continua)

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