Passeggiando tra aspetti pubblici di Barga: arte e memorie collettive. Lo sviluppo del Canteo e l’Alpe di Barga. (quindicesima parte)

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Si riparte per la nostra passeggiata e si sta uscendo dal complesso delle scuole che salutiamo con un occhio supplichevole diretto a quell’opera in bassorilievo di Del Chiaro raccolta in una condizione malmessa, là dietro alla chiesina di Villa Gherardi, dove sta male e fa veramente soffrire a vederla, sperando che si tenga conto di rimontarla e così riportarla alla vista con tutto il suo significato. Per il vero ci si era lasciati con il precedente articolo con l’annuncio che avremmo parlato della Società Colombo ma da buon passeggiatore attento, lo scrivente si è accorto che qui in Canteo andasse raccontata anche un’altra storia e allora iniziamola.

Parlato della scuola superiore, ora l’occhio è preso sulla destra dalla visione del viale Cesare Biondi, volgo di Canteo, voluto l’anno 1925 dall’amministrazione del sindaco di Barga Morando Stefani. Prima del viale c’era una strada ma non lì, bensì scendendo la discesa che ci porta a uscire da ciò che resta del cancello del plesso scolastico superiore, e allora, virtualmente andando avanti a dritto c’era una più piccola strada oggi sparita, la vecchia via Carraia. Questa era la parallela dell’ancora esistente via del Giardino che dall’albergo la Pergola arriva al Cancellone, ma oggi della via Carraia, di questa vecchia strada non resta più traccia, perché, quando si fece il viale, allora detto Littorio, fu alienata è così incorporata nel retro di giardini di villini che pian piano si andarono costruendo sul nuovo e bel viale.

La strada di Carraia solcava Canteo e andava dall’alto al basso Giardino e arrivava, oggi diciamo, dentro il piazzale Lorenzo de’ Medici e da lì sulla provinciale Pascoli. Volgarmente la gente oggi definisce il piazzale intitolato al grande Medici con un appellativo che tale e quale corrisponde al vero, cioè, dei medici, con l’unica variante dell’aggiunta di Barga, perché da lì si accede ai gabinetti dei dottori raccolti nell’edificio in cui, principalmente, si entra dal piazzale.

L’arrivo della vecchia strada all’odierno piazzale Medici e poi al Giardino, qui passava di fianco a una chiesina detta della Madonnina, di cui non restano che tenui tracce, ma quest’appellativo religioso è rimasto tra i barghigiani nel nome della via che per prima salendo dal Giardino il viale Biondi o di Canteo, lo interseca. Questo tratto di una strada, appunto, è denominato via della Madonnina che da qui va a collegarsi con la provinciale Pascoli che porta a Castelvecchio e alla Garfagnana. Da quest’imbocco, prima incrociando la Via dei Remi che qui arrivava dal lato nord di Canteo, si scendeva poi nella valle della Corsonna, il Lato ed era molto utile per condurre la gente di quelle zone al Giardino e ci pare di capire, soprattutto alla detta chiesina. Ovvio dire che quando fu realizzato il viale, volgo di Canteo, la chiesina rimase discosta dal normale traffico a piedi e probabilmente fuori dal moderno piano urbanistico di Barga voluto dal sindaco Morando Stefani sino alla sua soppressione.

Questa strada, la parallela dell’antica via del Giardino, detta la Carraia, saliva qui alle odierne scuole e come la consorella aveva il compito di avviare il passeggero in direzione dei campi e poderi di Canteo e poi alle Rupine, ma prima intersecando la via che veniva dal ponte di Macchiaia, avendo per nome via del Capriolo che scendeva nel Lato, al torrente Corsonna e andava anche a Catagnana e poi Sommocolonia. Facile capire che le due strade di cui stiamo parlando, giunte al sommo del Giardino avessero anche altre direzioni. Perché si dice così? Perché è facile capire e intendere che le due strade avviassero il passeggero anche ad altri luoghi.

Infatti, arrivati in cima a Canteo, cioè alle Rupine, un tempo non c’era il ponte che portasse ognuno e i suoi carri, asini e muli di là dalla costa, oggi anche le macchine. Allora e dunque, la Carraia portava alle Rupine, mentre la via del Giardino aveva maggiormente il compito di portare la gente a varcare il rio di Fontamaggio, un tempo detto rio Vicinale. In pratica la via del Giardino, massimamente, si prendeva per andare alla Fornacetta e da qui a tutta l’area a levante di Barga. Questi sviluppi viari decaddero massimamente quando fu realizzato nel 1942 il ponte detto di Canteo che rese il viale Cesare Biondi, molto più importante di quando si chiamava Littorio, perché allora terminava alla base delle Rupine.

