Durante il Venerdì Santo la radio trasmetteva solo lugubre musica sacra, la televisione offriva solo il monoscopio accompagnato da un suono di sottofondo monotono e ossessivo e ogni accenno di gioia e divertimento era severamente bandito perché il profondo lutto per la morte di Gesù permeava le nostre vite tenendole come in uno stato di animazione sospesa.
Era l’apoteosi di una mestizia che raggiungeva il proprio culmine a tarda sera quando in un paese buio, ma suggestivamente punteggiato dai lumini esposti sui davanzali delle finestre, sui muretti e dalle fiaccole portate in mano dai fedeli, aveva luogo la tradizionale Via Crucis.
La giornata del Sabato Santo, invece, era come un limbo temporale permeato dall’attesa della Pasqua e senza particolari impegni religiosi che ci richiamassero in chiesa.
Solo gli scoppi che noi ragazzi facevamo “col potassio” spezzavano la monotonia delle lunghe ore che scandivano il periodo in cui Gesù si trovava nel regno dei morti in attesa di risorgere.
Le pasticche di clorato di potassio erano un rimedio per il mal di gola dal sapore pestilenziale che compravamo in farmacia simulando inesistenti infiammazioni del cavo orale alle quali il Giovanni Menichini, storico commesso e autentica istituzione, fingeva di credere strizzandoci l’occhio e ammiccando furbescamente.
Tritandole finemente e mescolandole con lo zolfo delle “rotelle” usate per fumigare le botti si otteneva una miscela dal sicuro effetto esplosivo che, a volte, eccedeva anche le nostre aspettative.
In una gara a chi faceva il botto più forte mettevamo con maestria la miscela tra due sassi piatti e con una decisa “calcagnata” davamo il via allo scoppio che, specialmente negli androni delle case, produceva una botta che rimbombava fortissima e ci faceva scappare sghignazzando inseguiti dalla furia degli abitanti.
Non di rado succedeva che, esagerando con la miscela, ci si frantumassero i tacchi delle scarpe e allora, al ritorno a casa, gli scapaccioni erano assicurati e con essi anche il lavoro per la storica bottega di calzolaio del Piacentini in Fornaci Vecchia.
A tarda sera, fuori dalla chiesa, veniva allestito il Fuoco Santo attingendo al quale, dopo la benedizione da parte del sacerdote, veniva acceso il grosso e decorato cero pasquale.
Ricordo che mentre la luce delle fiamme si rifletteva negli occhiali del Risaliti, insostituibile e indaffaratissimo sacrestano, accendevamo quella candela che avremmo portato a casa, magari per confortare una persona malata o inferma.
Entrando in chiesa, con le fiammelle delle nostre candele che dipingevano di tonalità calde anche agli algidi marmi degli altari e della balaustra, trovavamo le acquasantiere vuote perché nel corso della funzione si sarebbe proceduto alla benedizione di quell’acqua che avrebbe riempito nuovamente le conche.
Se in paese nei giorni precedenti c’era stata qualche nascita, si aspettava questa notte per celebrare il rito del battesimo perché la nuova acqua santa “aveva più forza” e così i vagiti dei neonati spesso sovrastavano la voce del prete strappando sorrisi a tutti.
A mezzanotte, compiuta la solenne liturgia, venivano sciolte tutte le campane e, mentre sciamavamo felici sul sagrato, l’aria si riempiva dei nostri auguri e delle note festose che annunciavano al mondo che Gesù era risorto e che per la nostra salvezza aveva vinto la morte.
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