Orgoglio  e coscienza

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La ragazza era rientrata in casa in quel momento e suo padre la chiamò dal salotto. “Ada, vieni qua, che ti voglio parlare”. Ada, una bella ragazza bruna, alta e slanciata, rispose: “Che vuoi, babbo?”.         “Ho saputo che stai amoreggiando con un giovane – riprese il padre -: ti ci hanno visto insieme svariate volte e tu non avevi detto mai niente né a me, né a tua madre! Che modo di fare è questo? Non sai che ti stai comportando in modo poco corretto?”.

L’uomo, anziano e corpulento, si innervosiva sempre più. In quel mentre entrò la moglie, una piacente signora assai più giovane del marito, che intervenne: “Non la mortificare troppo, Arturo; sarà una cosa da niente, vero, Ada?”. “E’ una cosa seria, invece – rispose la ragazza arrossendo e chinando la testa -, è già qualche tempo che volevo parlarvene; aspettavo solo l’occasione buona, comunque ve lo dico subito: sono fidanzata in segreto con quel giovane da qualche mese e lui ha intenzioni molto serie,  infatti vuol venire a parlare con voi per chiedermi in sposa”.

“Ah!, fece il babbo – assumendo un contegno austero -, se così stanno le cose, vedremo: intanto fammi sapere chi è, che prenderò le dovute informazioni”.  “Si chiama Giuseppe Orsi – ribatté subito Ada -, abita in via Garibaldi, è orfano e vive con la famiglia della sorella, sposata. Lavora allo stabilimento della vetreria ed è caposquadra”.

“Male! – esclamò l’uomo, accigliandosi -. Un uomo con incerte possibilità: è insomma un operaio, un comune salariato. Vedi, figliuola – e la voce del babbo divenne più dolce -, ricordati che dopo la morte di tuo fratello, Bruno, sei la nostra unica consolazione ed io e tua madre sogniamo per te una sistemazione migliore e ti assicuro che le occasioni non ti mancheranno, anzi una forse c’è già”.

La ragazza chinò il capo e non rispose. Sapeva a chi alludeva suo padre: al rag. Vittorio Falchi, suo diretto superiore all’ufficio spedizioni dell’agenzia marittima presso cui lavorava come impiegato da moltissimi anni. Il rag, Falchi veniva spesso a casa sua, col pretesto di parlare con suo padre e intanto la corteggiava. E suo padre ne era contento, anzi cercava di aiutare la cosa.

La mamma riprese opportunamente la parola: “Suvvia, Arturo; di queste cose non si può parlare come di un affare commerciale, bisogna anche tener conto del cuore e dei sentimenti. Aspettiamo prima di decidere frettolosamente”. Ada ringraziò sua madre con uno sguardo.

Arturo Pianosi era un uomo deciso, autoritario, tutto d’un pezzo, come si suol dire; era però  sofferente di cuore. La moglie, Francesca, donna mite, lo aveva sempre assecondato con tatto e bontà. Il loro primogenito, Bruno, l’avevano fatto studiare ed era diventato maestro elementare: doveva essere la consolazione dei genitori, invece morì in guerra, nel 1942, durante una battaglia in Libia. Grandissimo fu il colpo doloroso per i genitori e per la sorella, ma poi lentamente si ripresero e Arturo, che aveva fatto tanto per fare studiare il figlio, per elevarlo dalla media comune, secondo il suo orgoglioso punto di vista, desiderava adesso per la figlia un così detto matrimonio buono e il suo capoufficio, rag. Falchi, che dimostrava molto di interessarsi di Ada, rappresentava un ottimo partito.

Alcuni giorni dopo, all’ora di cena, Arturo rientrò a casa rosso di ira e,  prima ancora di togliersi il soprabito, si scatenò: “Ho avuto le informazioni riguardanti quel tizio – e puntò l’indice minacciosamente verso la figlia -, e dire che sono brutte è dire poco o niente. Forse non lo sai neppure tu ma è un fatto che quell’uomo alcuni anni fa ha avuto a che fare con la legge!”.

