Le legge del fiume

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Come ogni anno le prime grandi piogge autunnali avevano ingrossato il Serchio fino a farlo straripare; le sue acque limacciose, dopo aver risalito i gabbioni che fungevano da frangiflutti e aggredito la massicciata della ferrovia, si erano riversate sotto al ponticello in prossimità del casello ferroviario e avevano allagato tutti i campi e le capanne dove i contadini tenevano il bestiame.
Perfino il Rio Torbo, il quieto ruscello che passava sotto il ponte delle Case Operaie, mordeva furiosamente gli argini in un ribollire di schiuma.
Anche il terreno che il nonno Giulio coltivava nella fascia alluvionale del fiume era stato devastato dalla furia delle acque.
Si trattava di un piccolo appezzamento di terra dal quale, a prezzo di tanta fatica rubata al riposo dopo i turni di lavoro in fabbrica, il nonno ricavava la verdura e gli ortaggi da mettere sul tavolino e l’erba per i conigli.
Mentre sudava sotto il sole dell’estate, sapeva bene che la prima delle grandi piene avrebbe vanificato tutto il suo lavoro ma, con la cocciuta pazienza tipica di una generazione abituata a lottare per qualsiasi cosa, ogni volta ripartiva da capo e ricostruiva anche la piccola capanna che serviva da rimessa per i suoi pochi attrezzi.
Finalmente, dopo una settimana di pioggia battente che sembrava non finire mai, s’aprì un piccolo squarcio di sereno sotto il quale, coi miei stivalini di gomma, camminavo sull’argine di un Rio Torbo ancora ingrossato, per raggiungere il nonno che era andato a controllare i danni a quello che lui chiamava “il campo”.
In un paesaggio dai colori spenti, gli alti pioppi protendevano i rami come a sorreggere il cielo e il loro specchiarsi nel grande lago formato dalle acque del fiume colpiva la mia fantasia di bimbo con l’immagine di un mondo alla rovescia mentre più in alto, sulla ferrovia, si stagliavano le scure sagome di alcune persone intente a osservare la tumultuosa corrente che portava con sé grandi tronchi d’albero sradicati più a monte.
Trovai il nonno Giulio insieme al Carlone, suo grande amico da sempre anche se entrambi si ostinavano a darsi del voi, e dai suoi gesti si capiva chiaramente che, ancora una volta, la piena non aveva risparmiato nulla.
«C’ho ancora la stalla allagata ma almeno le bestie en sane e salve! Se un avessi fatto a tempo a portà tutto il mangiare al pian di sopra ora un saprei che dagli… » disse il Carlone.
«O’ Carlo… ormai siam vecchi. Quante piene si saran viste? Tutti l’anni è così e un ci si po’ fa’ nulla» fece il nonno massaggiandosi la nuca come faceva sempre prima di affrontare una fatica, tanto che, fin da piccolo, ho identificato la parola “grattacapo” con questo suo gesto abituale.
«Nonno, ho visto che sulla riva ci sono degli alberi con un sasso sopra: che vuol dire?»
Irruppi io, interrompendo il loro dialogo.
«Sono stati portati dalla piena, se non ci sono sassi sopra e ce ne metti uno te vuol dire che l’hai visto per primo e allora è tuo» disse il nonno.
«Come sarebbe a dire che è mio?»
«Si, e nessuno lo toccherà perché tutti sanno che chi ha messo il sasso verrà a tagliarlo in pezzi da portare a casa per bruciarli nel camino o nella stufa a legna.»
Con espressione compiaciuta, il Carlone appoggiò una delle sue grosse mani sulla mia esile spalla e sentenziò
«È LA LEGGE DEL FIUME!»

A questo punto avrei potuto annuire rispettoso, mostrando di aver compreso la lezione di vita che mi era appena stata impartita ma, invece, come se uno spiritello dispettoso si fosse impadronito di me, mi sentii dire con voce petulante
«E chi lo dice che il sasso sul tronco è davvero il primo che c’è stato messo? E se uno leva il sasso dal tronco e ce ne mette uno nuovo, diventa suo? E se, invece, uno se ne frega della legge del fiume e si porta via l’albero?»
Questo bimbetto saputello, che con la sua stupida raffica di obiezioni cercava di mettere in ridicolo una delle leggi che da sempre regolavano un mondo in cui l’onore e la parola data avevano ancora un valore fondamentale aveva davvero passato il segno.
«O’ Giulio! Ma che gli insegnate al vostro nepote???»
Sbottò, indignatissimo, il Carlone.
«O’ Carlo… vanno a scuola e imparan tutto forché le cose giuste! Più studiano e più ‘gnoranti sono!» rispose il nonno, imbarazzatissimo per la brutta figura che gli avevo fatto fare davanti al suo amico.
A distanza di tanti anni provo ancora vergogna per questo mio comportamento che, oltre a deludere il nonno, mi mise in cattiva luce agli occhi del Carlone, il grande alpino riuscito, tra i pochi, a tornare dalla Russia e l’eroe che non aveva esitato a rischiare la propria vita tuffandosi nel fiume in piena per salvare un uomo che la corrente si stava portando via.

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