Storia del Teatro Differenti. 1688: l’Accademia fa di una casa un Teatro. (quarta parte)

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Come crede si sia capito, è pensabile che a questa data 1688 in cui parte la costruzione del Teatro a Barga, non è da credersi che l’Accademia che lo edifica sia sorta così all’improvviso. C’è tutta una traccia, tutto un substrato culturale, come si è cercato di spiegare con il primo articolo, che ci porta a considerare a un’evoluzione sociale che prendeva avvio già dal secolo XVI, tempo in cui si usava per alcune recite la Loggia di Porta Reale. Da allora la cultura barghigiana poco alla volta evolve e in un secolo fa i suoi progressi, sino a sentire il desiderio di una specifica associazione, un nobile consesso di persone avvinte e unite nell’innalzamento del loro vivere. In quest’ottica si pensi ancora, a quella traccia da noi messa in evidenza e che porta a considerare ancora l’eredità spirituale lasciata dal grande umanista Pietro Angeli, che nonostante stesse sul finire dei suoi anni in Pisa, sin dal 1568, di fatto avesse in Barga il suo personale e grande palazzo, quello su cui oggi fa bella mostra il suo marmoreo busto, posto nella piazza a lui intitolata. Agli inizi dell’Ottocento nascerà in Barga l’Accademia Bargea, espressamente dedicata al nostro Poeta Umanista.

Venendo alla fondazione dell’Accademia Indifferenti chissà come evolse all’atto pratico l’idea associativa ma è pensabile che bastasse una convocazione ufficiale del più volitivo dei futuri associati per far scoccare la scintilla. Probabile sia stato un Bertacchi, famiglia maggiormente accreditata per una simile operazione, tra l’altro era, con altri rami, tra le più ricche di Barga, ma chissà se non un Verzani, un Pieracchi, oppure un Mordini, tutti economicamente ben messi.  Abbiamo fatto solo alcuni cognomi di famiglie in vista all’epoca in Barga e allora vediamo quali furono quelle che tramite la neo Accademia degli Indifferenti, concorsero alla fondazione del primo Teatro l’anno 1688. Il nome Indifferenti restò tale per oltre trent’anni, poi cangiato in Differenti e qui va detto che si sfata una credenza, ossia, che il nome si cambiasse quasi subito, così come vedremo più avanti.

Delle famiglie ne fa un elenco Antonio Nardini nel suo libro già citato e noi lo riprendiamo ampliandone la visione. Prima però va detta una cosa importante che chiarisce da dove nasceva parte della prosperità di queste famiglie. Ciò si evince dalla premessa a un articolo aggiunto allo Statuto di Barga circa la Scuola, stilato l’anno 1630, questo per far capire l’importanza dello studio per i giovani barghigiani. Lì si dice che Barga “ha sempre, per li tempi passati, ricevuto honore et utile grandissimo dalle persone letterate … e che chiunque in detta terra ha da star bene ne beni di fortuna, gl’ha auti per mezzo delle lettere.”  Per questa citazione vedi nota n. 4, secondo articolo, del presente lavoro a puntate.

Ora passiamo ai nomi delle venti famiglie raccolte nell’Accademia e che fecero il Teatro dei Differenti, cui noi abbiamo aggiunto in quale terziere della Terra di Barga o fuori da essa, questi abitassero. Ovviamente le citiamo nei cognomi del capo famiglia iscritti all’Accademia.

Dieci sono del terzo di Porta Reale e per ordine: dott. Francesco Verzani – maestro Michele Coletti – dott. Salvatore Pieracchi – Francesco Sermanni – nobile dott. Leonardo Mordini – nobile dott. Francesco Bertacchi – Angiolfrancesco Bartolini – canonico Francesco Gianelli – nobile dott. Scipione Bertacchi e dott. Anton Giulio Verzani.

Nove sono del Terzo di Porta di Borgo e per ordine: Michel’Angelo Sarti – rettore Giorgio Niccolao Sarti – dott. Placido Mazzolini – com. te Giulio Carlini – cancelliere Giuseppe Carlini – Pietro Fantozzini – dott. Frediano Menchi – canonico Domenico Mazzolini e dott. Camillo Niccoli.  

Nessuna famiglia è presente per il terzo di Macchiaia, mentre ce n’è una che abitava nel sobborgo del Giardino: capitano Cristoforo Nanni.