La ragazza, dopo qualche istante di sbigottimento, lentamente disse: “Me lo aveva già detto…Speravo che tu non lo venissi a sapere, comunque sono certa che egli è completamente innocente”.  “Calma, per carità – intervenne Francesca, abbracciando la figlia e chiese al  marito di raccontare tutto”. L’uomo si accomodò sulla poltrona e riprese: “Forse, a quel tempo, l’avremo anche letto sul giornale, ma ora non ricordiamo: un uomo fu ucciso a scopo di rapina, di notte, per strada, e gli rubarono tutto, perfino l’orologio e l’anello. Molti furono i sospettati del crimine e fra questi vi era Giuseppe Orsi: egli era amico intimo dell’ucciso e quella sera era stato l’ultimo a parlare con lui, dato che erano stati al cinema insieme. Naturalmente l’Orsi negò sempre e al processo venne assolto per insufficienza di prove. La legge non l’ha potuto punire, ma potenzialmente egli è un delinquente! Credo, Ada, che se non vuoi dare un dispiacere mortale ai tuoi genitori e offendere la memoria di tuo fratello, non penserai più a quell’individuo”. Ada scoppiò in lacrime e scappò in camera. Più tardi si confidò con sua madre: “Quella rapina è costata la vita a un uomo e la pace a Giuseppe: perché essendo amici e perché quella sera erano usciti assieme, la legge l’ha subito sospettato e,  pur senza prove, ha imbastito il processo contro di lui”.

“Ma perché Giuseppe non ha chiesto la revisione del processo per ottenere l’assoluzione con formula piena?”, insistette la madre. “Troppe amarezze gli erano già avvenute, riprese la ragazza: alcuni amici lo avevano allontanato, aveva perso il lavoro e non se la sentiva di ricominciare da capo e con scarse speranze di riuscita; tanto, disse, l’importante è che io abbia la coscienza a posto. Diversi amici lo compresero e lo aiutarono, fra cui quello che gli trovò il nuovo lavoro alla vetreria. Sono convinta, mamma, che egli è innocente, non posso credere diversamente!”. “Voglio credere così anch’io, cara, ma ormai tuo padre è irremovibile; in ogni modo voglio sentire anche il parere di una persona autorevole e giusta.”, concluse la donna.

Il vecchio parroco ascoltò la signora Pianosi, poi parlò lentamente, pesando le parole.

“Conosco Giuseppe Orsi fin da quando era bambino: è sempre stato un bravo ragazzo e fu coinvolto in quella brutta situazione per disgraziata sorte. Noi uomini giudichiamo solo attraverso i fatti o le apparenze, ma nell’animo umano non possiamo vedere chiaro: solo Dio può perfettamente giudicare, quindi il mio è solo un pensiero personale; ma sono fortemente convinto che Giuseppe è innocente. Anzi, egli ha saputo con forza cristiana superare il dramma di cui era il centro, riavere fiducia in sé e nel prossimo e riprendere il posto nella società”.

Francesca parlò al marito del colloquio con il parroco di Giuseppe, ma egli non cedette di un millimetro dal suo diniego assoluto.

Trascorsero alcuni mesi durante i quali Ada e Giuseppe continuarono a vedersi, di nascosto. Ada, già maggiorenne, aveva deciso di sposarsi anche senza il consenso del padre, nonostante che fosse molto combattuta in se stessa. Francesca, con molta cautela, comunicò al marito la decisione della figlia ed egli alla notizia, poco mancò che subisse un attacco di cuore. L’indomani Arturo, come estremo tentativo, si recò a casa di Giuseppe. I due uomini si dettero la mano, si scrutarono, poi Arturo gli parlò di sua figlia, dell’impossibilità di dare il consenso a quel matrimonio e concluse:  “La prego quindi di non pensare più a Ada, altrimenti getterà nella divisione la mia famiglia: lei non ha diritto a questo! Poi, se l’interessa, avrei trovato per lei un vantaggioso lavoro in Venezuela: potrei farlo partire presto; ai documenti e alle spese penserei io”. E Arturo tacque fissando il giovane negli occhi. Quest’ ultimo si alzò di scatto, poi si rimise a sedere e parlò con calma forzata: “Io non voglio dividere la sua famiglia, vorrei anzi entrare a farne parte: il diritto che ho su sua figlia è lo stesso, immagino, che a suo tempo l’ebbe lei con colei che ora è sua moglie: ci amiamo e vogliamo sposarci. La ricchezza, la posizione sociale non ci interessano. Lei non è padrone di sua figlia in senso assoluto: essa ha un’anima personale e può scegliere la via che preferisce. Comunque le posso dire che Ada le vuole molto bene ed è molto a malincuore che è giunta a questo, ma ormai siamo decisi: ci sposeremo. E in quanto alla sua proposta di farmi andare all’estero, sappia che non mi compra né con quella né con tutto l’oro del mondo! Mi auguro però che un giorno i nostri rapporti migliorino e mi riconosca come genero, nel senso buono che deve essere. Questo è quello che desidero con tutto il cuore.”

