Solo gli eroi

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PERSONAGGI
Bruno: il mi babbo
Lisetta: la mi mamma
Io: dodicenne “cittadino” e rompipalle
Il Pella: ineffabile vecchietto di montagna
Il Belloni: rubicondo barista di montagna

La recente tappa del Giro d’Italia svoltasi dalle nostre parti e funestata dal maltempo mi ha fatto ricordare un episodio svoltosi sulle stesse strade molti anni fa.
Se volete leggerlo, mettetevi comodi che si parte…
Era l’ultima domenica di un maggio insolitamente avaro di sole ma, finalmente, il tempo sembrò essersi rimesso al bello.
Il Bruno ritenne che bisognasse sfoggiare la sua maglia di fresco campione provinciale di ciclismo “Categoria Gentlemen” anche fuori regione e a tale scopo la corsa dal nome altisonante di “Coppa dell’Appennino” che si svolgeva nel comune di Pieve Pelago capitava proprio a proposito.
Poco importava se avesse vinto il titolo partecipando a un’unica corsa di dilettanti in cui, per una serie di motivi, si trovò a essere il solo rappresentante della propria categoria: gli assenti hanno sempre torto!
Dopo una robusta colazione caricammo la bici sul portapacchi della nostra Simca 1000 verde bottiglia, operazione in cui il Bruno dette sfogo alla sua solita fantasia fatta di corde e cordini di recupero annodati alla sua maniera.
Non sia mai detto che uno che a malincuore aveva abbandonato il suo personale concetto di divisa da ciclismo che comprendeva camicia, maglione e lunghi calzoni grigi con le pinces infilati in calzettoni a scacchi e fermati con due mollette di legno per stendere i panni, si piegasse all’acquisto di “roba da fichetti” come quel pratico portabici che avevano tutti!
Dopo un fiorito rosario di imprecazioni, le operazioni di fissaggio terminarono e potemmo metterci in cammino per un viaggio che sembrò interminabile perché, salendo verso il Passo delle Radici, quasi dopo ogni curva bisognava fermarsi a stringere l’imbragatura della bici.
Come Dio volle, arrivammo appena in tempo per l’iscrizione alla corsa e tra ciclisti, parenti e curiosi la scena pullulava di gente che riservava alla maglia del Bruno sguardi colmi di rispetto e muta ammirazione che lo facevano gongolare visibilmente.
La corsa iniziava e finiva al bivio per Piandelagotti, località Imbrancamento, davanti all’unico piccolo bar, mentre il palco per le premiazioni era stato allestito nella piazzetta sottostrada.
Al colpo di pistola dello starter il gruppo multicolore di una cinquantina di unità si avviò preceduto dalle strombazzanti auto dell’organizzazione in un festoso clima più da allegra scampagnata che da competizione mentre il cielo, da terso che era nelle prime ore del mattino, cominciava a imbronciarsi e minacciosi nuvoloni color inchiostro si radunavano intorno alle cime dei monti…
La corsa si svolgeva su un percorso ad anello ricco di saliscendi che aveva come vertice basso Pieve Pelago e che doveva essere ripetuto per tre volte.
Al passaggio del primo giro alcuni corridori avevano staccato di pochi secondi il gruppo nel quale il Bruno navigava decorosamente tra gli incitamenti della folla.
Il sole era scomparso e, mentre i primi goccioloni di pioggia impattavano l’asfalto, sulle cime tempestose (mi si conceda la citazione) vividi lampi si alternavano a minacciosi brontolii.
Come spesso avviene in montagna, la situazione precipitò velocemente in una burrasca coi fiocchi che fece strage del palco con tutti i suoi festoni e palloncini colorati.
In un fuggi fuggi generale ci riparammo dentro il baretto che, grazie a non so quale miracolo, riuscì a contenere in pochissimi metri quadri decine di persone che, mentre fuori si scatenava la tempesta, iniziavano a preoccuparsi perché i ciclisti erano ormai in netto ritardo.
L’unico felice era il Belloni che dietro a una vecchia macchina da caffè a leve e pistoni, sfornava corretti e poncini a tutto spiano faticando a tener dietro agli ordini.
