Il matto

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Stava lì, come ogni giorno, seduto sulla riva a guardare quell’infinita distesa d’acqua in perenne movimento e perso in pensieri che nessuno avrebbe potuto indovinare.
Era una di quelle persone dall’età indefinibile: non molto alto ma ben piazzato e con capelli ancora neri che ben si addicevano al colorito olivastro e agli occhi scuri.
I suoi modi schivi, nessuno l’aveva mai sentito parlare, contrastavano con l’allegra confusione che a ogni ora pervadeva il campeggio e avevano fatto nascere più di una domanda sul suo conto.
Noi ragazzi non ci mettemmo molto a chiamarlo “il Matto” e, del resto, come avresti potuto definire altrimenti un tipo che non parla mai, che ogni mattina esce prestissimo dalla sua tenda per andare al mare e passa tutto il giorno da solo, seduto nel solito posto, a contemplarne l’immensità come ipnotizzato?
Le mamme dicevano ai piccoli di stargli alla larga e i padri ne parlavano apertamente definendolo un po’ tocco e “neanche tanto normale”, accompagnando la frase con una maliziosa strizzatina d’occhio.
Più di una volta ci eravamo avvicinati di nascosto alla sua piazzola, la numero centouno ma, con grande delusione, non avevamo mai visto niente di strano: o non c’era, o si dedicava a fare pulizia o a prepararsi qualcosa da mangiare.

Spillo era uno tosto e non gli ci era voluto molto per assicurarsi il ruolo di capo della piccola banda che riempiva quei giorni d’estate con giochi e scherzi di ogni tipo.
Se dalle docce spariva l’acqua mentre tutti erano insaponati, se alle chiavi dei bungalow venivano scambiate le targhette in modo che nessuno potesse più entrare in casa e se una sfilata di mutande e reggiseni garriva al vento al posto della bandiera italiana sull’alto pennone della reception, non ci voleva molta fantasia per scoprire l’autore delle bravate.
Quel giorno, durante il pranzo, gli era stato proibito per l’ennesima volta di andare a fare il bagno prima delle quattro e, come al solito, gli avevano fatto una testa così sui pericoli della congestione.
A lui venivano a dire certe cose? Proprio a lui, che nuotava come un delfino e che stava sott’acqua più di tutti?
Appena fu certo che tutti dormissero sgattaiolò via, inoltrandosi in quel pigro pomeriggio che lo avvolse nel suo abbraccio rovente.
Con poche energiche pedalate raggiunse la spiaggia, lasciò cadere la bici, si tolse la maglietta e, obbedendo al richiamo delle infinite scaglie d’argento che luccicavano sulla superficie del mare, si tuffò in acqua.
Ai margini del suo campo visivo colse la fugace immagine del Matto che, ormai parte del paesaggio, se ne stava seduto al solito posto.
Nuotando veloce oltrepassò di slancio il limite delle boe, godendo del brivido di quella trasgressione, e si fermò solo quando gli ombrelloni non furono che macchie colorate e lontane.
Fu un attimo!
Un’improvvisa vampa di calore lasciò il posto a una lama di freddo che gli tolse il respiro.
Cercò di nuotare, ma gli arti non rispondevano più.
Allora provò a urlare, ma si trovò la bocca piena di quell’acqua salata che prima gli era amica e adesso gli stringeva la gola in una morsa maligna.
Annaspò per qualche istante di terrore, poi un velo nero gli calò sugli occhi e si sentì sprofondare giù… sempre più giù…

Il signore che portava a spasso il cane sulla riva raccontò di non aver mai visto qualcuno scattare così, tuffarsi senza provocare spruzzi e nuotare sott’acqua a quella velocità impossibile.
In pochi attimi il Matto oltrepassò le boe e riguadagnò la riva tenendo Spillo ben fuori dall’acqua senza alcuno sforzo apparente.
Adagiatolo con dolcezza sulla battigia, con fare esperto gli fece espellere l’acqua dai polmoni permettendogli, tra attacchi di tosse e conati di vomito, di respirare di nuovo.
Subito, in quell’atmosfera i cui colori avevano perso saturazione, si formò un capannello di gente che voleva vedere, curiosare e congratularsi ma, approfittando della ressa, il Matto si era già dileguato scivolando via in silenzio, come sempre.
Al Pronto Soccorso nella cameretta di Spillo il viavai era incessante; tutti volevano vederlo, accarezzarlo e farlo sorridere finché lui, dopo aver raccontato decine di volte di quella forza tremenda che lo aveva preso da sotto per catapultarlo di nuovo nel sole, si addormentò esausto e con un’espressione finalmente serena dipinta sul volto.
Il mattino dopo un corteo di gente, con i genitori di Spillo in testa, si recò a trovare il Matto con l’intento di manifestargli la loro ammirazione e gratitudine.
Camminavano cercando le parole giuste per scusarsi per come lo avevano sempre deriso e giudicato male ma, arrivati sul posto, si ritrovarono completamente disorientati:
la piazzola del Matto non si trovava.
Dopo lunghi minuti d’infruttuose ricerche, sciamarono perplessi verso la direzione del campeggio, dove la risposta che ottennero fu indimenticabile.
«La centouno?… Questo campeggio ha solo cento piazzole!».

Commenti

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  1. Grazie per il bellissimo racconto Daniele , come sempre, con i tuoi racconti , tocchi i tasti del cuore e della mente

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