Le nozze furono celebrate in forma intima e Francesca vi era presente. Prima di partire Ada domandò a sua madre di suo padre. “Stamani non è andato al lavoro, è molto serio, però mi sembrava un po’ commosso, ha voluto che indossassi l’abito più bello: vedrai che un giorno ti benedirà e io farò di tutto perché questo avvenga.”.

Ed infatti, subito dopo il viaggio di nozze, Arturo tollerava che sua moglie andasse a trovare Ada e anzi ne chiedeva notizie e finalmente, dopo qualche mese Ada venne riammessa alla presenza del padre; ma del genero, Arturo non voleva sentirne neppure parlare.

Qualche tempo dopo scoppiò uno scandalo gravissimo all’agenzia di spedizioni dove lavorava Arturo. La Guardia di Finanza marittima aveva scoperto un gruppo di contrabbandieri e risultò che la losca faccenda veniva gestita dalla suddetta agenzia. Furono imputati il direttore e vari impiegati, fra cui Arturo Pianosi. Ma al processo emerse, come unico responsabile, il rag, Vittorio Falchi e Arturo e l’agenzia furono scagionati da ogni accusa, ma per Arturo il colpo era stato troppo forte ed il suo già debole cuore era ormai ridotto malissimo. Non dormiva quasi più e Francesca una volta lo udì parlare fra sé: “Povero me! Ed io che volevo dare mia figlia a quel filibustiere del rag. Vittorio! Per poco non sono stato disonorato, per causa sua. Ma mi ha irrimediabilmente rovinato la salute, ormai sento che è finita!”.

“La prossima volta che vieni a trovarmi, disse Arturo a sua figlia, fai venire tuo marito che lo voglio vedere”. Ada trattenne un’esclamazione di gioia e rispose: “Sì babbo, Giuseppe sarà felice di rivederti: l’ha sempre sperato”.

L’indomani Arturo e Giuseppe erano faccia a faccia. Il malato si alzò a sedere sul letto e gli parlò con voce faticosa: “Ognuno di noi ha i suoi principi e punti di vista che ritiene, in tutta coscienza, giustissimi; ma la nostra natura umana è imperfetta: siamo sottoposti a sbagliare. Questo l’ho sempre saputo, ma maggiormente in questi ultimi tempi ho dovuto amaramente riconoscere di essermi sbagliato su cose per me vitali. So che lei vuole veramente bene a Ada e  l’ha fatta felice: il mio augurio è che la vostra felicità duri per tutta la vita. Io mi sento prossimo a morire ed è per questo che sto per chiederle un particolare favore”. A questo punto Giuseppe, seduto accanto al letto, gli mise una mano sulla spalla, come per conforto ed aiuto, ed allora il malato riprese: “Veda, non vorrei che la mia cara Francesca rimanesse sola”. E tacque.

Giuseppe parlò subito, deciso: “Sono certo che lei guarirà e glielo auguro con tutto il cuore; comunque le do la mia parola d’onore che, in caso di sua morte, sua moglie verrà ad abitare in casa mia e di sua figlia. Ho sempre desiderato di rendermi utile a lei in qualcosa d’importante per guadagnarmi la sua stima; ma sono triste che ciò avvenga per un’occasione dolorosa”.

Il suocero strinse fra le sue la mano destra del genero e disse: “La mia stima ce l’ha! E che il Signore vi protegga sempre”.

Arturo non si riprese più e morì alcune settimane dopo.

Francesca andò ad abitare in casa di Giuseppe e della figlia. E loro furono il bastone della sua vecchiaia ed essa visse serenamente gli ultimi anni della sua vita, allietata dalla compagnia e dall’affetto di sua figlia, del genero e di tre bei nipotini.

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