Siccome era passato mezzogiorno e mi era presa fame, mi avvicinai al banco e gli chiesi se mi faceva un toast al che, strabuzzando gli occhi, si rivolse alla Lisetta con un:«C’ha detto???» indicandomi col pollice come se fossi una specie di bimbetto strano.
Ricevuta la spiegazione di cosa fosse un toast, il Belloni s’illuminò e disse: «Ci penso io!»
Tagliate due robuste fette di pane fatto in casa, le riempì con una generosa fetta di formaggio di vacca e una di prosciutto crudo alta un centimetro e poi le mise a scaldare sulla stufa a legna, tenendole pressate con uno di quei pesanti ferri da stiro che una volta erano in tutte le case.
Io ero dubbioso, ma lui, con lo sguardo pieno d’orgoglio di chi è appena uscito vincitore da una situazione nuova e imprevista, riprese posto dietro al banco con l’autostima alle stelle.
Fuori dai vetri rigati dalla pioggia non si vedeva più nulla, la preoccupazione per i corridori aumentava a vista d’occhio e anche la Lisetta aveva assunto il tipico colorito terreo di chi ha ceduto allo sgomento, quando irruppe l’Assessore allo Sport che, bagnato fradicio, dichiarò che un certo ponticello sul quale dovevano passare i ciclisti era stato travolto dall’improvvisa piena del torrente e, ormai, non esisteva più; altre notizie non ce n’erano perché la tempesta disturbava le trasmissioni delle radioline dell’organizzazione.
Nel generale clima di sconforto, mentre le donne iniziarono a piangere e a raccomandarsi a tutti i Santi del Paradiso e qualche potente moccolo “all’emiliana” sibilava nell’aria ad altezza d’uomo, un vecchietto con tanto di papalina blu, che chiamavano Pella, si mosse dal suo posto accanto alla stufa e, raggiunto il centro della stanza, non trovò di meglio che sentenziare ad alta voce: «A quest’ora son già morti tutti!»
In un coro di «Oggesummaria salvateli!» la Lisetta lo prese per una manica e, come per scongiurarlo, gli disse tra le lacrime «Nooo… che c’è anche il mi marito!!!»
Impietosito e con la classica espressione che si assume per confortare qualcuno anche se non c’è speranza, il Pella disse «Magari… forse… mica tutti tutti…» e si rimise a sedere, che ormai il suo danno l’aveva fatto.
Il tempo passava e la disperazione cresceva di minuto in minuto quando, illuminate da un lampo, alcune sagome si stagliarono nella tempesta: erano in cinque, talmente coperte di fango da risultare irriconoscibili.
La Lisetta mosse il primo esitante passo per andare incontro a quello che sembrava il mi babbo ma si bloccò temendo di sbagliare persona, al che il Bruno esplose in un «SONO QUI!!!..» detto in un modo irripetibile.
«SOLO GLI EROI SONO ARRIVATI!!!» Gridò l’’Assessore allo Sport e tutti ci sciogliemmo in applauso liberatorio.
Da questi intrepidi venimmo a sapere che gli altri corridori si erano ritirati e molti avevano trovato rifugio in case che si affacciavano sul percorso ma che loro, stretto un patto inossidabile, erano riusciti a portare a termine il secondo giro a prezzo di gesta che diventavano sempre più eroiche man mano che venivano narrate in un tripudio di abbracci e pacche sulle spalle come avviene tra reduci cementati da uno scampato pericolo mortale.
Intanto la tempesta si stava placando e dopo aver rifocillato il Bruno con un paio di quei toast che, da oggetti misteriosi erano diventati la specialità della casa e andavano a ruba, uscimmo per metterci in macchina e scappare da quel luogo di tregenda.
Nel farlo incrociammo lo sguardo saputo del Pella che, chiaramente, si attribuiva il merito di aver previsto la salvezza del Bruno e degli altri sopravvissuti e ora stringeva mani a destra e sinistra.
Le gesta di quel manipolo di eroi hanno continuato a risuonare in famiglia e tra gli amici per mesi e anni, ogni volta talmente ingigantite e arricchite di particolari che, al confronto, quelle degli arditi della Grande Guerra sembravano partitine a Monopoli.

p.s.
Un toast così buono non l’ho più mangiato.

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