Leoni di montagna

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La cronoscalata “Fornaci – Barga” era una delle tappe più prestigiose del Campionato Italiano della Montagna, come veniva definito l’insieme delle competizioni che assegnavano il titolo nazionale delle corse in salita, specialità in cui, su tracciati stradali, i piloti dovevano lottare contro quella lancetta del cronometro che sembrava sempre troppo veloce.

Un tempo tutti i grandi campioni, Agostini in primis, all’inizio della carriera si sono cimentati in questa disciplina che, anche con pochi mezzi, dava l’opportunità di mettersi in luce agli occhi delle case costruttrici.
Finita l’emozionante rievocazione storica, mi aggiro pieno di curiosità nel piazzale dove sono raggruppate tutte queste moto che accendevano la mia fantasia di ragazzo, mentre gli anziani proprietari rievocano le imprese di quando erano giovani e ruggenti leoni di queste gare d’altri tempi.
«O’ ragazzi, io la esse della salita di Montaione un l’ho mia ancora imparata!»
«E la voi impara’ ora che sei vecchio?…»
«Fattela spiega’ da lui che c’è cascato du’ volte!…»
«E allora te ci spieghi la curva dopo il laghetto a Sillano, che ti si dovette veni’ a cerca’ nella scarpata!!! »
«E quella volta che ai Resinelli uno finì dentro un pollaio perché s’addormentò nel dirizzone?»
«Poveraccio! Eran du’ settimane che faceva la notte al lavoro… un teneva più l’occhi aperti dal sonno!»
Tra scherzi, risate e pacche sulle spalle mi sposto in mezzo ai capannelli di questi attempati ex piloti, bevendo avidamente le loro storie che profumano di benzina rossa e olio di ricino e parlano di vecchie tute di pelle dagli strappi aggiustati col nastro isolante, di teste protette da ridicole scodelle e di balle di paglia messe più per decorazione che per reale sicurezza.
Racconti che fanno rivivere un Motociclismo eroico fatto di pochi soldi, di lunghe ore strappate al sonno e agli affetti, di mani ferite lavorando sul motore nel tentativo di spremere anche l’ultimo cavallo e di un coraggio assoluto che, a volte, rasentava l’incoscienza.
Guardo questi veterani dai capelli bianchi mentre con la voce fanno il verso al rombo dei motori che ai loro tempi hanno portato in gara e con le mani mimano traiettorie di moto piegate in curve a me invisibili, ma impresse indelebilmente nella memoria di ognuno di loro: hanno gli occhi più giovani che abbia mai visto.
Più in là, da solo, un vecchio centauro accarezza con lo sguardo il contagiri Veglia Borletti di una gloriosa Ducati Desmo; veniva montato inclinato di novanta gradi in modo che il pilota, accucciato col petto sul serbatoio, potesse vedere quando l’esile lancetta raggiungeva la zona alta, col motore che ruggiva al massimo dei giri e tutto succedeva dannatamente in fretta.
Delicatamente, con un misto di affetto e rimpianto, sfiora la manopola del gas mentre nella sua memoria scorrono i volti sbiaditi dal tempo di quegli amici che hanno pagato il massimo tributo al suo stesso desiderio di velocità e vento sul viso.
Il vecchio centauro si guarda intorno, furtivamente si asciuga una piccola lacrima e se ne va… con la sua tuta di pelle, ormai sbiadita e troppo grande, e i suoi mille ricordi.

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