Anno 1779: le strade della Comunità di Barga (settima parte). Da Porta Macchiaia si va al Passo del Saltello. Le storie di Dusolina.

-

Specialmente nel precedente articolo si è capito che per raggiungere da Barga il suo passo principale per l’Emilia, ossia il Saltello, che stava dopo Sommocolonia, le iniziali vie potevano variare, per poi confluire in un’unica strada, ossia, la via Imperiale, l’arteria principale che già abbiamo osservato parlando della strada che per la Giovicchia ci portava al confine di Stato, ossia, a Ponte all’Ania, così introducendoci nel lucchese.  Questa importante strada però non finiva con l’arrivo a Barga, infatti, come si è detto, da qui continuava sino ai confini con l’allora Modenese, in pratica entrando nel Castello di Barga a Porta Reale e uscendone a Porta Macchiaia. Altre varianti, sentieri, potevano evitare l’ingresso in Barga, ma le strade che abbiamo detto e che ci ha narrato il nostro tecnico Merrighi, erano le principali, quelle più frequentate e da farsi per un tragitto consono alle attese, non solo di ampiezza ma anche di sicurezza.

 

Con questo presente articolo, specialmente con il prossimo, si vedrà che di strade dirette al Saltello, oltre alle già rammentate in altre occasioni, che poi stavano sulla direttrice Ponte a Popolo, Castelvecchio, Albiano, Sommocolonia con arrivo allo stesso Saltello, come altre che partenti da Porta di Borgo raggiungevano l’asse viario or ora rammentato, va detto che ce n’erano ancora due che il passeggero poteva imboccare con l’uscita da Porta Macchiaia. Una di queste vie, nella parte iniziale, era quasi simile a quella che partiva dalla Porta di Borgo e questa poi la tratteremo per prima, mentre dell’altra ne parleremo più avanti e chiuderà questo lavoro. Infatti, con queste due vie finiremo questa nostra settecentesca virtuale cavalcata alla riscoperta delle principali strade che da Barga, enclave fiorentina nella Valle del Serchio, portavano ai paesi interni alla Vicaria come ai confini dello stato.

Prima di iniziare la descrizione della prima strada cui si è fatto cenno, che però descriveremo nel prossimo articolo, va detta una cosa importante che aiuta a inquadrare meglio la storia di ciò che andremo raccontando, consistente nel dire qualcosa di come fossero disposti nei secoli i confini a nord di Barga, ossia, al Passo del Saltello, dove confluivano e s’incontravano le Tre Potenze: Firenze, Modena e Lucca.

Come premessa va detto che quel tratto di territorio, proprio perché ospitante il Passo in oggetto, fu sempre oggetto di violente dispute, causa anche di guerre, dirette a far recedere Barga dalla pretesa volontà di volerlo suo. Le carte, soprattutto settecentesche, non chiariscono molto i confini nei pressi del Saltello, tutto è sfumato o meglio, confuso, anche se in una carta di Morozzi del 1770-83, s’indicano dei termini di confine in quell’area ma, se uno oggigiorno volesse rielaborare il loro vero, non è facile definire dove realmente fosse il confine. Nel caso di questa carta vediamo che il termine più a nord per Barga fosse la località San Bartolomeo. Qui c’era un antico ospitale, esistente nei secoli XII e XIII, questo secondo quanto narra Amedeo Guidugli nel suo libro Sul Cammino del Volto Santo. I riferimenti concernenti il periodo successivo a quei ricordati secoli, però, poi diventano vaghi, adducendo lo stesso Guidugli che forse lo sviluppo del Passo di San Pellegrino ne decise il quasi oblio.

Per questo capitolo di storia forse è da riflettere che quando Barga entrò definitivamente con Firenze, erano gli anni 1342-1347, per raggiungere il Passo del Saltello che conduceva all’area modenese del Frignano, Sant’Anna, Rocca a Pelago e Pieve Pelago, ecc, cioè, affrontarlo, seppur più celere per l’Emilia, per i suoi nuovi conflitti politici, fosse divenuto un tragitto poco sicuro, quindi da evitare. Questo per i mutati interessi che, tra l’altro, comportavano anche un aggravio di gabella passando per il territorio di Barga, ora fiorentino, un’area politico-economica che nella Valle del Serchio, come stato prima non esisteva. Ricordiamo che qui, però alla Foce, confinavano le Tre Potenze, con Lucca che mai intese e si arrese nel lasciare il Passo al dominio modenese, come a quello fiorentino. Infatti, creerà un seppur difficoltoso corridoio con la costituzione delle Tre Terre: Riana, Treppignana e Lupinaia, territorio che s’incuneava tra i possedimenti della modenese Ceserana e la fiorentina Barga. Uno stato di cose, come vedremo seguire, sempre poco chiaro.