 L’Accademia, oltre a fare cultura letteraria, com’è chiaro, ebbe da subito l’idea di costruire un Teatro, dove in comunità, si facessero degli spettacoli e commedie in forma di pubblica attività e non più occasionale o relegata in qualche palazzo dove, solo su personale invito si poteva partecipare. Per fare sì che ciò si potesse avverare, cioè, di avere un teatro, ecco che la nascente Accademia decide di acquistare una casa posta nel terzo di Porta Reale, proprio sul confine dell’area castellana efferente alla Porta di Borgo, dove ancora oggi c’è l’attuale Teatro Differenti.

L’acquisizione dello stabile in cui fondare il Teatro, seguendo degli appunti in materia, fu decisa dai costituendi l’accademica il 10 febbraio 1688. Con l’anno che però allora girava a Barga il 25 marzo, tutte le date successive che subito vedremo, come nel caso di quando poi si definì l’affare, il 4 aprile 1688, questo sarebbe dovuto essere segnato come 1689; certamente chi nel secolo XX aveva fatto la nota di cui stiamo parlando, si pensa avesse già rettificato il calcolo degli anni all’attuale metodo. Il contratto fu rogato dopo diciannove giorni dal notaio barghigiano Ser Niccolao Mazzolini, cioè, il 23 aprile 1688.

I padroni della casa da acquistarsi erano i Mazzanghi di Barga, ceduto il bene nel nome della giovane famiglia dei due fratelli figli di Christofano: Maurizio e Domenica, lei moglie di Giovanni Giovannini. I Mazzanghi di Barga, detti anche Mazzeranghi e poi Mazzanga, erano una famiglia di prestigio in loco, così come ci dice il canonico Pietro Magri nel suo Il Territorio di Barga del 1881: “La famiglia Mazzanghi era una delle più distinte e antiche famiglie di Barga”. Un loro ascendente, maestro Francesco Mazzeranghi, nella sua qualità di Semplicista del granduca di Toscana Francesco I, a questi aveva fatto conoscere il celebrato diaspro di Barga. Altro Pancrazio Mazzanghi, probabile figlio di Francesco, fu Semplicista a Pisa agli inizi del secolo XVII.

Dopo l’acquisto della casa, certamente atto successivo al ricevuto nulla osta da parte del granduca Cosimo III di poter erigere in Barga un teatro, ecco che s’inizia a costruirlo, corredato di venti palchi, uno per ogni famiglia che aveva concorso a realizzarlo e fu pronto nell’estate 1690. L’anno precedente, però, gli accademici avevano già deciso a sorte a chi di loro spettasse ogni singolo palco.  Il sorteggio, infatti, era stato fatto il 17 luglio 1689, affidandone la sorte alle mani di un bambino di sei anni, che fu scelto in un certo Giuseppe Leonardi.

Per questo delicato passaggio resta pensabile che tra gli accademici ci fosse stato un preventivo accordo, consistente nel dichiararsi tutti equiparati, cioè, senza distinzioni sociali. Fatto questo passaggio fondamentale, per non creare incomprensioni, ci fu il sorteggio di una lista da comporsi con i venti nomi dei capi famiglia estratti dal bossolo. Fatta questa lista di nomi, ci fu il successivo passaggio, cioè, nel solito bossolo furono posti i numeri con cui erano stati contrassegnati i venti palchi all’interno del Teatro. Sempre il bambino sopra ricordato, estraendo il primo numero corrispondente a un palco, quello spettava alla prima famiglia della lista composta secondo la precedente estrazione. Ecco a seguire come fu la distribuzione dei palchi al nuovissimo Teatro di Barga.

Palco n. 1 spettò alla famiglia del canonico Francesco Giannelli.

Palco n. 2 a quella del nobile dott. Leonardo Mordini.

Palco n. 3 al dott. Anton Giulio Verzani.

Palco n. 4 al nobile Scipione Bertacchi.

Palco n. 5 al com. te Giulio Carlini.

Palco n. 6 al canonico Domenico Mazzolini.

Palco n. 7 a Michelangelo Sarti.

Palco n. 8 al tenente Angiol Francesco Bertolini.

Palco n. 9 al nobile dott. Francesco Bertacchi.

Palco n. 10 al dott. Placido Mazzolini.

Palco n. 11 al tenente Frediano Menchi.

Palco n. 12 al nobile Salvadore Pieracchi.

Palco n. 13 a Francesco Verzani.

