La macchina del tempo

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Col minimo che zoppica un po’ salgo in sella e dolcemente ruoto la manopola del gas in questa limpida mattina di fine settembre baciata dal sole.
Dietro le finestre, che s’illuminano a una a una, il paese si sta lentamente svegliando e sorrido al pensiero di tutte quelle caffettiere che borbottano allegramente sul fuoco.
Mentre la valle è ancora un lago di silenzio a malapena increspato dalle onde che s’irradiano dal mio tubo di scarico, inizio a salire di quota col motore che, arrivato in temperatura, sembra fare le fusa come un gattone che si stiracchia ancora un po’ assonnato.
Curva dopo curva l’aria si fa più frizzante, ma di abbassare la visiera e rinunciare a questa fredda carezza che mi fa sentire così vivo non ne voglio proprio sapere.
La vegetazione, i colori e persino gli odori iniziano a cambiare e, lentamente, le querce lasciano il posto ai castagni dai cardi già grossi e pieni:
«Chissà se oggi riuscirò a vederne i primi frutti marroni e lucidi?»
Poi è la volta dei faggi dai fusti argentei, col vento dei ricordi che sussurra tra i rami portando con sé immagini e voci da un passato ancora vivido.
Alcune cataste di legname, così precise da non sembrare neanche vere, parlano del lavoro sommesso e tenace di questa gente di montagna che risponde volentieri al mio saluto, e mi ritrovo a pensare come sia incredibile che, al giorno d’oggi, in cosi pochi sappiano come un sorriso e un po’ di umiltà aprano quasi tutte le porte.
Oggi la mia moto è come una macchina del tempo il cui contachilometri sembra un calendario sul quale le cifre scandiscono i giorni di questo viaggio che mi porta nel futuro, fin dentro al cuore dell’autunno.
Curva, breve rettilineo, tornante… la mia ombra, vecchia e fedele compagna di viaggio, si protende impaziente verso la meta mentre grossi e bianchi vascelli incrociano, lenti, in un cielo di smalto blu.
Da qualche parte hanno acceso un fuoco e il caratteristico odore di buona legna bruciata mi arriva alle narici, infondendomi una genuina sensazione di profondo benessere.
Ormai sono arrivato al Passo, spengo il motore, entro nel rifugio e ne riesco con una tazza di the caldo tra le mani leggermente intirizzite.
Mi siedo accanto alla moto e in un silenzio quasi assoluto, rotto solo dal ticchettio dei due grossi cilindri che si raffreddano, accarezzo con lo sguardo i boschi che stanno già indossando quella calda livrea autunnale che nessun Missoni avrebbe mai saputo replicare.
Oggi, mi dico, è uno di quei giorni da centellinare, assaporandoli senza fretta come questa tazza di the che mi riscalda le mani.
Lo so che presto dovrò tornare giù a valle, nella frenesia del presente.
Ma non adesso!.. Non ora!..

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