Il Sesto Cajo Baccelli

-

C’è stato un tempo in cui in ogni casa che frequentavo c’erano due cose che non potevano mancare: il calendario di Frate Indovino appeso in cucina vicino alla stufa a legna e il Sesto Cajo Baccelli, che era un famosissimo lunario pieno di consigli per la vita rurale.

Oggi, in queste poche righe, voglio parlare del secondo.
Come molti altri, il nonno Giulio aveva eletto questa piccola pubblicazione a sua indiscutibile guida per i lavori agricoli e spesso attingeva dal suo interno consigli e informazioni che lo aiutavano a tirare avanti quel pezzo di terra che coltivava con grande fatica dopo l’orario di lavoro in fabbrica.
Ricordo che in qualche occasionale disputa riguardante i lavori da fare in campagna, bastava che uno dicesse «Lo dice il Sesto Cajo Baccelli!» e tutti si trovavano immediatamente d’accordo.
Non sono un contadino (bisogna dire agricoltore o qualche altro termine più attuale?) e mi limito a pochi lavoretti in giardino, ma questo lunario non deve mancare mai nella mia casa perché a partire dalla veste grafica, sapientemente immutata nel tempo, mi parla di un mondo in cui la vita era più semplice e seguiva i ritmi della natura.
Un mondo in cui si era più poveri e ingenui, ma tanto più ricchi interiormente e si dava il giusto valore alle cose che contano davvero.
Quante volte il nonno mi faceva sedere sulle ginocchia per leggermi le famose “sestine”, che erano un concentrato di semplice arguzia e satira bonaria messo in rima che ci divertiva sempre!
Ricordo che guardavo con un misto di curiosità e rispetto quella specie di mago-astronomo dalla lunga barba bianca riprodotto in terza pagina e lo consideravo un grande saggio capace, col suo cannocchiale, di penetrare i misteri di quel cielo che regolava le vicende terrene.
Lo Strolago di Brozzi!… bastava il suo nome a evocare alla mia mente di bimbo oscure pratiche arcane ed esoteriche.
Ogni volta che prendo in mano questa piccola meraviglia sento lo scoppiettio dei ciocchi nel camino, il profumo del pane fatto in casa ancora caldo e della terra bagnata dalla pioggia, il gusto del latte appena munto e delle uova che bevevo forandole con uno spillo e rivedo la nonna Faustina che spiana l’impasto per gli gnocchi, che noi chiamavamo “topini”, di cui andavo matto.
Sembra incredibile che un umile libretto dalla veste così semplice e spartana, sopravvissuto miracolosamente a un progresso che tutto appiattisce, abbia una simile potenza evocativa ma, a pensarci bene, il valore che ha va assai oltre la sua funzione originaria perché è ormai diventato una macchina del tempo che al prezzo di pochi spiccioli mi trasporta in un’epoca più serena.

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.