La pandemia ha stravolto tutto, incluse le nostre feste. Dopo il Natale, vissuto coi dettami delle norme antivirus, ci apprestiamo a vivere la Pasqua in maniera pressoché analoga. Nella nostra mente ha ormai preso posto, alla stregua di un’entità malefica, l’ombra della peste, come la chiamavano i nostri antenati. In molti paesi di Media Valle e Garfagnana, anni fa, quando erano ancora assai popolati, gli anziani, sull’onda della memoria popolare, raccontavano i periodi flagellati dalla peste come fossero ancora dietro l’angolo di qualche vicolo o piazza. Storie tristi, dove la gente moriva, e pochi erano coloro che assistevano gli ammalati; tanta la paura di contagiarsi. Solo i religiosi, tra cui i frati, si prodigavano al capezzale degli infettati.
Storia e tradizione tramandano che tra questi c’era anche Fra Michele da Barga, morto in odore di santità. Ma sopra tutti, capeggia S. Rocco di Montpellier, una sorta di S. Francesco postumo, a cui sono stati dedicati, nella nostra terra, oratori e chiese. Lui stesso, morendo, lasciò una placca con sopra scritto che, se invocato con fede, avrebbe continuato a guarire gli appestati in ogni tempo. La sua vita, sebbene ammantata di leggenda e di mistero, ha comunque lasciato un grande esempio di abnegazione e di solidarietà, fino a prefigurare il volontariato moderno. Si tramanda che fosse piccolo di statura, di corpo fragile, mani sottili, biondo e riccioluto e con occhi di un blu profondo e luminoso, che mai gli venne meno nei momenti più difficili. Perfino il Papa volle conoscerlo e ne rimase ammirato.
Rocco aveva la facoltà di guarire gli appestati, e lo fece traversando città e paesi della nostra penisola. Dove non giunse di persona, giunse con lo spirito.
A Vallico Sopra , nel 1630, alla stregua di altre terre d’Italia, si propagò la peste bubbonica (la stessa che troviamo ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni), che mieté molte vittime in località Canapali. Ci fu chi attribuiva la moria alle acque del “Fontanone”. Niente di più sbagliato. L’acqua, che sgorgava e sgorga ancora dalla roccia viva, era salubre. I superstiti se ne avvidero, allorché iniziarono a invocare S. Rocco che, in breve, li libererà dal morbo.
In segno di riconoscenza e devozione gli dedicarono, intitolandogliela, una delle due chiese di Vallico Sopra. Una chiesa austera, con una sola navata, il pavimento di pietre irregolari, che emanano il fascino di tempo e storia.
Abbiamo raccontato ciò, per meglio entrare nel vivo di questa Pasqua che ci vuole impegnati a riscoprire la nostra interiorità. Insomma a viaggiare in quello sterminato continente che ognuno si porta dentro, tra sentimenti buoni e cattivi, contraddizioni, smarrimenti ma anche speranza, che mai deve venire meno. E’ stato detto che, iniziato l’isolamento pandemico, sono stati riscoperti valori e consuetudini dimenticate. Tra queste la lettura, la preghiera e la meditazione; fino ad apprezzare, e voler meglio capire, come sia e come si svolga la vita di clausura di monaci e suore che trascorrono i giorni chiusi nei monasteri. Chiusi col corpo, non con la mente, immersa nel silenzio e nell’ orazione. Un mondo difficile quanto affascinante, da prendere ad esempio. Monaci e suore sono infatti artisti della preghiera, tramite unico e onnipotente che lascia intravvedere inediti spazi di luce. Quella luce che Einstein ebbe a dire che era l’ombra di Dio.
(Da Il Giornale di Barga del marzo 2021 n. 844)
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