La stagione delle grandi piogge

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LA STAGIONE DELLE GRANDI PIOGGE

Le forti precipitazioni di questi giorni mi hanno fatto venire in mente il termine “Stagione delle Grandi Piogge” e quando l’ho sentito dire per la prima volta, molto tempo fa.
Come ormai qualcuno saprà, da piccolo passavo quasi ogni domenica a Barga dallo zio Vittorio e dalla zia Iva; io e la nonna Anita prendevamo “Il Nardini”, che per la nonna era già un piccolo pezzettino di Barga viaggiante, e poco prima dell’ora di pranzo eravamo a casa dagli zii.
Durante la brutta stagione, che quando il clima era regolare e non come adesso andava da novembre a marzo inoltrato, se non c’era la partita di calcio perché il Barga giocava in trasferta, il pomeriggio era dedicato al film per ragazzi che veniva proiettato all’oratorio del Sacro Cuore che col mio cugino Paolo raggiungevo a piedi partendo da Barga Vecchia.
Erano pellicole vecchiotte e ormai fuori dal circuito commerciale che don Francesco riusciva ad avere per poco o per nulla e il cui bianco e nero spesso aveva assunto una dominante giallognola a causa dell’età, ma che non mancavano mai di inchiodare allo schermo tutti noi ragazzi, turbolenti come potevano esserlo i monelli di allora con i loro calzoni corti e le ginocchia perennemente sbucciate.
Ricordo che, al Sacro Cuore, i film di Tarzan li ho visti tutti: dai più famosi, quelli col grande Johnny Weissmuller, a quelli più improbabili e con attori sconosciuti.
Le storie potevano cambiare ma, a parte che Tarzan usciva vincitore da ogni avventura, l’unica altra costante era che, a un certo punto, arrivava la “Stagione delle Grandi Piogge”.
Cominciava così… con una nuvoletta all’orizzonte che via via s’ingigantiva occupando il vasto cielo d’Africa e con gli animali che, inquieti, iniziavano a fiutare la pioggia che, in breve tempo, iniziava ad abbattersi con goccioloni da mezzo bicchiere l’uno.
Allora la Jungla rallentava il suo solito ritmo ed entrava in una sorta di animazione sospesa; gli indigeni si ritiravano nelle loro capanne di paglia e gli animali se ne stavano a sonnecchiare al caldo nelle proprie tane.
Anche i malvagi cacciatori di frodo, sempre ossessionati dall’avorio delle candide zanne degli elefanti, dovevano per forza concedersi una pausa che, in genere, passavano litigando tra loro perché ce n’era sempre uno più carogna degli altri che voleva spadroneggiare.
La palma del “peggior cattivo” spetta di gran lunga a un certo Radaček che, dopo aver seminato malvagità per tutto il film, stava per uccidere Tarzan quando, indietreggiando per prendere meglio la mira col fucile da caccia grossa, finì dentro alle sabbie mobili tra le grida di giubilo di tutti noi ragazzi, grida che cessarono solo quando anche l’ultima falange della sua mano scomparve nella melma.
Giuro che non ricordo un solo film di Tarzan senza questa intense precipitazioni che arrivavano a spengere il caldo torrido della savana con miliardi di metri cubi d’acqua e senza quelle provvidenziali sabbie mobili che, chissà perché, inghiottivano sempre solo i cattivi.
Tra tutti i ricordi, però, il più vivo riguarda i brividi che mi provocava il vedere quelle grosse gocce d’acqua che scivolavano sulle fronde, accompagnate dal forte rumore della pioggia battente che usciva dallo schermo.
Allora mi stringevo nel mio grigio cappottino della domenica, mi mettevo in bocca un “gommone” comprato durante l’intervallo, e passava subito.
A volte succedeva che, usciti dalla sala del cinema, ci si ritrovasse in una di quelle bufere di pioggia e vento che cercavano di inzupparci i vestiti e di strapparci di mano gli ombrelli; allora, nel turbinio delle foglie rubate agli alberi, immancabilmente qualcuno esclamava:
«Altro che Grandi Piogge!!!…»

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