La Domenica delle Palme

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La Settimana Santa aveva inizio con la messa solenne della Domenica delle Palme nella quale si celebrava l’entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme e venivano benedetti i ramoscelli di ulivo che ognuno avrebbe portato a casa per ornare i crocefissi che erano appesi quasi in ogni stanza e quelle immagini di Gesù che dal suo quadro sulla parete sembrava seguire con gli occhi tutti i nostri movimenti cosa che, confesso, a volte m’inquietava un pochino.
Nei giorni precedenti, però, c’era stata la benedizione delle case, un rito molto sentito dalla gente che lo aspettava con grande e partecipata devozione.
Il prete, seguito da un paio di chierichetti vestiti di bianco e dal solito allegro stuolo di ragazzi, entrava in casa e, dopo qualche cordiale convenevole, spargeva l’acqua benedetta con rapidi e solenni colpi di aspersorio pronunciando la formula di rito mentre gli abitanti si facevano il segno della croce e pregavano a capo chino, inginocchiati su pavimenti talmente lucidi che riflettevano la luce delle finestre.
Mi rivedo pieno di aspettativa, con i vestiti che profumavano di bucato e i capelli bagnati perché avevo una stizza che proprio non voleva saperne di stare a posto e in qualche modo bisognava pur rimediare; problema che col tempo si è risolto anche troppo efficacemente…
Benché fosse risaputo che “la benedizione passa sette mura”, le massaie pretendevano che venisse benedetta ogni stanza affinché tutti vedessero come erano state brave a rendere brillante la casa anche negli angoli più nascosti e remoti.
Siccome rifiutare i dolcetti e il “vermuttino” offerto da ogni famiglia sarebbe stata un’offesa imperdonabile, spesso accadeva che, alla fine del giro, prete e chierichetti rientrassero in canonica molto più allegri di quando erano partiti… e su questo ci sarebbe da raccontare qualche aneddoto piuttosto gustoso.
Tornati a scuola il lunedì mattina, dopo aver ricevuto la visita del parroco don Ferretti che ci parlava della fine della Quaresima e dell’importanza della Pasqua, noi ragazzi ritagliavamo delle nere rondini di cartone che venivano applicate ai vetri delle finestre in segno di gioioso ottimismo e di benvenuto per quei coraggiosi animaletti che ogni anno tornavano a rallegrare il nostro cielo con le loro ardite traiettorie.
Specialmente quando la Pasqua era bassa il tempo poteva volgere al brutto e piovere, allora le nonne, per consolarci delle mancate corse all’aria aperta, ci dicevano che anche il cielo era triste perché si ricordava della passione di Gesù.
In ogni casa mani sapienti iniziavano la preparazione di quelle crostate di riso, di semolino e, soprattutto, di quella pasimata (noi la chiamavamo schiaccia di Pasqua) che, oltre a essere motivo di orgoglio per le cuoche, era un elemento importante di quel rito laico e popolare che, compenetrando quello religioso, formava con esso un tutt’uno che era parte fondamentale della nostra tradizione e della nostra cultura.

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