Il ponte, con un tratto di strada, fu realizzato quale prima opera di un progetto che è sempre stato uno dei grandi sogni di Barga: avere una buona strada che andasse in Emilia, che già aveva cercato di realizzare il barghigiano On. Antonio Mordini, che fu anche Ministro ai Lavori Pubblici in Italia con il governo Menabrea, era il 1869; altri suoi tentativi 1859, 1862, 1863 anno di grande impegno, 1864, 1881 e 1885.  Una strada militare che oltre ai progetti non ebbe sviluppi pratici. Come si è capito l’argomento ha una storia singolare che a grandi linee cercheremo di spiegare per poi riprendere il nostro racconto qui in loco dove siamo.

A questo nuovo input, come accennato e quindi tralasciando per ora di parlare della Società Colombo, così come ci si era prefissi con il precedente articolo, ma tranquilli che lo faremo con il prossimo, sì, perché ora ci fermiamo un poco su questo muretto. Da qui si mira anche il Duomo di Barga e ci fermiamo per dire e raccontare di quel sogno Barghigiano che nacque in epoche molto lontane, consistente nel voler collegare Barga alle realtà altre il confine naturale dei monti, qui da noi detta “Lombardia” e i loro abitanti, i “Lombardi”.

È questa un’area geografica che un tempo introduceva Barga anche a una sua parte di territorio comunale e questo sin dai tempi immemorabili, di cui non esiste traccia documentaria, estendendosi di là al Lago Santo, quasi tutte quelle acque, per poi scendere il costone sino ad arrivare quasi al paesetto di Tagliole. Un confine oltremontano che comprendeva anche il Passo del Saltello, una somma d’interessi per la cui difesa Barga subì in vari tempi dei cruenti scontri con le comunità lì confinanti dalla parte del Serchio (passo del Saltello), come di là dai monti.

La via del Saltello, che non è da confondersi con la via dei Remi che è tutt’altra cosa. La strada per il passo, poi detta anche la via dell’Alpe, ebbe nei tempi due sviluppi, di cui il primo, il più antico fu anche realizzato, tale che ci passasse un mulo carico e si potesse dare lo scambio con altro veniente all’inverso, fu quello fatto passare dall’antico Comune di Sommocolonia, il ferrigno castello militarmente attrezzato a tale scopo, cioè, di controllore della via. In questo compito di attiva sorveglianza, il Castello fu fortificato anche dalla gran contessa Matilde di Canossa e suoi antenati ma certamente anche prima. Si ricorda che a Sommocolonia, durato sino al 1842, c’era l’ufficio della dogana cui si doveva versare la tassa del passaggio per la via. Quest’ufficio fu portato poi a Porta Macchiaia a Barga, sino all’ignota soppressione, pensabile avvenisse in concomitanza con l’Unità d’Italia.

L’altra idea fu di arrivare al Saltello uscendo, appunto, da Barga a Porta Macchiaia e da lì salendo verso la chiesa dell’Assunta alla Fornacetta per poi, a destra, indirizzarsi verso Tiglio e da lì sulla montagna di Barga. Questa era conosciuta come la via dell’Alpe che giunta ai mille metri della località Renaio, da qui muoveva verso l’antica osteria della Vetricia, volgendo ancora a sinistra ci si avviava come oggi al passo del Saltello, detto anche la bassa del Saltello ma c’era anche la strada che continuava sino a transitare sui fianchi del monte Cima dell’Omo da dove, similmente, ci s’introduceva di là dall’Alpe.

Della via dell’Alpe verso Sommocolonia, che al termine delle tre potenze (Firenze, Lucca e Modena) s’immetteva nella Strada Imperiale che tramite il passo del Saltello entra nel modenese, abbiamo poche notizie, seppur sin da lontane epoche fosse la più antica e la più frequentata. Possiamo solo dire che per chi da oltre confine fosse arrivato a Sommocolonia la strada avesse due sbocchi principali nel territorio di Barga: il primo verso la stessa Barga, scendendo alla sua pieve di Loppia, poi nel fondovalle sino al Ponte di Calavorno. L’altro da Sommocolonia scendeva il crinale dell’odierno Il Ciocco, passando per Albiano, San Quirico, Castelvecchio e così raggiungendo il Ponte a Popolo sul Serchio.

