Storia del Teatro Differenti. 1814: scoppia con la Restaurazione un gran tumulto al Teatro di Barga. (quindicesima parte)

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Continuiamo la nostra storia del Teatro dei Differenti con alcune note inedite che lo riguardano e al tempo stesso descrivono, con un tratto di novità, una pagina della storia di Barga.

 

“Domenica sera 29 cadente ebbe luogo in questo Teatro un Tumulto piuttosto serio originato da diversi individui insubordinati.

Recitavano i dilettanti del Paese e con essi l’Usciere delle Contribuzioni Dirette Angelo Martini.”

Ecco, è con queste lapidarie parole che s’inizia a informare il Sottoprefetto di Pisa, circa ciò che è accaduto al Teatro dei Differenti di Barga. Una vera e propria scazzottata tra due fazioni paesane, che si qualificheranno non tanto quanto una favorevole e una contraria alla Restaurazione, più semplicemente c’era chi vedeva di buon occhio la continuazione di un metodo contributivo e chi pensava, dovesse essere aggiornato al passato granducale, ai ricordati privilegi già concessi da Pietro Leopoldo I.

Ovvio che ci fu un preciso fatto che favorì la preparazione allo scatenarsi di tanta rabbia di una parte dei contendenti, ossia, che sulle tavole del Differenti sarebbe salito come attore in una commedia preparata dai filodrammatici locali, l’usciere delle Contribuzioni Dirette, Angelo Martini, chi in pratica riscuoteva le tasse, pur sempre il sottoposto al Percettore, il vero responsabile dell’ufficio, cioè, Bettini.

In pratica accadde che appena il Martini entrò in scena, una parte degli spettatori scatenasse un putiferio di fischi e urla e per converso c’era chi, invece, applaudiva con vigore e lo esaltava. Fu che si dovette chiudere il sipario e con l’intervento del personale, soprattutto della Guardia e dei più responsabili tra gli spettatori, fu riportato il tutto alla momentanea calma che durò poco, perché, riaperto il telone, con più forza riprese la canaglia, con invettive e insulti, tantoché tra le due fazioni si passò alle vie di fatto. Un parapiglia con scazzottata che dalla platea si portò sino all’ingresso. Fu chiamato e intervenne anche il rinforzo della Guardia che solo dopo essersi intromessa tra i litiganti e forse con parole dirette alla cautela, riuscì a placare.

Ci dice Bertacchi nel suo resoconto che la parte perdente fu quella contraria alle tasse, cioè a com’erano state impostate in epoca napoleonica, e come sempre accade, in ogni metodo politico c’è chi ci guadagna e chi ci perde e forse che vi aveva tratto i suoi guadagni furono chi applaudiva all’usciere Martini.

Passata questa bufera, si vede il responsabile della Comunità di Barga, Giuseppe Bertacchi, che scrive e informa i vari uffici distrettuali circa la composizione di una lista di certi facinorosi e vagabondi di Barga. Resta pensabile che dentro vi fossero confluiti anche chi aveva partecipato alla gran baruffa al Teatro, certamente i più deboli e sciagurati, perché sappiamo, lui lo dice, che tra chi fece confusione per la parte perdente, c’erano anche dei notabili locali, che quasi certamente furono esentati dalla presenza nominale nella predetta lista.

Nonostante questi provvedimenti la questione delle “tasse”, lo diciamo in senso generale, non finì positivamente circa le riscossioni, perché molti restarono morosi lamentandosi presso il gonfaloniere Bertacchi che così scrive al Commissario Regio, che aveva anche poteri di polizia: “L’istesso succede dei Rendatari della Comune; nessuno vuol pagare; la cassa è vuota da gran tempo; gli Impiegati non sono pagati; vi sono dei debiti di fornitura da soddisfare; ed io non so più come andare avanti.”

 

Bertacchi invoca una forza pubblica di polizia da inviarsi a Barga per attuare dei pignoramenti, questo per non far entrare in queste cose la Guardia locale, che si troverebbe in una situazione drammatica, perché in loco sono tutti imparentati tra loro.

