Quando ho letto sull’edizione on line del Giornale di Barga la notizia dell’imminente, probabile chiusura del Mostrico di Renaio, “mi si è stretto il cuore”.
Lo riconosco, il modo di dire è un po’ banale, abusato; retorico? forse, ma non ne ho trovato uno più efficace. Del resto, pretendere di trasformare completamente in espressione verbale un moto dell’animo è pura illusione –“sono solo parole”- dice la canzone. Per la verità qualcuno me ne aveva già parlato prima, lo scorso agosto, in occasione di una delle mie ultime incursioni in val di Corsonna, un luogo a me molto caro. Avvenne mentre bevevo una birra ghiacciata proprio sotto il castagno del piazzale della Franca (ricordo benissimo quel momento perchè mi fece lo stesso effetto dell’articolo del Giornale)…
Sono nato e vivo in Piemonte: Mombello di Torino – Barga sono più o meno 350 km e questo particolare mi costringe ad una frequentazione di questi luoghi “pascoliani” meno assidua di quanto vorrei. Cito il Poeta non per un vezzo letterario, ma perchè, davvero, sono luoghi di profonda e antica bellezza.
A portarmi a Renaio fu A. B., barghigiano di Barga vecchia, montanaro dall’aspetto rude e dal cuore grande che avevo conosciuto in Piemonte per via di una storia di cavalli e di fidanzate… Avevamo in comune anche un’altra passione, i funghi e lui quando decise di tornare a Barga mi venne a salutare e mi promise che alla prima buttata, mi avrebbe chiamato.
Fu di parola.
Vagando nel silenzio di quelle selve, mi perdevo seguendo il loro respiro profondo, e mi sarei perso davvero, come Dante nella selva oscura, se non avessi avuto anch’io il mio Virgilio a guidarmi.
Sembra ieri, ma sono passati più di trent’anni (rieccoci con la retorica).
Era autunno. La Renault 4 beige saliva con nonchalance i tornanti che dal ponte di val di Vaiana portano a Renaio. Il bosco, dapprima fitto, diradava lasciando il posto a monumentali castagni monumentali. Poco più su, qua e là, tra gli alberi secolari e l’erba verde, qualche modesta casetta ben tenuta, il fumo che usciva dai camini, le legna accatastate a modo, galline, capre e pecore che andavano a giro. Tutto esprimeva una rilassante, dignitosa bellezza. Mi venne in mente un quadro naif. Quando scendemmo, sul piazzale di Renaio, ci accolse un buon profumo di fuoco di legna.
Un’altra volta, credo fosse una domenica, tornavamo da una festa di pastori alle Lame di Capraia, ancora un po’storditi da due giorni di bivacco in tenda, da un vento micidiale che non aveva mai mollato e forse, da qualche bevuta di troppo. Eravamo un bel gruppetto, tutti affamatissimi e il Mostrico era strapieno. Ci dissero che non c’era posto e che non avevano più niente da darci da mangiare. Mendicammo un piatto di pasta al pomodoro che ci fu servito in un’unica grossa ciotola sulla quale ci avventammo come lupi. Altre volte, d’estate, indugiammo fino a notte tarda a prendere il fresco sotto il castagno in piazzetta.
La sorpresa più recente risale all’anno scorso, e anche questa è una scoperta che devo ad A.B.: la trippa! La più buona che abbia mai mangiato (lo dice un piemontese che ha una moglie esperta di “mangiari” tradizionali. Fidatevi). La domenica successiva al mio ritorno a casa, ne parlai durante il pranzo. Eravamo in formazione tipo: moglie, due figli, due “nuore”, quattro nipotini, due femmine e due maschi, anni 9, 5, 4, quasi 1 ed io. Devo essere stato piuttosto convincente perchè sentii i miei figli e le loro compagne vagheggiare un fine settimana da trascorrere tutti insieme a Barga. L’organizzazione del tour sarebbe stata affidata a me, con mio sommo orgoglio, ovviamente. Anche mia moglie di solito ostinatamente restia ad allontanarsi da casa, non fece obiezioni, non fosse altro, penso, che per verificare di persona se effettivamente la trippa della Franca valga più della sua…
Chissà se i nostri eroi faranno in tempo a realizzare i loro propositi. La bottega di Renaio sta per chiudere… Definitivamente?…
Sento già i commenti: “ma che sarà mai, tutto ha una fine, se anche la bottega di Renaio chiuderà, non sarà mica la fine del mondo!” Ecco il risultato di sessant’anni di consumismo: ci hanno abituati alla logica dell’usa e getta, così abbiamo dimenticato ciò di cui abbiamo veramente bisogno, troppo indaffarati a procurarci il denaro per comprare cose inutili che regolarmente butteremo per comprarne altre destinate a fare la stessa fine.
Non voglio pensare che la bottega di Renaio chiuda, e con essa finisca un altro pezzo di quel mondo da cui tutti veniamo. Occorre fare una rivoluzione. Tranquilli, non c’entrano le armi, ci mancherebbe… Rivoluzione, etimologicamente significa ritorno, niente di più. Quando si è in cammino e ci si accorge di aver sbagliato strada la cosa più intelligente da fare è tornare indietro. Dunque, secondo me, tornare indietro è la cosa più rivoluzionaria che oggi si possa fare. Più facile a dirsi che a farsi… Mi pare comunque, che da quelle parti qualche “focolaio” di rivoluzione sia già in atto: ho visto il fumo uscire dal tetto di qualche metato, ho provato una grande emozione, insieme alla speranza che non tutto sia perduto.
Renaio e la sua bottega, che ne è parte integrante, sono da sempre l’archetipo, il paradigma della comunità: quattro case, la scuola, la chiesa, il cimitero. Luogo d’incontro e di scambio, luogo di condivisione, di aiuto reciproco, di relazioni, di svago, di convivialità. Anello di congiunzione tra il naturale e il sociale, dove attingere alla natura, e quindi non violentarla ma assecondarla, per ottenere il necessario per vivere, nutrirsi, costruire attrezzi, addomesticare animali, utilizzarne l’enorme potenzialità senza impoverirla.
Qualcuno ha paragonato Renaio ad un’isola in mezzo all’Appennino. Concordo, e la bottega è il suo faro. Renaio è l’utopia cui ispirare la nostra esistenza. Quando non saremo più in grado di percepire l’ancestrale vitalità che luoghi come Renaio emanano, non avremo più traccia delle nostre origini e non avremo più strumenti per orientare il nostro futuro.
Ma no, forse ho esagerato: ci rimane l’intelligenza artificiale!
Pietro Parena
Mi scuso per lo sfogo sgangherato e probabilmente inutile, ma ne sentivo il bisogno.
Cecilia Roni
17 Dicembre 2023 alle 8:50
Leggere queste parole vere, mi fa sentire meno sola, le sensibilità si incontrano e finché ci sarà questo sentire, ci potrà essere rivoluzione. Grazie