Dopo avermi fatto tossire più volte, auscultandomi con quel freddo stetoscopio, il famoso pediatra di Lucca era stato perentorio:
“Ai bronchi di questo bimbo gli ci vuole il mare!”
Perciò, a prezzo di qualche sacrificio abilmente mascherato, ogni anno i miei genitori affittavano a Lido di Camaiore, nella prima quindicina di settembre, una villetta con un grande giardino ombreggiato dai pini.
Per la precisione, la “nostra” casa si trovava dietro agli edifici della colonia estiva della Montecatini (poi Montedison), il gigante italiano della chimica, e confinante con quella famosa pensione Gigliola che nel corso degli anni ha accolto una moltitudine di nostri compaesani in vacanza.
Come molte famiglie, ogni anno tornavamo al solito stabilimento balneare dove, ormai, eravamo amici del bagnino e conoscevamo tutti: l’indimenticabile Bagno Adele.
Sotto gli ombrelloni le mamme riallacciavano discorsi interrotti l’anno prima, mentre i babbi si davano un contegno leggendo “La Nazione” o “Il Telegrafo” e commentando le notizie con aria da esperti delle cose del mondo.
Noi bimbi, dopo essere stati esaminati dai grandi per vedere di quanto eravamo cresciuti e se fossero spuntati nuovi dentini, rinsaldavamo le vecchie amicizie o ne allacciavamo di nuove di zecca.
Come nella bellissima canzone “Sapore di mare” le giornate passavano pigre e piacevolmente uguali, scandite dalla solita e assolata routine.
Ma un giorno un’improvvisa notizia sconvolse la rituale e ombreggiata siesta pomeridiana:
“C’è MINA alla BUSSOLA!!!”
La cantante, che la sera avrebbe dovuto tenere un concerto, stava provando l’impianto e, con le porte aperte per combattere il caldo, si poteva vedere senza pagare.
Data la vicinanza al famoso locale, dal bagno Adele e da quelli circostanti una grande folla si lanciò in una frenetica gara a chi arrivava prima su quello che non sarebbe esagerato definire “luogo dell’apparizione”.
Mamme con i bimbi piccoli in braccio, babbi che tenevano per mano i più grandicelli: sembrava che una gigantesca scossa elettrica avesse risvegliato la spiaggia dal consueto torpore pomeridiano.
Sicuramente i piloti dei piccoli aerei che incrociavano nel cielo trainando gli striscioni pubblicitari, ai quali dovevamo sembrare come tante formiche impazzite, si saranno chiesti il perché di quell’improvviso esodo di massa.
Nel piazzale di quello che era uno dei templi della musica internazionale c’erano paparazzi che scattavano foto e una folla urlante che si accalcava e cresceva di minuto in minuto.
Dal basso del mio metro scarso mi ci volle poco per capire che non avrei visto nulla e già tiravo la mano del babbo, impaziente di tornare via, quando la gente si aprì proprio davanti a noi e la vidi…
Indossava una maglia di cotone nera che le lasciava le spalle scoperte, un paio di calzoni chiari alla pescatora, un foulard in testa e un paio di occhialoni da sole.
Prima di salire sulla spider bianca con la capote abbassata che la stava aspettando, si girò e salutò con la mano in un boato di applausi.
Seppur affascinato dalla scena, rimasi perplesso perché c’era qualcosa che non mi tornava… era come se un particolare importante non fosse come avrebbe dovuto essere ma non capivo cosa…
A questo punto, nel brusio della folla si udì una vocina colma di stupore che esclamò:
“Ma è A COLORI!!!”
C’è qualcuno che, ancor oggi, giura che quella vocina che scatenò un’esplosione di risate fosse la mia.
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