Intanto, Bertacchi così informa il Presidente del Buongoverno, ufficio che si occupava di polizia, fisco e carceri, circa lo stop che lui ha dato alle rappresentazioni al Teatro e lo fa nel finale di una lettera, in un Post Scriptum: “Mi ero dimenticato di avvertirla che dopo il fatto suddetto non ho più permessa la continuazione delle recite e l’avrei impedita in quella sera se avessi potuto credere che si giungesse ad un eccesso come quello di cui le ho dato parte.

Similmente essendosi presentata un’altra Compagnia non le ho permesso di aprire il Teatro, tanto più che dopo la nomina della di Lei degnissima Persona alla carica di Presidente del Buon Governo, io ignorava se il dar questo permesso era sempre nelle mie attribuzioni.

In ogni caso credei bene di non accordarlo poiché senza una forza assoldata che protegga efficacemente il buon ordine, sarebbe l’istesso che esporsi a nuovi disgustosi accidenti.”  (25)

 La richiesta fu presto esaudita, infatti, la mattina del 21 giugno ecco arrivare a Barga, alle ore dieci, un distaccamento di nove Reali Dragoni comandati dal Tenente Capecchi e spediti dal Governatore del Dipartimento di Livorno, Francesco Piccolomini. Giuseppe Bertacchi di quest’arrivo che si è detto ne informa dettagliatamente lo stesso Governatore, intrattenendolo però sul numero per lui eccessivo dei soldati mandati, descrivendogli quanto invece occorrerebbe e sarebbe bastante per un buon servizio. Per fare ciò descrive al Governatore in quale misura era presente in Barga la polizia locale sin dal 1799. Allora erano cinque Sbirri e un Caporale, poi, con il Regno d’Etruria, erano rimasti i soliti più sette Soldati detti Truppa di Linea. Con il Governo Francese qui erano stanziati quattro Gendarmi e un Brigadiere (indizio che potrebbe portarci ai futuri Carabinieri) e questi erano bastanti per il buon governo della comunità. Tale numero potrebbe essere attuabile anche ora, perché non occorre più di sei uomini per mantenere l’ordine e la pubblica tranquillità a essi unendo la Guardia Nazionale, però, soggiunge Bertacchi, contano più i detti sei soldati che per esempio, cinquanta della stessa Guardia nazionale. Dei Reali Dragoni ne resteranno nove e poi sappiamo che la lista dei “discoli” della Comunità, già inviata al Sottoprefetto di Pisa, sarà inviata anche al Governatore di Livorno affinché, chi è lì dentro descritto, finisca per rinforzare le Regie  Truppe.

La questione delle Contribuzioni Dirette avrà il suo epilogo, che chiarirà a ogni scettico la vera natura di tutto questo teatrale subbuglio, da leggersi nella doppia accezione del termine, però lo vedremo tra poco.  Intanto vediamo come s’intese celebrare il ritorno ufficiale al soglio Toscano di Ferdinando III. L’argomento ritorno del Granduca era stato accennato nel precedente capitolo e ora lo vedremo nella sua concretezza.

Lo ritroviamo nell’impegno che prese il restaurato Consiglio Generale del gonfaloniere, priori e consiglieri. (26) Il giorno è sempre il 22 settembre 1814 e vediamo cosa si deliberò di festeggiamenti in Barga per quell’importante giorno scelto localmente per unirsi al giubilo di tutta la Toscana al già avvenuto ritorno in Firenze del Granduca, quindi una cerimonia che oltre a essere doverosa, in Barga era viepiù sentita, perché si potesse continuare quel buon rapporto con il trono in riguardo a quella sua vita economica che ora si aspettava anche la vantaggiosa “restaurazione” fiscale.

 

Gli appuntamenti furono decisi e il primo non poteva che essere svolto nel Duomo, con cielo e terra uniti nello ieratico sguardo del San Cristofano. Il giorno fu domenica 25 settembre, con Messa in musica, Inno Ambrosiano di ringraziamento all’Altissimo per la fausta ricorrenza. All’Opera San Cristofano del Duomo, dipendente dal Comune, retta dal consigliere Scipione Bertacchi, che abitava il palazzo dell’attuale Casa Cordati, non parente del gonfaloniere Cavalier Giuseppe Bertacchi (discendente del cavaliere di Santo Stefano Sigismondo Bertacchi) che invece abitava il palazzo di fianco al Teatro, oggi eredi Stefani, in pratica, all’operaio fu demandata ogni cura per l’allestimento della chiesa. Poi, sempre Scipione Bertacchi che con il dott. Bartolomeo Guidi, avrebbe dovuto pensare a una mensa per i poveri da tenersi alle ore dodici sulla “Piazza del Fosso”, che allora non era come oggi ma che comunque si stava avviando a esserlo.

