Fin da piccolissimo sono stato innamorato dei treni e ricordo con quanta aspettativa aprivo la scatola di quello che, al tempo, era un famosissimo detersivo perché sapevo bene cosa ci avrei trovato dentro.
Con la mano cercavo tra la polvere il piccolo oggetto di plastica del mio desiderio e poi, con gli occhi chiusi, lo portavo al naso per sentire il suo buon profumo di sapone.
Che fosse una delle rare locomotive o uno dei tanti vagoni che già possedevo la felicità era assicurata.
Mi divertivo a comporre piccoli convogli ferroviari che muovevo sul tavolo di cucina in scenari tanto belli quanto immaginari: una ciotola era una collina, uno specchietto era un lago, due coltelli tenuti in equilibrio erano le sbarre di un passaggio a livello e una scatola era, naturalmente, la stazione.
Treni merci e treni passeggeri si incrociavano sui binari della fantasia sotto lo sguardo bonario e divertito della nonna che, a causa della mia sconfinata passione, costringevo quasi ogni giorno a portarmi alla stazione per vedere “quelli veri”.
Poi, in quelle variopinte scatole di cartone cominciai a trovare piccoli oggetti di altro genere e persi interesse: se non c’erano più i trenini, che comprassero pure il sapone che volevano!
Proprio da questi giocattolini racchiusi in quelle scatole di detersivo è nato il detto “L’hai trovato nel Tide?” che per anni e anni è stato usato per indicare un oggetto di poco valore.
Già, il Tide… uno dei tanti prodotti di provenienza americana che avevano invaso l’Italia i cui nomi, benché all’inizio suonassero strani, ci erano diventati familiari e pronunciavamo com’erano scritti.
Tide, per esempio, si pronuncia “Taid” e vuol dire “marea” richiamando l’immagine di un’onda di marea che lava via lo sporco ma noi, che non avevamo ancora cominciato a mettere timidamente “the book on the table”, che ne potevamo sapere?
E poi c’erano anche “Pælmoliv”, “Colgheit”, “Diurbæn’s” e tanti altri prodotti che arrivavano da oltre oceano, ma questa è un’altra storia e verrà raccontata, forse, un’altra volta.
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