(racconto di Vincenzo Pardini)
Correva l’estate del 1954 del secolo scorso e ogni pomeriggio, Arturo, che aveva 4 anni, veniva accompagnato in chiesa da Laura, una quindicenne a cui piaceva insegnare catechismo. La madre di Arturo glielo affidava fiduciosa.
Laura, vicina di casa, era bella, simpatica e attenta. Arturo, assai scontroso e solitario, ci andava volentieri, anche perché aveva modo di passeggiare nelle vie del paese: mulattiere di sassi, con scorci aperti sulle valli. Nel borgo non arrivavano strade carrozzabili e il silenzio era pressoché assoluto.
La chiesa si trovava su una piazza che sembrava una terrazza, delimitata da un tramezzo alla cui base si aprivano le feritoie degli arcieri. Era maggio, il profumo di salvia e rosmarino si confondeva con quello delle rose. Assai grande, la chiesa aveva le pareti azzurre. Entrati, a Laura e Arturo veniva incontro il parroco, dal volto pallido, rotondo e severo, il quale invitava il bambino a farsi il Segno di Croce. Emozionato, Arturo portava la mano destra alla fronte, ma non la sapeva dirigere sul cuore e verso le spalle; accoppiandola subito all’altra, mormorava, appena, Padre e Figlio, o Spirito Santo. Il prete lo spronava a riprovare. A lui veniva l’amaro in bocca e guardava Laura, la quale, con un sorriso, tenendogli il braccio, gli faceva ripetere i movimenti.
Il prete, raccolto il breviario da una balaustra, cominciava a leggerlo e a passeggiare dentro e fuori la chiesa. Laura insegnava invece Catechismo ad Arturo: Dio- gli diceva tra l’altro- era in cielo, in terra ed in ogni luogo. Degli uomini, a cui voleva un gran bene, tutto sapeva e vedeva. Ma loro dovevano comportarsi secondo i suoi precetti. E chiedeva ad Arturo, se l’avrebbe fatto. Lui voleva rispondergli di sì, ma lo tratteneva il fatto di non saper fare il Segno di Croce;angosciato, la guardava. Laura, sorridendogli, continuava a parlargli di Dio e della Madonna, di cui gli indicava la statua nella teca di cristallo. Arturo la trovava somigliante a Laura. A casa, appena era solo, provava ad eseguire il Segno di Croce, ma non vi riusciva. Allora gli subentrava il timore del parroco e gli pareva di respirare l’odore della sua veste, di cera e di fumo di sigaretta.
Con il padre, amico del sacerdote, a cui svolgeva lavori nell’orto, andava, talvolta, in canonica. Il cappellano li accoglieva con familiarità, ma a lui non rivolgeva parola. Motivo per cui temeva che potesse svelare al genitore la sua incapacità di segnarsi. Intanto, un paio di volte la settimana Arturo e Laura avevano continuato ad andare in chiesa. In questo frattempo, Arturo si era chiesto perché nemmeno Laura avesse mai detto a sua madre del Segno di Croce. Pensiero che, chissà perché, gli dette un senso di sicurezza. Così che rimase impassibile quando il parroco gli ribadì che se non imparava il Nome del Padre, lo avrebbe posto in ginocchio, sotto la statua di S. Rocco. Una calda sera di giugno, le cicale su alberi di vigne ed orti, volle camminare senza tenere la mano a Laura che, divertita, nonostante le asperità del percorso, acconsentì. Entrati in chiesa, vide che mancava il prete. Senza rendersene conto, prese ad osservare i quadri appesi al divisorio della Via Crucis; in uno dei quali, piegato sotto la Croce, Cristo indossava una veste stracciata, la fronte sanguinante. Ancora senza capacitarsene, pronunciando a mezza voce le parole del Segno di Croce, mosse la mano destra dalla fronte al cuore fino alle spalle, accoppiandola, poi, alla sinistra. Con quei gesti e frasi ebbe sensazione, come gli aveva detto Laura, di trovarsi al cospetto di Dio. Contento come mai gli era accaduto, si stupì di sé stesso parendogli di essere, addirittura, divenuto adulto.
Benché da quel giorno siano trascorsi molti anni, Arturo non ha mai dimenticato quei momenti, con la differenza che, quella sensazione di trovarsi sotto gli occhi di Dio, è adesso divenuta certezza. Una certezza che, talvolta, lo preoccupa e lo disorienta. Ma non vuole chiedersi perché. Preferisce farsi il Segno di Croce.
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