L’11 novembre scorso, come già riportato in questo giornale, ad Emilio Lammari, cittadino di Barga, è stato consegnato il primo premio “San Domenico”, istituito dal Gruppo per la tutela di Nebbiana, Nebbianella e Val di Lago.
La giuria ha votato Lammari quale persona meritevole per la dedizione e l’impegno nelle innumerevoli attività svolte nell’ambito storico-ambientale per la valorizzazione del nostro territorio. La motivazione che ha portato a questo premio l’ha descritta, con la sua penna unica ed inconfondibile, la nostra cara Graziella Cosimini e volentieri condividiamo quanto scritto da Graziella. Una perfetta descrizione di tutto quello che è Emilio Lammari per Barga e la sua comunità.
Emilio Lammari. Una vocazione che si trasforma in missione di scoperta delle vestigia del passato. Dici Emilio e vedi due lunghe gambe che sembrano fatte per misurare passi fermi e decisi, instancabili. Emilio che si inerpica, che si fa strada tra rovi e scépi, che si appoggia ad alberi centenari come amici fidati. Emilio e le sue carte arrotolate, piene di appunti e di disegni.
E’ una gran persona che si è fatta tutta da sé, seguendo il richiamo irresistibile che diveniva e viene dal territorio che abita.
Mi dice, ad una mia specifica domanda, che ha cominciato a sentirlo praticamente a sei anni, davanti alla scoperta del profilo delle Apuane viste da casa sua, a Castelvecchio.
Affascinato dalla linea dell’orizzonte, lo guardava e credeva che quella linea segnasse la fine del mondo e che aldilà ci fosse il baratro, il vuoto. Come desiderava potercisi affacciare e guardare cosa c’era!? Racchiuso o protetto da questo limite sentiva forte l’invito ad esplorare il territorio circostante, segnato da quella vena d’acqua che è la Corsonna. Ogni giorno si spingeva sempre più su e sempre più in là, fin dove, come lui ha confessato, poteva arrivargli il richiamo della madre, la sua voce; una bussola in quelle sue escursioni da bimbetto.
E poi Sergio del Candino, proprietario del mulino ad acqua, importante nella vita di Emilio per le relazioni e i contatti umani. Un mondo gravitava attorno al mulino del Candino; in ogni stagione e ad ogni ora, vi si entrava e se ne usciva con il proprio sacchetto e con un corredo delle ultime nuove, una specie di aggiornamento sulla vita di tutti i giorni.
Sergio diventò negli anni il suo compagno di avventure esplorative. Lo iniziò alla pesca. Avevano escogitato uno stratagemma perché Emilio si potesse allontanare da casa al mattino molto presto senza che i suoi se ne accorgessero. Si legava un cordino al polso e quando sentiva che veniva tirato, Sergio era giù sotto casa che lo aspettava e cominciava la giornata. All’inizio erano i sassi della Corsonna e i pesci che vi si acquattavano, poi cominciarono a uscire dal territorio per pescare. L’esperienza cresceva, scopriva altri orizzonti e la curiosità diventava sempre più amore per il territorio; un amore corrisposto.
Il mulino ad acqua del Candino è parte integrante della vita di Emilio. Egli, diventato padre di un figlio curioso e intelligente come lui, ha trovato il modo di indirizzarlo a ricostruire in scala, sotto la sua guida, per un lavoro scolastico, proprio il mulino funzionante in ogni sua parte. Un lavoro di cui si è sentito orgoglioso quando ha potuto mostrare come funzionava e in qualche modo gli ha dato un’anima, perché le cose che crea l’uomo hanno un ‘anima con cui Emilio si mette in comunicazione.
Ad Emilio parlano le pietre di una casa diroccata, una data sbilenca scritta su un muro, una macina abbandonata, un paio di zoccoli fatti da una mano rozza per un piede bambino che commuovevano per il pensiero del freddo che chi li aveva portati aveva patito. Parlavano della gente che aveva abitato i luoghi, del sudore e del loro travaglio di vita, perché luogo e uomo sono inscindibili e rinvenire le tracce dell’ingegno e della forza che ha l’essere umano di incidere sul territorio è un atto sacro. Non è esagerato dire che Emilio aveva scoperto una propria religione per la quale valeva qualsiasi sacrificio.
La natura si era riappropriata di certi spazi, aveva coperto quasi a preservare le tracce del passato con una vegetazione folta e intricata. Occorreva disboscare, ripulire, prima che affiorassero, ma Emilio sapeva come fare. Arrivava il momento in cui la luce investiva di nuovo quel sentiero che cercava, quel rudere che dava ragione spesso al toponimo da cui Emilio era partito. Fabbrica, Ferriera dovevano pur dire qualcosa in questi posti ora praticamente disabitati. Emilio con le sue scoperte restituiva loro la funzione che avevano avuto un tempo e l’archeologia industriale che questi posti avevano conosciuto ci sorprende.
Ecco la bocca del forno fusorio a far palpitare il cuore di Emilio che vedeva davanti a sé ciò che aveva intuito: un luogo dove si fondeva il ferro e gli sembrava di vedere la manodopera impegnata in quel lavoro che significata pane assicurato.
Come il pane per i cavatori della pietra dei medici, il diaspro alle cave di Giuncheto. Noi barghigiani abbiamo imparato grazie a lui la parola diaspro che le guide turistiche mettono in evidenza parlando delle cappelle medicee. Ora un sentiero conduce , con un po’ di fatica, alle cave di questa pietra solcata da venature sanguigne che sembrano vene palpitanti di vita. Il diaspro prendeva la via per Firenze per impreziosire tra l’altro le sepolture dei medici.
Barga oggi si identifica anche come terra del diaspro. Un tassello in più per la sua civiltà e per la sua cultura di cui andare orgogliosi.
Emilio è uno dei suoi tanti amanti, il più tenace e di lei porta nel cuore lo stemma nobiliare. I suoi elementi costitutivi, colori, dettagli, interpretazioni, significati; li ha illustrati in un piccolo libro che è un sunto della storia, delle vicissitudini della nostra terra.
Lo stemma di Barga incisi su una formella e ritrovato da Emilio sul greto del Serchio vicino Bolognana, infonde a guardarlo un senso di fiducia e di speranza; la nostra barca è raffigurata a vele spiegate piene di vento favorevole, con le corde tese e ritorte. Perché disperare? viene da un lungo viaggio ed è sempre integra, è come se Emilio ce la proponesse per farci coraggio. Come dicesse che c’è modo di conservarla con tutto il suo carico di storia, di saggezza popolare, di spirito di bellezza. Lui, da parte sua ce la mette tutta e noi lo premiamo con convinzione e gratitudine.
Graziella Cosimini
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