Circa la via dell’Alpe dalla parte di Barga, come esempio, lo scrivente comunica alcune notizie illustrative dell’anno 1772, dal libro delle Deliberazioni della Comunità di Barga che vanno dal 1750 al 1776 stile comune, cioè di oggi, troviamo una notizia che spiega assai bene quale fosse il forte desiderio di avere una strada per la montagna maggiormente diretta alla stessa Barga. (57)

Prima di quest’anno 1772 c’era già stato un tentativo nel 1755 ma poi ne seguì uno l’anno 1777, come pure dopo la caduta di Napoleone nel 1815 con un progetto dell’Ing. Fossi, per poi passare a Mordini ma non finì solo con lui, perché ci volle riprovare il Generale del Genio Ruggiero Micheluccini nel 1912. Altro nacque negli anni ’30 del Novecento ed ebbe anche nel 1938 l’approvazione del Consiglio Lavori Pubblici, iniziarono i lavori nel 1942 ma per il tragico sviluppo della Guerra, fu realizzato solo il ponte in cima Canteo e poco altro. Nel dopoguerra, l’anno 1947, ripresero i lavori portando la strada sino al bivio per Tiglio, poi ci fu l’abbandono del progetto, seppur nel 1961 ci fosse stato già in atto un finanziamento per un altro lotto da parte della Provincia di Lucca. L’ultimo tentativo di realizzare la strada, sempre sull’idea 1938, fu degli anni ’80 del Novecento, arrivando con una buona strada sino a Pegnana.

Riferite queste indicazioni circa la secolare storia di uno dei grandi desideri barghigiani, vediamo allora quale idea mosse il tentativo nel 1772, cioè, di una strada che comodamente per l’epoca, andasse di là dall’Alpe di Barga, cosa che non avvenne se non sulle solite mulattiere, però, per una maggiore chiarezza di cosa si desideri dire al passeggero che virtualmente è qui con noi, si legga quanto segue.

Infatti, questo è un tempo in cui già si sente circolare in Barga l’idea che il Granduca volesse ridare alla Comunità tutto quel bene costituito dalla Macchia dell’Alpe che gli aveva sottratto al momento che fondò l’Ordine Militare di Santo Stefano Martire; una restituzione che avverrà poco dopo e che vedremo più avanti. Ovvio che con queste percepite novità si pensasse ad attrezzare maggiormente la viabilità, per Barga un pensiero che smuoveva enormi difficoltà sulla questione, mentre ora pareva si fosse aperto uno spiraglio di speranza e fondato. Si faccia attenzione che si parla di una strada con tutte le sue caratteristiche, perché di sentieri in parte importanti, che valicassero l’Alpe, già ce ne erano.

Prima però di comunicare qualche nota, caro lettore, ci piace ripetere l’introduzione di quel libro che ho qui con me, trascritta sopra una semplice pubblicazione illustrativa che facemmo come Circolo Cesare Biondi nel 1989, quando allestimmo una piccola mostra in concomitanza con l’ennesima ripresa del progetto via dell’Alpe, la strada del Saltello, che come fosse un destino scritto, nuovamente si arenò. A seguire l’apertura del libro e poi la delibera anno 1772:

Libro dei Partiti e Deliberazioni fatte dalla Comunità di Barga, principiato ad onore e gloria dell’Onnipotente Iddio, alla Gloriosissima Immacolata Vergine Maria e di S. Cristofano protettore di questa Terra e di tutta la Celestial Corte del Paradiso, questo dì 9 aprile 1750. La delibera così è introdotta e cioè: A dì 8 settembre 1772. Deliberazione sopra l’aprimento della strada di sull’Alpe barghigiano.

 In pratica, da quanto si dice nella delibera, si apprende che la strada è detta “someggiabile” su progetto dell’Ingegner Bombicci che così, egli stesso, illustra al Consiglio della Terra di Barga, cioè, atta al comodo transito delle bestie da soma e che è stata già presentata a Sua Altezza Reale per favorire il commercio con lo Stato di Modena e che parte dalla Porta Macchiaia, che girando sui vicini poggi per circa sei miglia infine s’innalza sull’alta montagna per poi andare a diramarsi in due vie, una verso levante e l’altra continuando a nord per l’Alpe di Romecchio, quindi al Saltello.