 

Per inquadrare meglio questo stato di presunta confusione confinaria, sempre nel citato libro di Guidugli, pagina 102, abbiamo occasione di vedere una carta del territorio barghigiano (1763), poco più di uno schizzo, che è molto singolare. Conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze, parrebbe dimostrare che il possedimento di Barga arrivasse addirittura a lambire San Pellegrino in Alpe e quindi l’antico Ospitale di San Bartolomeo, ora (1763) ridotto a un’osteria o similare, stava dentro i confini di Barga. Ovvio dire che quest’abbozzo territoriale di Barga dimostri che il Passo del Saltello era sotto il controllo politico fiorentino ma è quasi un unicum che lascia perplessi, nel senso che potremmo anche vedere nella carta un’autorevole dichiarazione di ciò che si vorrebbe avere più che descrivere quello che si ha effettivamente. Comunque la solita idea si ha con la carta del territorio di Barga pubblicata a pagina 101, sempre del libro di Guidugli, datata 1764, intitolata Giurisdizione e Arme di Barga, eseguita da Mignoni. Anche in un’altra pubblicata nel libro Barga Medicea, ritenuta del secolo XVI, ma a ben vedere, secondo Castore, il Sito dei Catasti Toscani, da riferirsi ai primi cinquanta anni del Settecento, vediamo che anche lì il Passo del Saltello sia vagamente inserito nel territorio di Barga, e con questa citazione ci fermiamo. Aggiungiamo solamente che in quest’ultima carta sono indicati e disegnati i casotti dove mettere le guardie in caso di peste, ovviamente quelle di Barga, e allora li elenchiamo per quest’area che stiamo trattando: Casotto alla Foce – a Pratello – a San Bartolomeo – al Saltello. Tutti e quattro i casotti stavano sulla linea di confine di Barga che era costituita dalla via Reale che saliva da Ceserana, appunto, che parrebbe fungere proprio da limite territoriale.

 

Per meglio capire cosa volesse dire per i nostri valligiani divisi tra i tre stati la possessione del Passo del Saltello, si rimanda il lettore a leggere un testo che è su questo Sito, dal titolo: “La via del Saltello” di Pietro Moscardini, pubblicato dalla nipote Sara Moscardini, nel 2013. In quel testo si descrivono le complesse e pesanti mosse militari che lì si vissero per il suo controllo tra il secolo XIV e inizi del XV, specialmente condotte dai Montegarullo di Rocca a Pelago. Una storia affascinante che l’autore tratteggia con buone linee storiche. Ricordiamo che i Montegarullo di Rocca a Pelago furono coloro che l’anno 1331 fecero i primi accordi, assieme ai barghigiani, per condurre la Terra di Barga sotto le insegne fiorentine. Un primo tentativo che chiudendosi positivamente solo dopo una ventina d’anni, per l’antichità dell’accaduto, potrebbe conferire a Barga la nobiltà di essere la prima Città Toscana della Provincia di Lucca, ma andiamo avanti.

Prima di lasciare quest’argomento illustrativo che precede la descrizione delle vie per il Saltello che partivano da Porta Macchiaia, però, crediamo essere interessante rifarsi anche ai ricordi popolari di quei magnifici e misteriosi luoghi e per farlo si riprende, sunteggiando, un’intervista effettuata nel 1969 dal nascente Gruppo Storico-Archeologico di Barga (di cui io scrivente ne sono stato dopo anni anche un presidente). L’autore della ricerca storica orale fu uno dei membri fondanti il Gruppo, Renzo Casci, intervistando una vecchia signora di Merizzacchio, Dusolina Renucci che nata nel 1871, allora aveva poco meno di cent’anni. Questa straordinaria pagina popolare, in quei lontani anni pubblicata su un numero de’ il Giornale di Barga, la sua riesumazione, si deve a Vittorio Lino Biondi, che l’ha proposta nel maggio 2022 su facebook.

Dusolina fu intervistata affinché raccontasse e ridicesse cose della sua gioventù, ripetesse quelle memorie che Renzo, da lei aveva sentito narrare e che gli erano rimaste impresse circa il Casone del Birilli a San Bartolomeo e il casamento della Foce, località poste sui confini che stiamo trattando. Ne esce uno spaccato di vita simpaticamente interessante e intrigante, con memorie della centenaria che in certi casi risalivano al suo secolo di nascita, l’Ottocento e forse, per memorie tramandate, anche ai precedenti.

Tutti si sa quanto sia stato attraente nei tempi passati riunirsi a veglio per poi, finita l’informazione del giorno, sentir raccontare le storie, se poi erano di paura, con i bimbi che rizzavano le orecchie e per lo spavento, magari, gli veniva anche la pelle d’oca. Uno stato impressionante che faceva sì che ognuno di loro mai più si sarebbe dimenticato quei racconti. Per avvalorare, se ce ne fosse bisogno, ciò che ci racconterà Dusolina e che vedremo, è saggia cosa ripetere che anche la storia più incredibile possa avere in fondo un suo vero, magari distorto e certamente aumentato nella fola.

