R-9

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Le note che uscivano dallo scintillante juke box Wurlitzer danzavano tra i rami degli alberi che ombreggiavano il Circolino Estivo della S.M.I. di Fornaci.

Bastava inserire una moneta da cinquanta lire nell’apposita fessura e schiacciare due tasti della pulsantiera, uno alfabetico e l’altro numerico, per poter ascoltare la canzone preferita.
I tasti R e 9, premuti in sequenza, corrispondevano a “John I’m only dancing” cantata da un certo David Bowie: un tipo strano che si esibiva con gli occhi truccati e in abiti “non propriamente maschili”.
Nel timore di essere considerati poco virili noi, ingenui ragazzotti di paese pieni di pregiudizi e testosterone, evitavamo accuratamente quella combinazione di tasti e così quel disco se ne stava muto e ignorato da tutti, tanto che io, con la mia solita fantasia sfrenata, immaginavo che a notte fonda, quando tutto era buio e deserto, gli altri dischi lo prendessero in giro perché non veniva mai scelto da nessuno.
Avete presente lo stereotipo del ragazzo californiano, biondo, atletico e dal sorriso smagliante e contagioso? Danny B. era tutto questo e anche di più.
Nipote di un noto commerciante del paese, era approdato a Fornaci dopo due anni in cui, finita la famosa università U.C.L.A., aveva girato il mondo mantenendosi grazie a lavori occasionali e alla sua straripante simpatia.
Quando si metteva a raccontare di quello che aveva visto e fatto in Paesi che neanche avremmo saputo cercare sul mappamondo era capace di rapire le nostre orecchie e far volare la nostra fantasia per serate intere.
E poi c’era il frisbee! Uno strano e rotondo oggetto volante che non avevamo mai visto e col quale era capace di autentici virtuosismi da giocoliere che ci lasciavano a bocca aperta.
Dopo un’estate passata a giocare con lui al Campone, da maldestri e imbranati che eravamo, diventammo talmente bravi da azzardare prese e disegnare traiettorie che, seppur da lontano, ricordavano le sue.
Le ragazze gli facevano gli occhi languidi e noi ragazzi ce la mettevamo tutta per avere anche solo una briciola del suo carisma, tanto che qualcuno si spingeva fino a imitare il suo accento americano.
Poi, una sera, mentre il Circolino risuonava delle nostre risate, Danny si alzò d’improvviso e si avvicinò al juke box, cosa che non aveva mai fatto.
Estrasse dalla tasca una moneta da cinquanta lire e la introdusse nella fessura.
«Che canzone sceglierà?» pensavamo in un silenzio pieno di aspettativa.
Lentamente il braccio del giradischi si mosse… pescò un 45 giri… lo sistemò contro la puntina… il disco cominciò a girare…
Un improvviso e azzeccato riff di chitarra con la batteria che picchiava duro! In breve tempo nessuno di noi riusciva più a star fermo; mani che battevano sul tavolo e piedi che tenevano il tempo mentre le bocche si allargavano in ampi sorrisi.
Alla fine del pezzo, mentre le ultime note sfumavano nel buio, Danny ci guardò per un lungo istante e poi, con l’aria di chi aveva capito tutto, disse:
« R – 9 ! »
distruggendo in un colpo solo tutti gli stupidi pregiudizi e le immotivate paure in cui eravamo impantanati.
L’estate passò e, dopo una memorabile serata intorno al fuoco in cui risate, lacrime e birra si alternarono fino a notte fonda, Danny tornò in California per iniziare a lavorare.
Coi primi temporali di inizio Ottobre il Circolino chiuse i battenti e il juke box venne messo a riposo sotto uno spesso telo di nylon, ma quei due tasti erano talmente consumati che la R e il 9 ormai si distinguevano a malapena.

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