Gli adunati furono poi avvertiti che non avrebbe toccato il territorio della Garfagnana modenese e anche lucchese, quindi stessero tranquilli circa la pace con i confinanti, seguitando, che ci sarebbero stati degli importanti utili, derivanti da una ripresa commerciale, consistente nello smercio di prodotti della locale montagna come la farina di castagne, poi anche del vino e quell’olio, che preso a Pietrasanta si sarebbe introdotto con un buon profitto nel modenese che ne erano sprovvisti. Tutto un previsto commercio che avrebbe giovato alla Comunità anche per il passaggio sulla strada dei greggi al tempo della transumanza, perché sarebbe una via molto più breve per i modenesi per raggiungere la Maremma, quindi si previde potesse divenire un buon utile per l’entrata della gabella comunale di transito. Certamente c’era anche l’importante aspetto per Barga dell’entrata nel territorio comunale dei prodotti che qui scarseggiavano, come grano, granturco, bestiame, formaggi, burro, ecc.

Per costruire la strada si era già posto in chiaro, in Delibera, che chi era soggetto all’Estimo comunale avrebbe dovuto, a ogni semplice cenno dei maggiorenti, dare il proprio contributo o in opere, due per famiglia, oppure in due lire per ognuna di esse che non sarebbe stata eseguita, con l’assunzione da parte del Comune del sostentamento giornaliero a chi avrebbe svolto l’opera.

Le preoccupazioni circa gli sconfinamenti della strada, parrebbero tramandarsi da circa quindici anni prima, esattamente al già citato 1755, quando un progetto del Ducato di Lucca, avrebbe voluto far passare da Barga una via che Firenze vide pericolosa circa un eventuale e diverso orientamento politico della sua enclave, quindi, ora, si assicurava che il diniego era stato attentamente osservato.

La questione strada per l’Alpe, seppur impostata in un’epoca nuova, non trovava sfogo anche perché, oltre a quanto detto, alla difficoltà economica da superare, c’era la preoccupazione della Via dei Remi, seppur come impegno fosse in un’iniziale fase di scioglimento, che da sempre stava a cuore al Granduca per la fornitura all’Arsenale Mediceo di Pisa di remi e legname, seppur ora fosse più una scusante che una vera realtà, comunque tale era il ragionamento. Infatti, poco alla volta ci si avviava al progressivo superamento di questo metodo fiorentino di costituire la flotta, che i tempi nuovi imponevano. Difatti, come si è accennato, siamo in tempo in cui si annusa questa novità, la vicinanza temporale circa lo scadere della Via dei Remi, e Barga vorrebbe una nuova via civile che sostituisse quella pseudo militare dei Remi, che aveva un tragitto non completamente conforme alle necessità pratiche di un traffico civile, anche perché all’Alpe da questa si diramavano varie vie. Per il vero, pare di capire, che con la delibera si volesse intervenire almeno su una parte della Via dei Remi per renderla sfruttabile per ogni uso. Infatti, leggendo la delibera in oggetto, pare di capire tra le righe, quindi senza dirlo espressamente, che si volesse operare un intervento che rendesse il più possibile someggiabile un qualcosa già esistente e per cui si continua a investire soldi provenienti dalle casse fiorentine, appunto, la Via dei Remi.

Quand’è che la macchia dei faggi, al cui servizio era la Via dei Remi, sottratta all’importante uso economico della Comunità di Barga dal Granduca Cosimo I circa l’anno 1562, fece ritorno al diretto dominio dei barghigiani? Eccoci al punto lasciato in sospeso, cioè, che in quest’anno 1772 della delibera comunale, già si sente nell’aria che qualcosa d’importante va cambiando circa la marineria granducale. Si tratta dei tempi nuovi che rendono quasi inutili i remi per le navi per l’affermarsi di nuovi modi di viaggiare sul mare e allora ecco che il Granduca, dopo quattordici anni, correndo il 7 novembre 1786, rende allo sfruttamento della popolazione Barghigiana la macchia dell’Alpe che era stata incamerata tra i beni dello Scrittoio delle Possessioni.

Narra la storia che in quest’anno 1786, quattro mesi prima del suo Motuproprio per l’Alpe, il Granduca Leopoldo fosse venuto a Barga in concomitanza con i festeggiamenti al patrono San Cristofano, ossia, il 24 e il 25 luglio giorno ufficiale del festeggiamento. Venne in visita diremo ufficiale al territorio che in quegli anni di riforme dette “leopoldine”, foriere per Barga di varie e discutibili novità, infatti, c’era stata la soppressione di chiese e compagnie, con l’inventario e successivo incameramento dei loro beni sacri, arredi e cose di comune uso, che poi la mattina del patrono San Cristofano, furono ridistribuite a Palazzo Pretorio, alla presenza dello stesso Granduca, tra i rettori delle chiese povere del territorio. Queste soppressioni erano accadute un poco prima, forse, senza neppure sapere il Granduca cosa di preciso stesse disponendo, magari avendo unicamente riposto fiducia in sommarie informazioni ricevute.