Palco n. 14 al dott. Camillo Niccoli.

Palco n. 15 al rettore Giorgio Niccolao Sarti.

Palco n. 16 a Michele Coletti.

Palco n. 17 a Francesco Sermanni.

Palco n. 18 a Piero Fantozzini.

Palco n. 19 al cancelliere Giuseppe Carlini.

Palco n. 20 al capitano Cristoforo Nanni.

 

Dato che sul solito sito di questo Teatro poi rinacque l’anno 1795 l’attuale e, più grande Teatro, ci sarebbe da capire dove fosse stato questo di cui, stiamo parlando. L’argomento è interessante e noi propendiamo fosse verso l’attuale entrata, perché nel retro dell’odierno Teatro, corrispondente alle quinte, esattamente sul lato del vicolo detto del Teatro, infatti, si nota a pari terra una porta occlusa e in alto una sorta di finestra balcone anch’essa occlusa e non da poco ma da molto tempo. Inoltre, appaiono altre tracce che ci portano a credere che il primo Teatro fosse verso la piazza, con la facciata in parte appoggiata al palazzo Micheluccini, che oggi non esiste più. Il fatto che parte della facciata fosse combaciante con un edificio precedente, il palazzo or ora ricordato, ci fa capire perché il nostro Teatro all’esterno non ebbe mai un aspetto molto espressivo. Poi il teatro si andò allungando nel dietro, a inglobare, come si è accennato, una o più costruzioni lì confinanti.

 

Per far capire in quale stato di costrizione si trovasse all’esterno il Teatro, con l’accesso che già si presentava su di una mezza facciata, in soccorso ci viene un dato storico assai noto, consistente nel sapere che l’anno 1759, l’Accademia volle, quantomeno, allargare l’angusta piazzetta da cui si entrava nel Teatro. Per farlo comprò un angolo del palazzo che gli stava di fronte, poi conosciuto come Micheluccini. Quell’angolo lo distrusse, in pratica realizzando una più grande e accogliente piazzetta. Vedi nota a pag. diciassette del già citato libro sul Teatro di Antonio Nardini.

Altro argomento interessante è quello di come poteva essere composto l’interno, cioè, quanti ordini avesse. Si dice, ma non si sa su quali basi, che fossero tre ma a ben pensare disporre venti palchi su tre piani è assai arduo, comunque, potendosi anche fare, il risultato finale assimilava il Teatro a un cilindro che s’innalzava, salvo pensare a palchi di una notevole ampiezza ma ciò parrebbe poco credibile. Più probabile che degli ordini ce ne fossero due, con dieci palchi per ogni ordine e con l’ingresso in platea da una sorta di breve galleria che, al sommo della prima rampa di scale d’accesso, si apriva a destra. Tre ordini di palchi si vedono nell’attuale Teatro ma questo ha quaranta palchi e palchetti.

Niente, salvo accertamenti sull’attuale stabile, ci resta di questo seicentesco Teatro e neppure si sa di chi vi avesse lavorato, sia come progetto, poi nella muratura, come anche d’artisti ad abbellirlo. Solo una vaga notizia di qualche anno successivo ci parla di un artista del pennello. Si tratta dell’eccellente pittore Stefano Lemmi, originario di Sillano di Garfagnana ma residente nella terra d’adozione, Fivizzano in Lunigiana. Di Scuola Bolognese negli ultimi tempi di Guido Reni, fu molto quotato e visse della sua arte, che si mostrò molto tra Massa, la Lunigiana e Modena (13).   Questi parrebbe che negli anni 1693 e 1694 fosse stato ricercato dagli accademici di Barga affinché rinnovasse le pitture delle scene del Teatro, fatte per il vero da solo pochi anni. Per farci un’idea di come pitturasse il Lemmi, rimandiamo il lettore alla ricerca del personaggio su Internet.

 

Il Teatro era stato inaugurato l’anno 1690, certamente in piena estate, con recite di commedie o forse è meglio dire farse teatrali, come “Amore Cieco”, “Dell’Amore l’ardire” e “La Forza del Sospetto”, poi il 17 settembre, con l’esecuzione dell’opera Orfeo di Monteverdi. Agli spettacoli dell’anno 1691 vi partecipò con la sua corte anche il Cardinale barghigiano Jacopo De Angelis (Pisa 1611 – Barga 1695), ospite nel palazzo della sua famiglia, oggi Villa Gherardi. Per altre note circa spettacoli e attività degli accademici impegnati nelle recitazioni, vedono il già citato libro di Antonio Nardini che parla del Teatro. L’attività si svolse per quasi tutto il secolo XVIII. Se occorresse per qualche pubblicazione un elenco di cose rappresentate al Teatro nel corso del secolo XVII e XVIII, lo scrivente potrebbe essere d’aiuto.