 

Ecco allora che Dusolina alla domanda di cosa ci fosse stato alla Foce, località che precede San Bartolomeo e dove confluivano le Tre Potenze di Firenze, Lucca e Modena. Lei rispose: un grosso casamento “dove c’era una grande scala di sasso” e noi ci andavamo perché “la casa rimbombava tutta”; quindi, diciamo noi, era disabitata. Continuava l’intervista con la domanda circa San Bartolomeo e qui il racconto prendeva i toni dell’orrore. Infatti, Dusolina narrava che qui c’era un Casone, una bottega osteria molto frequentata dai viandanti, dicendo ancora che il padrone, il Birilli, ci faceva i soldi a cappellate. Ricordava ancora che lui diceva sempre: maledetto il castagnaccio! Perché non gli piaceva, ma doveva farlo per accontentare i clienti.

Casci, continuando con le domande, chiese a Dusolina: perché questa e altre osterie dovettero poi chiudere? Perché l’Italia, che prima era divisa in sette parti, fu unita e così finì il contrabbando tra uno stato e l’altro. Specialmente alla Foce si andava a comprare il sale, che li costava meno, ma c’erano anche altre cose, una vera bellezza. Dusolina: ma c’erano anche carrozze? C’erano i muli non le carrozze. Il Birilli al Casone ci aveva anche due figlie e portava i soldi con il mulo.

Che vi ricordate di San Bartolomeo? Lì cucinavano le persone! Tanti giovani che ci passavano poi non arrivavano mai e non si sapeva di ognuno che fine avesse fatto.  Ora trascriviamo letteralmente come Dusolina continuava il racconto:

Non si ritrovavano, più neppure lo scheletro. Ma una volta uno fermatosi a cena a San Bartolomeo, trovò nella pietanza un pezzo di dito. Fece finta di niente, se lo mise in tasca, pauroso perché pensava di far la stessa fine; pagò e se ne venne via. A Barga avvisò le guardie che circondarono l’osteria e portarono via tutti (rimase in vita solo un bambino), mentre a San Bartolomeo seminarono il sale perché non ci si potesse più costruire né seminare; e questo non si può fare nemmeno neppure oggi. E se tu, Renzo, guardi nei faggi, ci sono croci perché ci avevano ammazzato tutti quei giovani. Mi ricordo di averle viste tante volte quando andavo con le pecore in Trocida.

 

Poi il racconto andava sulle memorie della Fabbrica del Ferro sulla Corsonna e montagna di Sommocolonia, come della presenza del Romitorio Agostiniano Santa Margherita che stava quasi sulla via per il Saltello. Lo ricordò adducendo si dicesse che c’erano le suore. Ricordava ancora che la pietra della chiesa fu portata a Montebono e, infatti, è ancora murata sulla porta d’ingresso alla chiesetta di quel luogo. Poi che non ricordava dove queste monache avessero il cimitero, dicendo ancora che anche alla località Baldini si diceva che c’erano state le monache ma anche un’osteria. Poi eccoci con il ritorno a un fatto di cronaca nera accaduto alla Molino della Concia che diceva, essere stato davanti casa sua, dove ci abitava una ragazza, Beatrice, che era fidanzata con un ragazzo molto geloso. Lei faceva anche un po’ da sarta e un giorno il fidanzato la vide che rammendava un paio di pantaloni da uomo e lui le disse: chi è il padrone? Sono del Lèsina, e lui glieli prese di mano e li tagliò tutti. Poco tempo dopo il Lèsina fu trovato morto e alla Mocchia c’è sempre la croce. Il Molino della Concia lo portò via una piena della Corsonna.

Che fine fece il Birilli? Dal Casone andò a Catagnana ma poi chiuse anche lì. Era un uomo basso e rosso. Dusolina: vi ricordate dei “burlandotti” (guardie a carattere di milizia)? Sì che li ricordava, sin dal 1883 che venne la peste, lei aveva dodici anni. I “burlandotti” controllavano da tutte le parti e non facevano passare nessuno ma comunque morirono tante persone, specialmente alla Piaggia in Ceragioli. L’intervista terminò con la classica domanda che si pone sempre: di tesori ne avete sentito parlare? Sì! Si diceva che ce ne fosse uno alla Rocchetta di Riboscioli.

Dopo questo interessante intermezzo, pensiamo che sarebbe giunto il momento di andare a vedere e descrivere la prima strada che da Porta Macchiaia portava al Passo del Saltello. Il condizionale è d’obbligo perché, come già detto e si può intuire, ci siamo dilungati un po’ troppo a parlare di questa parte della montagna barghigiana e allora qui si mette un punto e rimandiamo il finale al prossimo e ultimo articolo. (Fine settima parte – continua)

 

 

 

 

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.