Accadde allora che con questa visita del 1786 il Granduca rimettesse al suo posto alcune cose e di tutte le chiese chiuse in attesa di essere profanate, pian piano volle che di quelle cadute sotto la scure, la maggioranza tornassero quasi all’antica funzione o, se volute da dismettersi e poi padronali, dall’avvenuta profanazione ci fosse la nuova consacrazione. Solo due si persero per sempre; una fu quella del Monastero di Sant’Agostino in piazza Angelio, allora uno spazio castellano più piccolo e chiamata Santa Maria Novella, che avvenne con gli anni a seguire però sempre dal punto di vista delle citate riforme. Infatti, il suo destino trovò compimento con l’anno 1792, quando il monastero fu aggregato a quello di San Nicola a Pisa. Parimenti si perse la chiesa di San Domenico delle omonime suore per le quali, con questa visita a Barga e anche al loro convento, decise il Granduca, che già aveva creduto di far cosa giusta da Firenze a voler questo luogo trasformato in Conservatorio per gli studi, dopo che ebbe visitato l’ampio monastero delle Clarisse, ebbe un subitaneo ripensamento e volle quest’ultimo come sede del futuro e stesso Conservatorio. Cosicché, decise che le oblate di San Domenico fossero unite alle Clarisse (avvenne nel 1788), senza che ognuna perdesse il suo stato religioso, però, che le nuove suore e da ora in avanti, fossero oblate, cioè senza voti.  Su quest’argomento vedi il dodicesimo articolo.

Probabile che con questa visita a Barga dell’estate 1786, seppur velatamente, il Granduca avesse già annunciato ai maggiorenti del luogo che aveva deciso di rendere la Macchia dell’Alpe alla popolazione della stessa Barga. Comunque, come si è capito, questi 1786 fu rivoluzionario per Barga e allora vediamo cosa ci sia da dire circa il ritorno dell’Alpe ai barghigiani. Iniziamo, allora, dicendo che per questa evenienza, resasi concreta il 7 novembre 1786, cioè, per poi seguirla nei suoi atti da farsi in Firenze, ecco che tramite il Consiglio della Terra, retto dal Gonfaloniere Giacomo Pieracchi, si nomina il dott. Michelangelo Giannetti, che nella capitale granducale svolgeva il suo importante e apprezzato lavoro di medico e lettore presso l’Ospedale di Santa Maria Nuova.

Giannetti, messosi all’opera per l’importante ambasceria, sabato 9 dicembre 1786 firma una lettera diretta a Barga, al cancelliere della Comunità Vincenzo Damiani, che si chiude con il suo ringraziamento per la buona opinione espressa nei suoi confronti dai rappresentanti del Comune. Inizialmente dichiara che ha avuto nelle mani una certa somma, i frutti spettanti alla Comunità di Barga, in gran parte da spendersi per sostenere i costi dell’affare Alpe di Barga e che al calcolo gli rimarrà qualcosa che coprirà solo un terzo di quanto, ci sarà ancora da sborsare il successivo lunedì 11 dicembre per gli atti finale del contratto e le due copie, una per Barga e l’altra per il Reale Scrittoio. Si dichiara altresì disposto a coprire quella spesa che occorrerà ma che si badasse che di ciò resterà a lui debitore il Comune.

Il 23 dicembre invia al cancelliere di Barga un’altra lettera, dove dichiara che ha speso lire 495 per il contratto, rimettendo in aggiunta l’elenco delle altre spese da lui sostenute e che si badasse a non fare errori di calcolo “non volendoci rimettere di tasca unitamente ai miei incomodi”, si chiude la missiva con la disponibilità offerta dal Giannetti, ossia, laddove fosse reputato utile che si comandasse. Segue la sua firma che è questa che si trascrive: Michelangiolo Gianetti.

Caro passeggero lettore, anche oggi si è fatto una bella galoppata tra aspetti e memorie di Barga e non ci resta che fissarci appuntamento al prossimo articolo con cui, oltre a un’occhiata a Canteo, passeremo alla Società Colombo.

 

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57) Citando il 1750 si ricorda che anche per Barga come per tutto il fiorentino, con questa scadenza ci sarà il passaggio dal calcolo dell’anno non più partendo dal 25 marzo, bensì, come oggi, dal 1° gennaio.

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