Per fare fronte maggiore alle spese della mensa per i poveri, seduta stante, fu richiesto un contributo a tutti i consiglieri e ognuno fece la sua parte, per poi essere allargata al Paese, con la cura dei consiglieri Filippo Nardini e Luigi Nardi. Il pomeriggio, sempre sul Fosso, ornato ad anfiteatro, ci sarebbe stato il Palio a cavallo detto dell’Anello. In premio al vincitore una colorata bandiera di seta e una pezzuola; mentre per la sera, in segno di festa, ogni facciata delle case e palazzi fosse illuminata e per finire si facessero i fuochi di letizia e quelli artificiali con incendiare i razzi.

Ognuno potrà dire: e che centra in tutto ciò il Teatro? Ebbene ci si arriva subito. Infatti, nota il Cancelliere, che i “Signori adunati, gradiranno assaissimo che siano portate ad effetto le buone disposizioni esternate dal Corpo dei Signori Accademici di questo Teatro dei Differenti, per dare nel medesimo e nella sera suddetta, uno spettacolo gratuito che terminerà lietamente questa memorabile giornata che segna l’epoca fortunata del risorgimento Toscano.”

 Se pensassimo che la delibera terminasse così faremmo un torto ad altri consiglieri che furono incaricati di seguire l’allestimento dell’anfiteatro alla Piazza del Fosso: Antonio Giannelli e Jacopo Cardosi. Poi, Antonio Giannelli e Bartolomeo Guidi, ebbero l’incarico di fare i giudici al Palio. Infine si passò ai delegati da inviare a Firenze, affinché anche la Terra di Barga, come tutte le comunità della Toscana, partecipasse alla pubblica attestazione di giubilo, “Per umiliare ai piedi del trono di S. A. I. e Reale le felicitazioni di questo Popolo, esultante per il suo fausto ritorno al soglio avito Toscano ed i sentimenti comuni e sinceri di fedeltà, di rispetto e di amore.” Per questo incarico furono delegati il gonfaloniere Cavalier Giuseppe Bertacchi e il priore Antonio Pieracchi, seppur fossero ambedue assenti, deliberando che se non avessero accettato, la loro scelta avrebbe reso un gran dispiacere a tutto il Consiglio.

Perché ci fu una simile presa di posizione nei confronti del Gonfaloniere e del Priore è presto detto. Infatti, i due, che certamente godevano in loco di un bel prestigio, oltre a recarsi al cospetto del Granduca per porgergli i rallegramenti di Barga, al tempo stesso ebbero l’incarico di fargli presente che la stessa Barga si aspettava che fosse ristabilito quel privilegio fiscale che gli aveva accordato la gloriosa memoria di Pietro Leopoldo.

Cosa accadde? Intanto va detto che il priore per Firenze non fu Pieracchi che per suoi motivi a noi ignoti rinunciò all’incarico, bensì, fu il suo omologo Scipione Bertacchi, quindi andarono i due Bertacchi, che poi vediamo risarciti nelle spese con delibere consiliari del 31 dicembre 1814, però, in carico al bilancio 1815. La maggiore spesa fu presentata dal Gonfaloniere per le spese fatte su tal oggetto e non solo a Firenze ma anche a Pisa. In tutto si dice che gli occorsero quarantun giorni, presentando un conto di £ 416. Si dice ancora che fu tempo speso bene e ciò lascia intendere che ottenne qualcosa d’importante circa gli sgravi fiscali, infatti, eccoci al nocciolo: “Essendo stata questa Popolazione con Benigno Rescritto di S. A. I. e Reale del dì 14 dicembre cadente, sgravata di un quarto delle Contribuzioni Dirette dell’anno.”

 

Abbiamo aperto questo capitolo con il Tumulto al Teatro di questo 1814 e chiudendolo possiamo affermare che certamente fu utile per il buon esito finale della faccenda tasse. (continua)

 

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25) Copialettere. Arch. Com. Barga.
26) Deliberazioni Comunità di Barga anno 1814. Arch. Com. Barga.

 

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