Con il secolo XVIII c’è un passaggio diremo fondamentale per la vita del Teatro che per ora non diciamo cosa sia stato, rimandando la nostra intuizione al prossimo articolo. Quanto accennato investe il successore del granduca Cosimo III, Gian Gastone de’ Medici, in carica dal 1723 al 1737. Questi volle prendere sotto la sua ala, il Teatro di Barga ma non sappiamo in quale anno e in virtù di cosa. Il Teatro era ancora degli Accademici Indifferenti e fu allora che il Granduca, decidendo la sua protezione questa fu concessa a una condizione, che d’ora in poi si appellasse Differenti. Chissà quale fu il motivo di questa richiesta, forse di carattere politico con riferimento all’idea più volte da noi espressa circa il senso di libertà che aleggiava ancora tra i barghigiani e fu allora che l’indifferenza si cangiò in differenza.

 

Ci piace chiudere questo nostro racconto di oggi con un articolo che scrisse per il giornale La Corsonna uno dei due condirettori, l’indimenticabile Alfredo Stefani (Barga 1883 – 1929), l’altro era il fratello minore Italo.

Era il 1924 ed egli, a proposito della chiusura in quegli anni del Teatro a causa dei dovuti restauri, così incitava gli Accademici a darsi da fare, in pratica ritessendone la genesi fondante. Il titolo dell’articolo è indicativo: Accademia dei Differenti.

 

Barga. L’Accademia sorse in quei secoli aurei quando, dopo gli orrori e le nebulosità del Medioevo, gli animi si risvegliarono in un empito di nuove e più elevate ispirazioni. Lasciate da parte le armi, spente le fazioni che fomentavano gli odi, abbassate le insegne della riscossa, ben altra riscossa accese gli uomini troppo stanchi di guerre e dagli spalti dei bastioni e dalle mura dei castelli un nuovo comandamento si propagò per le contrade d’Italia che videro sbocciare una primaverile fioritura di arti, di lettere, di civiltà, di progresso. A questa voce di rinascita risposero gli uomini valenti e ardenti e fecero opere mirabili che hanno sfidato i secoli.

Barga non poteva che rispondere con entusiasmo! Aveva già il suo Duomo grande, i suoi palazzi di pietra: tutto un passato di lotte che si erano infrante contro le sue mura invincibili, le speranze più prossime per l’avvenire. Fiorivano le industrie e i suoi uomini più insigni andavano insegnando nelle Università d’Italia e seguivano le corti di principi e mercanteggiavano al di la dei monti. Da lontano erano chiamati artefici dello scalpello e del pennello, modellatori e verniciatori di terrecotte e i signori aprivano i loro palazzi a convegni di lettere e a feste luminose.

E fu appunto da uno di questi convegni che sorse l’idea di formare un’Accademia, che venne poi chiamata dei Differenti, per dar modo ai giovani d’ingegno di esercitarsi alla poesia e al popolo di assistere a questi spettacoli per la sua elevazione spirituale e intellettuale.

Prima in una sala, poi nel teatro, che fu costruito allo scopo e che i vecchi Barghigiani vollero bello ed elegante, ininterrottamente per quasi tre secoli si sono dati gli spettacoli più attraenti, dalla stagione d’opera a corsi di recite di buone compagnie di prosa, poi conferenze, serate di filodrammatici, musica, dizioni e letture.

E si andava a teatro come ad una chiesa, con rispetto e con serietà, tanto che mai era venuta meno la caratteristica signorile che quei diciotto (sic!) accademici, vissuti in un secolo di raffinata educazione, vollero imprimergli.

 

Ora si pone veramente il punto e ci fissiamo l’appuntamento al prossimo articolo, dove avremo l’occasione di sfatare una storica diceria circa il futuro del Teatro di Barga.

 

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13) –Circa il pittore Stefano Lemmi si veda: Memorie Storiche d’Illustri Scrittori e di Uomini Insigni dell’Antica e Moderna Lunigiana. Dizionario, vol. II ; Emanuele Gerini, 1829.

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