La notte della luna

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«Vedo la luna, vedo le stelle, vedo Caino che fa le frittelle…»

Quando ero piccolo per me la luna era un’entità misteriosa e ammantata di quel fascino arcano di cui la dipingevano certi racconti che la descrivevano come il luogo in cui il Signore aveva imprigionato Caino per punirlo del suo orrendo delitto.
Ricordo che nelle calde sere di plenilunio estivo guardavo quell’enorme pizza appesa sull’orizzonte con l’assoluta convinzione di vedere il volto rossastro del primo omicida della storia, condannato a fare frittelle per l’eternità, che mi guardava da lassù mettendomi in un profondo disagio.
Adesso può sembrare ridicolo ma a quel tempo, fino al raggiungimento dell’età scolare, il sapere veniva tramandato oralmente dai nonni che, complice l’assenza dei genitori che dovevano lavorare, in perfetta buona fede trasmettevano ai bimbi leggende e superstizioni che poco avevano a che fare con la realtà ma che per loro erano oro colato.
Detto questo, mi ritengo fortunato di appartenere a una generazione che ha potuto vivere in diretta la fantastica epopea dello spazio, appassionandosi alla sfida tra le due superpotenze al punto di conoscere a memoria gli equipaggi delle varie navicelle, sia americane che russe, che hanno sfidato l’ignoto.
In quegli anni tutti i ragazzi sognavano di diventare astronauti e nessuno metteva in dubbio che, alla fine del XX secolo, ci sarebbero state basi abitate in orbita attorno alla Terra, sulla Luna e, forse, anche su Marte.
Era la fantascienza letta sui libri che si trasformava in realtà sotto i nostri occhi spalancati su un futuro che ci veniva incontro a una velocità impensata.
E così, col mio animo di bimbo in cui coabitavano vecchie superstizioni ed emozionanti scoperte scientifiche, mi trovai in quell’indimenticabile notte tra il 20 e il 21 luglio del 1969 a trepidare con la mia famiglia davanti alle immagini sfocate della tv in bianco e nero, pendendo dalle labbra di Tito Stagno, dell’indimenticabile Ruggero Orlando e, soprattutto, di quel prof. Enrico Medi capace di spiegare in modo chiaro a tutti anche i concetti più difficili.
Mentre le lancette dell’enorme orologio dello studio televisivo scandivano l’avvicinarci a quel momento tanto atteso e tanto temuto e le notizie dallo spazio si alternavano agli interventi dei vari ospiti in studio, la nonna Anita iniziò a manifestare un certo disagio interiore che, dapprima appena percettibile, crebbe fino a farla esclamare
«Tanto un ci arriveranno mai perché il Signore gliela sposta!»
Colti di sorpresa, cercammo di farla ragionare ma non ci fu verso e, vedendo come si ostinava nella sua convinzione, decidemmo di lasciar perdere per concentrarci di nuovo su quella pietra miliare nella storia dell’umanità che prendeva forma sotto i nostri occhi
Come la maggior parte delle persone della sua età, la nonna aveva una concezione dell’universo rigorosamente geocentrica e profondamente influenzata da certe credenze popolari, in bilico tra religione e superstizione, che da secoli ispiravano la vita nelle campagne.
Nella sua personale cosmologia, c’era la Terra: abitata dagli uomini che c’erano stati messi da Dio per condurre le loro vite, appunto, terrene nelle quali comportarsi bene per guadagnarsi il Paradiso.
E poi c’era il Cielo, con le sue stelle e i suoi pianeti, che ospitava il Paradiso e, quindi, era qualcosa di divino che gli uomini non dovevano neanche pensare di poter sfiorare.
È chiaro che, secondo questa concezione della realtà, il Signore non avrebbe mai permesso che gli uomini arrivassero a corrompere la purezza della Sua dimora celeste e con la loro presenza di peccatori.
Insomma, in Cielo ci si doveva andare mediante la religione e non grazie alla presuntuosa scienza moderna!
