Fuori dalla finestra neri e pesanti nuvoloni illuminati da repentini lampi di luce si ammassano sulla cima del monte, lasciando cadere tuoni che rotolano lungo le pendici per poi rimbalzare al mio orecchio.
Smetto di lavorare e il mondo inizia a sfumare in un’altra realtà, perché ogni volta che c’è un temporale non posso fare a meno di ripensare a quanto mi spaventarono quei tuoni sentiti da bimbo per la prima volta. Ricordo che agguantai l’orsacchiotto, mi rintanai sotto il tavolo di cucina e non ci fu verso di farmi uscire.
Dopo un bel po’ la nonna Anita, nella sua infinita dolcezza, allungò la mano verso di me e disse: «Di che hai paura? Sono solo i frati che fanno rotolare le botti nella cantina del loro convento nel cielo!»
Chissà perché, per quanto assurda o ridicola fosse, questa storia mi convinse a rilassarmi e, uscito dal mio improvvisato rifugio, iniziai a tempestare la nonna di domande su quei frati che immaginavo rubicondi e gioiosamente alticci a passare la vita sulle nuvole tra vendemmie, cantine e botti da rotolare e sistemare.
La domenica seguente, alla messa delle undici, mi misi a spiegare a tutti che io conoscevo bene l’origine di quel vino che il prete sembrava gradire particolarmente.
E quando qualcuno, a mezza voce, fece un’osservazione ironica sul fatto che don Lido, dopo appena un paio di gocce d’acqua, era solito versare nel calice generosi fiotti di vino, dissi ad alta voce:
«Gli garba si! Lo fanno i frati in cielo!».
Considerando che a quel tempo la messa si svolgeva in un’atmosfera molto meno rilassata di quella odierna, potete immaginare l’imbarazzo dei miei genitori tra il sommesso sghignazzare dei fedeli che mandò in fumo tutto il raccoglimento della funzione.
Finalmente il temporale è passato e nel cielo si apre uno squarcio d’azzurro che si allarga a vista d’occhio; lo guardo e sorrido al pensiero di come, ancora una volta, questo fenomeno atmosferico mi abbia riportato indietro nel tempo.
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