Vespa contro Lambretta

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Erano gli albori dei favolosi anni ’60, quelli del boom economico; dai jukebox uscivano le note del “Supermolleggiato” Celentano e, mentre gli echi delle dispute “Coppi contro Bartali” faticavano a scemare, un nuovo duello infiammava di passione gli animi:

Vespa contro Lambretta!
Per farla breve, i Lambrettisti dicevano che il loro scooter, avendo il motore montato centralmente e la forcella anteriore con due bracci, era più stabile e veloce.
I Vespisti, dal canto loro, rintuzzavano queste affermazioni giurando che la Vespa, se la sapevi guidare, dava le paghe alla Lambretta senza discussioni.
Insomma, ognuna delle due fazioni riteneva il proprio mezzo superiore e molto spesso le accese discussioni da bar culminavano in vere e proprie sfide all’ultimo sangue sulle strade dell’epoca, meno trafficate di quelle di adesso e, soprattutto, prive di autovelox.
Poco importava che le riviste del settore decretassero un sostanziale pareggio per quanto riguarda le prestazioni e che eventuali piccole discrepanze fossero annullate da variabili come la differenza nel peso dei guidatori o, addirittura, la quantità di miscela imbarcata.
Una rivalità così accesa fece la fortuna di quanti misero in commercio kit di preparazione non proprio legali, tanto che a un certo punto era difficile trovare una Vespa o una Lambretta che non fosse almeno un po’ “truccata”, come si diceva allora.
Vespisti e Lambrettisti si conoscevano tutti e si aspettavano sulle strade per tendersi dei veri e propri agguati al solo scopo di sfidarsi per la supremazia locale.
Capisco che adesso possa sembrare strano e persino un po’ ridicolo ma a quei tempi era una cosa tremendamente seria perché parole come “Onore” e “Prestigio” mantenevano ancora intatto il loro significato, tanto che l’onta di aver rifiutato una sfida sarebbe stata assai peggiore di una sconfitta.

«Col carburatore a trombetta si fa 5 km/h in più!» disse il Bruno Bellucci, e tutti annuirono perché, in tema di motori, la sua era un’autorità indiscussa.
«Capirai!..Cosa vuoi che siano 5 km/h?» direte voi…
E invece, no! Una manciata di km/h poteva fare tutta la differenza del mondo e decidere se saresti stato un vincitore acclamato in tutta la zona o l’oggetto di salaci canzonature e sberleffi perché, anche senza internet, tra i giovani le notizie hanno sempre viaggiato veloci.
Stabilito che il carburatore a trombetta (leggi “dotato di cornetto di aspirazione libero”) facendo respirare meglio il motore dava un effettivo, seppur esiguo, incremento di potenza.
Rimaneva il problema di come procurarsene uno da mettere sulla Lambretta del Bruno Bellucci.
Adesso la cosa sarebbe semplice: vai da un meccanico, spendi il dovuto e te lo fai montare ma, a quei tempi, le cose non stavano proprio così.
Diciamo che il bisogno aguzzava l’ingegno e che, fortunatamente, l’inventiva era direttamente proporzionale alla scarsità di quattrini.
Apparve subito chiaro che l’unica soluzione era quella di modificare il carburatore esistente, che era già ben più grosso di quello montato di serie.
Il pomeriggio servì a reperire l’occorrente:
– Un po’ di rete metallica a maglie non troppo fitte.
– Il coperchio di una scatola di latta dei biscotti Mellin.
– Una fascetta metallica di quelle che si stringono col cacciavite.
– Una vecchia scatola di lucido da scarpe Brill.
– Un seghetto da ferro.
– Un gesso bianco.
L’indomani mattina, di buon’ora, eravamo tutti a casa del Bruno per effettuare l’intervento e, come al solito, io ero il più piccolo di tutti e stavo sempre nel mezzo a disturbare e fare domande.
Aperto un cofano laterale della Lambretta, procedemmo a togliere il carburatore che venne smontato in ogni sua più piccola parte e messo a sgrassare nella benzina.
Io guardavo a bocca aperta e dai discorsi dei più grandi iniziavo a fare la conoscenza con parole misteriose come spillo conico, getto del minimo e giglè.
Grazie alle nozioni di Applicazioni Tecniche ricevute a scuola, sul coperchio della scatola di latta venne disegnato col gesso lo sviluppo di un tronco di cono che venne poi ritagliato col seghetto, mentre dalla scatola di lucido da scarpe venne ricavato un anello dell’altezza della scatola stessa che, per un colpo di fortuna, aveva un diametro tale da poter combaciare con l’esterno del foro di aspirazione del carburatore.
A questo punto non restava che andare alla carrozzeria dell’Enzo Gigli, che si trovava appena passato il ponte delle Case Operaie.
Mentre l’Enzo fingeva di non accorgersi di nulla, un nostro amico che faceva l’apprendista riuscì a saldare il tronco di cono sull’anello ricavato dalla scatola di lucido da scarpe e, infine, saldò anche la rete metallica opportunamente sagomata sulla bocca più grande del cono.
Rifinito il tutto con la lima e la carta vetrata e fissatolo sul corpo del carburatore mediante la fascetta il risultato apparve davvero soddisfacente.
Avevamo realizzato un bellissimo carburatore a trombetta con tanto di retina sul cornetto di aspirazione che, oltre a preservarlo dallo sporco, faceva molto “moto da corsa”!
Ora non restava che rimontare il tutto.
Alla fine del primo tentativo, ci accorgemmo che era avanzata una vite.
Al termine del secondo, una piccola molla ci guardava beffarda e dovemmo smontare tutto ancora una volta.
Durante il terzo tentativo, mentre incuriosito esaminavo un pezzettino metallico dalla forma strana, sentii esclamare:
«Fatto! Stavolta un avanza nulla!»
Avrei voluto sparire…
Dopo un paio di energici calci, la Lambretta prese di nuovo vita riempiendo l’aria del caratteristico rumore metallico del suo motore a due tempi.
In una nuvola di fumo dall’aroma di olio ricinato, il Bruno partì per un giro di prova che mi sembrava non finisse mai.
No ero mai stato così in pena…
Ma proprio quando, ormai, pensavo che lo avrei visto tornare a piedi, spingendo la Lambretta in un rosario di moccoli, il Bruno ricomparve sgasando.
«Si sente che è un’altra cosa! Ora digli che vengano con que’ vesponi!…»
disse visibilmente soddisfatto.
Non visto, tirai un sospiro di sollievo, ma nella tasca dei miei calzoncini corti quel pezzettino dalla forma strana mi sembrava che pesasse un quintale.

Commenti

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  1. Giorgio Brandi


    Altri tempi, da noi a Cagliari si tirava da Eugenio, erano gli anni 70. Bisognava battere il Bertagnolli, ai tempi ottimo meccanico e preparatore. Qualcuno ce la fece.
    Bei tempi delle marmitte a farfalla.
    La mia lambra del 68 con 200 preparato e 28 a trombetta gira tutt’ora.
    Ciao lambrettisti per i vesponi basta l’insetticida.

    • Graziano Ansaldi


      Peccato che la Vespa c è tutt ‘ora, in molte versioni, mentre la Lambretta se la sono presa gli indiani e in pratica non esiste più. Comunque, sono contento per te che hai la tua vecchia Lambretta, tienitela vicino e non venderla. Una vera passione non dovrebbe mai finire. Io vado in Vespa dal 1980 e ovviamente tutt ‘ora, e pratico pesistica dal 1975, e tutt’ ora, a differenza della maggior parte delle persone che conosco che hanno mollato tutto e giocano a carte al Bar. Cari saluti.

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