Naturalmente, idee bislacche come quella secondo cui la Terra non era il centro dell’universo e, anzi, era lei a girare intorno al Sole non avevano mai scalfito le certezze granitiche della nonna che vedeva ogni giorno la nostra stella percorrere il proprio arco nel cielo; sarebbe stato come cercare di convincerla che il fuoco fa freddo e l’acqua scorre in salita…
Solo adesso posso immaginare quale battaglia interiore stesse vivendo mentre rimuginava in silenzio con gli occhi incollati a quello schermo che le mostrava fatti per lei così scandalosi e ai limiti della sua comprensione.
Poi alle 22:17, al culmine di un crescendo di tensione emotiva, Tito Stagno esplose col suo celebre
«Ha toccato!»
Subito smentito da Ruggero Orlando che gracchiò, stizzito
«No! Mancano ancora dieci metri!»
E fra i due cominciò un memorabile battibecco che provocò le risate e gli applausi degli ospiti in studio e rafforzò nella sua convinzione la nonna, che si fece sfuggire un
«Visto che gliela sposta?»
carico di rivalsa nei confronti di noialtri miscredenti.
Dopo qualche minuto, giudicando di aver visto abbastanza e con l’aria di chi ha avuto ragione, ci dette la buonanotte e si ritirò in camera sua.
Mentre aspettavamo che Armstrong uscisse dal Modulo Lunare, il baluginio del nostro televisore si univa a quello di milioni di altri a rischiarare le tenebre di quella notte irripetibile che ci faceva sentire uniti e trepidanti come mai prima.
Finalmente, alle 4:57, Neil Armstrong in rappresentanza di tutto il genere umano posò il suo piede sulla superficie di quel corpo celeste che da quel momento cessò di appartenere solo alla letteratura per diventare tangibile a tutti gli effetti.
Ricordo che, ingenuamente, mi precipitai sul terrazzo per vedere se nel cielo notturno fosse cambiato qualcosa e tirai un grosso sospiro di sollievo vedendo che era tutto come prima, segno che le dinamiche celesti che regolavano il cosmo non avevano risentito del sacrilegio appena commesso.
Nei giorni seguenti la nonna Anita sembrò snobbare quell’avvenimento così epocale che rimbalzava tra cronache in diretta, telegiornali e quotidiani.
Nessuno parlava d’altro, dallo scienziato al lustrascarpe, ma lei ostentava una serafica indifferenza perché, come ebbe a dire, credeva fermamente che quello che avevamo visto fosse solo un trucco televisivo che poteva essere anche divertente ma, di certo, da non prendere sul serio.
Manifestando pubblicamente quest’idea molti anni prima dell’uscita del famoso film “Capricorn One”, la nonna Anita si segnalò come la prima complottista lunare della storia, primato che nessuno le toglierà mai.
Da quella famosa sera, però, ogni volta che succedeva qualcosa al di fuori dell’ordinario, da una scossa di terremoto a una forte grandinata, la sentivo commentare
«C’en voluti anda’ nella luna!..»
a significare che, anche se non eravamo riusciti a raggiungerla, il solo aver osato provarci aveva provocato delle conseguenze che adesso ci toccava sopportare.
Alcuni intellettuali ritennero che la conquista della luna avrebbe privato il nostro satellite del suo alone di mistero e di magia, riducendolo alla stregua di un arido sasso che ci orbita attorno ma, invece, milioni di cuori sognano ancora grazie e lei e continuano a emozionarsi leggendo del fantastico viaggio di Astolfo e del suo Ippogrifo alla ricerca del senno di Orlando.

Commenti

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  1. GESUALDO PIERONI


    Grazie Daniele 20/7/1969 avevo appena 2 anni e mezzo, ma questo racconto mi ha fatto vivere quel momento come se lo avessi vissuto intensamente… ero piccolo ma ricordo vagamente la curiosità e lo stupore dei genitori per l’avvenimento storico !

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