Un giallo fornacino

-

Durante il periodo bellico, nel 1944, a Menchi di Filecchio  risiedeva da diversi anni una coppia di coniugi senza figli: lei, Amelia, proveniva dal vicino Piano di Coreglia; mentre lui era di origine germanica ed infatti portava un cognome tedesco; ma veniva chiamato “Il Rosso” a causa del colore dei suoi capelli. Costui, di carattere riservato, era un abile artigiano, impagliava sedie, costruiva cesti, cestoni e simili ed i due vivevano con i proventi di questi lavori. Ma il fronte della guerra che si combatteva nel nostro Paese stava per giungere nel barghigiano, dove  già si trovavano truppe tedesche. Cosicché il nostro uomo che ben conosceva la loro lingua prese a collaborare con essi come interprete e aiutandoli a procurarsi vettovaglie: maiali, mucche ed altro, per il rancio delle truppe. Ed egli con i suoi compatrioti si comportava in amichevole rapporto; e se poi si occupasse anche di informazioni militari, per quanto si sapesse non vi era certezza, però c’era chi diceva che aveva intercesso presso di loro a favore di alcuni sospettati di appartenere ai partigiani. Ma un giorno una pattuglia di tedeschi  si presentò a casa sua: egli fu prelevato e, a piedi, il gruppo scese giù al piano, a Ponte all’Ania dove c’erano delle macchine ad attenderli. E qui, ad osservare la scena, fra altri si trovava una bambina di circa dieci anni: costei tanti anni dopo, sarebbe diventata mia moglie. L’arresto dell’interprete destò scalpore: la voce che correva era che li tradiva; comunque pochi giorni dopo si seppe che egli era stato condotto nello stabilimento SMI di Fornaci, dove stazionavano reparti germanici, ed addirittura c’era chi diceva che lì era stato ucciso. Brutta notizia, ma i gravissimi avvenimenti di quel tempo, con la guerra in corso che stava per giungere nella nostra terra, presto fecero dimenticare il cruento episodio, dato anche  che quell’uomo non era dei nostri luoghi. Ma, ed eccoci al nostro tempo, dopo una settantina d’anni da quell’epoca che, parlando a Fornaci con l’amico Viviano di quel lontano fatto, con mia sorpresa seppi che egli era stato testimone diretto di una parte importante di quell’ avvenimento. Ecco il suo racconto in proposito: “Si era nel luglio del ’44 e la SMI aveva cessato l’attività per motivi bellici, ma ancora un piccolo gruppo di dipendenti era presente nello stabilimento. Fra questi c’ero anch’io, ero molto giovane, avevo sedici anni, e quel giorno mi trovavo, insieme a due sorveglianti della ditta, alla guardiola al ponte sulla ferrovia che dalla fabbrica porta al ‘caricamento’ (delle cartucce, costruite nello stabilimento). Ed ecco che di lì a poco transitò a piedi, davanti a noi, un drappello di soldati delle SS, ben armati, che scortavano un prigioniero: era quel poliglotta! Proseguirono, addentrandosi nel territorio del ‘caricamento’, che era deserto, e qualche minuto più tardi udimmo una scarica di fucili. Poco dopo quei soldati, senza quel tizio, tornarono indietro: era evidente che era stata compiuta un’esecuzione. Allora un sorvegliante mi invitò di andare a vedere dove era il cadavere, onde poi  avvertire del fatto i superiori, ed anche il prete per una benedizione e per le  esequie. Cosicché io girai a lungo sia nei capannoni delle lavorazioni, sia negli spazi all’aperto, sia nei prati, dove c’erano i pavoni…niente: nessuna traccia del morto! Allora si aspettò il giorno seguente dove, con altro personale, fu battuto a fondo tutto il territorio, ma ancora senza esito; ed ancora senza esito furono altre ricerche eseguite in seguito.”. Qui Viviano si soffermò ed io ne approfittai per chiedergli se il prigioniero, rapidamente, potesse essere stato sepolto; ma egli riprese: “No, per seppellirlo sarebbe occorso molto più tempo di quello impiegato dai militari e poi la terra sarebbe rimasta smossa; quindi rimangono solo due ipotesi: la prima che il suo corpo sia stato nascosto così bene chissà dove da non trovarlo più, il che è quasi impossibile; l’altra, direi più probabile, è che invece si sia trattato di una finta esecuzione, dato che era molto amico dei tedeschi i quali, dopo una sparatoria in aria, gli abbiano permesso di fuggire di là dal muro di cinta e non dare più notizie di sé”. “Ma li aveva traditi; ed inoltre conoscendo come i soldati tedeschi  erano esecutori inflessibili degli ordini loro impartiti, come può essere avvenuto così?”, insistei. “No, sembra che non gli aveva traditi collaborando coi partigiani; piuttosto pare che forse gli imbrogliasse prendendo a nome di loro dai contadini dei viveri che invece si teneva per sé. Comunque – soggiunse Viviano – noi, presenti a detta vicenda, pur analizzandola per bene, non trovammo altre ipotesi, all’infuori di queste”. “Insomma – feci io – fu un caso o, per meglio dire, un ‘giallo’ irrisolto”. “Sì – concluse lui -, fu proprio un  ‘giallo’; anzi, più precisamente, un ‘giallo’…   fornacino!”.

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.