Un goal incredibile

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Era tutta la settimana che la colonnina di mercurio della farmacia, che a quel tempo si trovava accanto allo storico negozio del “Buchino” si rifiutava di salire oltre lo zero e grossi candelotti di ghiaccio pendevano dai tetti delle case mentre le grigie spire di fumo dei comignoli faticavano ad arrampicarsi nel cielo di Gennaio.
In quella livida domenica mattina, poi, oltre a far pizzicare i nasi e le orecchie, il freddo sembrava insinuarsi ancor più vigliaccamente dentro ai vestiti, strappandoci brividi che cercavamo di tenere a bada alitandoci nelle mani e pestando forte i piedi per terra.
Usciti dalla chiesina dell’Asilo Pascoli, appena finita la messa delle nove, ci incamminammo di buon passo verso il campo sportivo per assistere a una delle partite del Campionato Giovanile nel quale la compagine fornacina dava sempre buona prova di sé.
Sotto lo sguardo del Cecchini, storico e sempre indaffarato factotum dell’U.S. Fornaci, prendemmo posto sul poggio immediatamente raggiungibile entrando da Via dell’Asilo e iniziammo a guardarci intorno: a parte poche chiazze di un verde rinsecchito, il “Luigi Orlando” si presentava come una marrone distesa di fango gelato senza alcun filo d’erba che ne disturbasse l’uniformità.
Oltre al bel gioco espresso, il fatto che tutti i ragazzi che militavano nella squadra fossero del paese era una grande attrattiva, così alle partite c’era sempre un folto pubblico di parenti, amici e semplici sportivi che non facevano mancare il loro tifo.
Anche quella mattina c’era il pienone, tanto che nella nebbia potevo scorgere decine e decine di nuvolette che, sfuggite dalle sciarpe che tappavano bocche e nasi, si condensavano in quell’aria gelida che il povero sole malato non riusciva a penetrare.
Nessuno di noi poteva immaginare che da lì a poco saremmo stati spettatori di un evento eccezionale.
La partita ebbe inizio e tra le fila del Fornaci, che sfoggiava la caratteristica maglia celeste col colletto bianco, si potevano riconoscere l’Egidio Gaddini e il Claudio Pedrini che giostravano a centrocampo, mentre l’attacco si reggeva sulle spalle del centravanti Sergio Puccetti, affiancato dal Divo Bertoncini, agilissima ala sinistra.
In difesa svettava il Sandro Chiezzi, magnifico colpitore di testa, che faceva coppia con l’indomito Luigi Bernardi, da tutti conosciuto come il Gibaud (Gibó) a causa delle fasce elastiche che indossava in campo, finendo per assomigliare al manichino bendato e incerottato che in TV reclamizzava l’omonimo prodotto.
I pali erano difesi dal Paolo Biagioni, un portiere capace di parate incredibili come di papere improvvise che gli erano valse lo scherzoso soprannome di Padella.
Grazie a un gol alquanto fortunoso, nel quale il Padella mise del suo, gli ospiti chiusero il primo tempo in vantaggio, ma la ripresa fu un assedio.
Il Puccetti pareggiò quasi subito ma, a dispetto di una schiacciante superiorità territoriale, il Fornaci stentava a fare sua la partita.
Il numero dei calci d’angolo cresceva in modo vertiginoso e le mischie che ne conseguivano avevano ormai raggiunto livelli epici.
I minuti passavano inesorabili e molte volte la porta avversaria fu sul punto di capitolare ma una buona dose di sfortuna, un paio di sacrosanti rigori “non visti” e la giornata di grazia del portiere ospite continuavano a negare il meritato successo.
Ormai mancava poco alla fine e un senso di rassegnazione iniziava a serpeggiare tra il pubblico quando, sull’ennesima respinta della difesa avversaria, il pallone giunse a metà campo, dove l’indomito Gibaud presidiava la zona da ultimo baluardo.
“Da dove viene quel coraggio misto a disperata incoscienza che fa tentare le cose più assurde?
E cos’è quell’improvviso lampo di genio che si traduce in fluida coordinazione e potenza irripetibili?”
Nessuno lo sa ma, qualunque cosa sia, il Gibaud ne fu folgorato in pieno!
Avrebbe potuto fare un passaggio per riavviare l’ennesima azione oppure rilanciare, mandando un’altra scontata parabola a spiovere nell’area nemica…
Invece, non appena la palla entrò nel cerchio di centrocampo, chi era alla partita lo vide andarle incontro come un toro che carica il drappo rosso, ingobbirsi, armare il destro ed esplodere una botta omicida!
Come un tracciante velenoso, la palla, tenuta bassa e tesa, sibilò verso la porta avversaria e, passando in mezzo ad una selva di gambe, toccò terra schizzando in rete nel boato di meraviglia di pubblico e giocatori.
Mentre il portiere ancora non riusciva a capacitarsi, il Gibaud, sulle ali di una gioia irrefrenabile, iniziò a correre a perdifiato e per lunghi minuti ogni tentativo di agguantarlo per congratularsi o anche solo per permettere all’arbitro di riprendere il gioco risultò vano.
Ricordo che uno dei primi commenti del pubblico fu:
«Ora che il su figliolo ha fatto gol da centrocampo, chi la sopporta la Doriana???!!!»
Finalmente placcato e ridotto alla calma il Gibaud, la partita ebbe modo di ricominciare e poco dopo, come Dio volle, il triplice fischio sancì la giusta vittoria del Fornaci.
Per una settimana nei bar e sui marciapiedi non si parlò d’altro e la popolarità dell’autore della prodezza raggiunse livelli assoluti anche nei paesi vicini.
Per darvi un’idea dell’entusiasmo che scatenò quel goal incredibile dirò che, per qualche giorno, noi ragazzi ci divertimmo a descriverne l’azione imitando la cadenza e la voce del grande Niccolò Carosio e cercando di adattare all’impresa quei roboanti termini che il grande telecronista inventava a ripetizione.
Ai giorni nostri una prodezza del genere sarebbe finita su Youtube e ammirata in tutto il mondo e invece, in quella gelida mattina d’inizio anni settanta poté solo scolpirsi, indelebile, nella mente di coloro che ancora ne custodiscono il prezioso ricordo.

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