Sono sicuro che, come me, anche voi avete una vecchia scatola di latta che usate per metterci dentro la befana.
Ogni anno, quando sentiamo che “è l’ora”, la tiriamo fuori dall’oblio nel quale ha riposato per dodici mesi e, mentre la ripuliamo con cura, ci assale un moto di nostalgico affetto che non confesseremmo mai a nessuno.
Forse per la sua bellezza e le sue generose dimensioni, forse perché regalata da una persona cara, oppure solo perché il coperchio chiudeva bene, tanti e tanti anni fa qualcuno della nostra famiglia la scelse perché mantenesse fragrante il bene più prezioso delle feste più belle.
Bene assolutamente prezioso, la befana, perché frutto di un lavoro fatto con amore secondo un rito che ogni famiglia si tramanda da sempre, nella fede incrollabile che la propria sia assolutamente la più buona di tutte.
Al pari delle statuine del presepio e degli addobbi dell’albero questa vecchia scatola contribuisce in modo così determinante a creare l’atmosfera del Natale che a nessuno di noi, neanche per scherzo, è mai venuto in mente di sostituirla con una più nuova.
Molte mani l’hanno maneggiata e non è più brillante e lucida come una volta, ma a noi piace così perché quell’ammaccatura, quella vernice scrostata e quel bordo piegato ci parlano di Natali felici che non torneranno più e di persone care che ormai vivono solo nei nostri ricordi sui quali si posa, lenta, l’impalpabile patina del tempo.
Per quanta befana possiamo aver fatto, giorno dopo giorno il suo livello calerà fino a quando, fatalmente, cominceremo a intravedere il fondo della scatola, triste preludio alla fine che avverrà in pochissimi giorni.
Allora prenderemo quel caro scrigno ormai vuoto, ma pieno di ricordi, lo puliremo quasi con tenerezza e poi, delicatamente, lo riporremo al suo posto dove attenderà, paziente, un altro Natale.
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