Un altro pezzo manca all’appello della collezione di cui potremmo fregiarci oggi. Si tratta di una tavola della pietta in collo alla gloriosa vergine maria con sancto Francesco, sancto Domenico, sancta Maria Madalena, sancta Brigida, sancto Cristoforo protectore et advocato di Barga et difensore, Sancto Sebastiano e sancto Rocho.
Il 6 ottobre 1528 il Consiglio comunale emanò l’ordine di erigere una cappella votata a questi santi da apporre infra la chiesa della pieve e il palazzo del rettore, lungo il muro dell’orto. Questa era stata pensata per essere adornata da una tavola invetriata per il quale lavoro era stata stanziata una spesa pubblica di 10 ducati larghi d’oro. Il 5 febbraio dell’anno seguente venne deliberato che 4 di questi ducati fossero consegnati a mo’ di arra dagli ambasciatori [che] si trovano in Firenze.
Quella che noi percepiamo oggi come una richiesta di un manufatto decorativo, all’epoca appariva invece come una necessità impellente per estirpare la piaga dilagante della peste che nel biennio ‘27-‘29 stava mietendo vittime nella città di Barga e nella Toscana tutta. Le cure mediche dell’epoca non erano certo miracolose quanto la grazia che potevano concedere i santi Rocco e Sebastiano e per questo si diffusero a macchia di leopardo luoghi di culto a loro dedicati sulle mura della città appestata, nella speranza che il riverbero taumaturgico dei santi potesse essere maggiore se non contenuto tra le mura di una chiesa.
In origine i lavori robbiani non di rado si trovavano all’esterno, grazie al processo d’invetriatura che garantiva una conservazione perfetta dei materiali nonostante la costante esposizione alle intemperie. Vasari dice che: “[Luca] andò tanto ghiribizzano che trovò modo da diffenderle dall’ingiurie del tempo; per che, dopo avere molte cose esperimentato, trovò che il dar loro una coperta d’invetriato addosso, fatto con stagno, terra ghetta, antimonio et altri minerali e misture, cotte al fuoco d’una fornace a posta, faceva benissimo questo effetto e faceva l’opere di terra quasi eterne.”
Ma questo lavoro fu davvero mai realizzato? Non lo sappiamo. Possibili cedimenti e barbariche spoliazioni restano altre ipotesi plausibili ma improbabili. È da credere infatti che la peste causò importanti rallentamenti che col protrarsi del tempo portarono a non realizzare mai questo lavoro; va aggiunto poi che proprio nel 1528 Giovanni della Robbia, ultimo erede in patria di questa pratica, morì mentre Luca ‘il Giovane’ si trovava già in Francia.
Inaccettabile l’idea di Marchi che forzatamente vede la deliberazione del 1528 di cui sopra, espletata nella tavola mancante dell’invetriatura nella cappella destra del duomo. Anche un occhio poco esperto può accorgersi della mancanza di corrispondenze dei personaggi tra quello che fu ordinato e quello che rimane di quella tavola mutilata, sebbene non rubesta ma di qualità men pregevole, e impossibile da attribuire alla mano di Giovanni o di un suo collaboratore.
Un’invenzione invece, più che una forzatura, la lettura del documento di commissione del 1528 da parte di Marchi, colpevole di aver alimentato le credenze della fornace robbiana a Barga. La sua errata trascrizione della frase et che vi sia l’arme del popolo fiorentino nella comunità di Barga o de Patti – emendata dall’Angelini – era stata inspiegabilmente corrotta in acciocché vi sia lavoro allo popolo fiorentino nella comunità di Barga o de Patti, alimentando così le vane speranze sul presunto centro di produzione locale.
Questa pala non invetriata (in foto), con tutta probabilità, si trovava fuori da Porta Mancianella (poi Porta Reale) e sarebbe da identificarsi con quella per cui furono richieste al Comune delle elemosine pro tabula Virgini, S. Rochi et S. Sebastiani.
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