Lo scrigno della Befana

-

Sono sicuro che anche voi avete una vecchia scatola di latta che usate per metterci dentro la befana.
Ogni anno, quando sentiamo che “è l’ora”, la tiriamo fuori dall’oblio nel quale ha riposato per dodici mesi e, mentre la ripuliamo con cura, ci assale un moto di nostalgico affetto che non confesseremmo mai a nessuno.
Forse per la sua bellezza e le sue generose dimensioni, forse perché regalata da una persona cara, oppure solo perché il coperchio chiudeva bene, tanti e tanti anni fa qualcuno della nostra famiglia la scelse perché mantenesse fragrante il bene più prezioso delle feste più belle.
Bene assolutamente prezioso, la befana, perché anche il più piccolo pezzo è il frutto di un lavoro fatto con amore e secondo un rito tramandato per generazioni, nella fede incrollabile che la propria sia assolutamente la più buona di tutte.
Sarà stata l’atmosfera del Natale, ma non riesco a immaginare un momento in cui la mia famiglia fosse più unita di quello in cui tutti insieme preparavamo la befana; dal nonno che teneva d’occhio la cottura nel forno della stufa a legna, a me che rubavo il marzapane per mangiarmelo di nascosto sotto il tavolo…
In casa mia lo scrigno della befana è una grossa scatola dorata carica di anni e di una storia talmente singolare che credo sia giusto raccontarvela.

Il mio bisnonno Francesco Nardini (il Cecco del Bottaio) aveva ereditato dal padre la bottega vicino a Porta Macchiaia dove costruiva e riparava le botti, ma anche carri, carriole e tutto quello che avesse a che fare col legno.
Con la moglie Annunziata Mazzolini aveva messo al mondo sette figli i cui nomi, curiosamente, iniziavano tutti con la lettera A:  Argene, Anita, Augusto, Adolfo, Alfredo, Alda e Aldo.
Grazie alla sua abilità il lavoro non mancava e la famiglia tirava avanti dignitosamente e benvoluta da tutti
Antonino (Nino) Ginex proveniva da un’agiata famiglia siciliana di Canicattì che aveva fatto fortuna col commercio della neve dell’Etna, al tempo indispensabile per la preparazione di granite e gelati.
Laureatosi in “Calligrafia, Disegno e Belle Arti” alla Regia Università di Palermo, intraprese la carriera d’insegnante e, intorno al 1911, il destino volle che gli venisse assegnata una cattedra proprio a Barga, dove ebbe modo di conoscere Argene Nardini.
Dopo un romantico, ma estenuante, periodo di sorrisi e di sguardi durante le domenicali passeggiate sul Fosso, finalmente Nino trovò il coraggio di dichiararsi ad Argene e i due presero a frequentarsi con tutto il rispetto e le precauzioni che le usanze e la morale di quei tempi imponevano.
Ben presto, sicuri del sentimento che li univa, decisero che era giunto il momento che Nino si presentasse ufficialmente alla famiglia di Argene, cosa che avvenne una domenica mattina dopo la messa in Duomo.
Emozionato, nel suo vestito della festa, Nino bussò al portone di casa Nardini e venne letteralmente preso a bastonate da un furibondo Cecco del Bottaio che mai avrebbe permesso che un forestiero attentasse alla virtù di una delle sue figlie!
Ben presto, informatosi dell’identità del giovane che aveva solennemente bastonato, Francesco cominciò a temere il peggio perché, come disse alla moglie, che una famiglia siciliana rifiutasse di vendicarsi dell’affronto subito era impensabile.
Infatti, trascorso il tempo necessario per raggiungere la Sicilia alla lettera che un malconcio Nino scrisse alla famiglia, e quello per il viaggio da Canicattì a Barga con i mezzi dell’epoca, la famiglia Ginex si presentò in forze a casa Nardini.
Il povero Francesco, vedendosi accerchiato e temendo il peggio, tentò di dire qualcosa ma venne subito interrotto dal padre di Nino che, inaspettatamente, disse:
«Noi, famiglia Ginex, saremmo onorati che nostro figlio potesse frequentare una signorina appartenente a una famiglia di così alti principi morali! Mi permetta di stringerle la mano e la prego di accettare questo dono.»
E gli porse una grossa scatola dorata piena di squisiti dolci siciliani.
Evidentemente, la bastonatura aveva avuto un effetto imprevisto e sorprendente…
Riavutosi dallo scampato pericolo, il Cecco del Bottaio accolse in casa gli ospiti, le due famiglie si conobbero e i due giovani ottennero il permesso di fidanzarsi e di convolare a giuste nozze, dando inizio a un matrimonio felice e allietato dalla nascita di tre figli, uno dei quali, Puccio, è stato uno degli animatori delle estati bargee degli anni 60 e 70.

Da allora, al pari delle statuine del presepio, questa vecchia scatola dorata dall’incredibile storia contribuisce in modo così determinante a creare l’atmosfera del Natale che a nessuno della mia famiglia, neanche per scherzo, è mai venuto in mente di sostituirla con una più nuova.
Molte mani l’hanno maneggiata e non è più brillante e lucida come una volta, ma a me piace così perché, quell’ammaccatura, quella vernice un po’ scrostata e quel bordo piegato parlano di Natali felici che non torneranno più e di persone care che vivono solo nei miei ricordi sui quali si posa, lenta, l’impalpabile patina del tempo.
Giorno dopo giorno la befana al suo interno calerà fino a quando, fatalmente, comincerò a intravedere il fondo della scatola, triste preludio alla fine che avverrà in pochissimi giorni.
Allora prenderò questo caro scrigno ormai vuoto, ma così pieno di ricordi, lo pulirò con cura e poi, delicatamente, lo riporrò al suo posto dove attenderà, paziente, un altro Natale.

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.