La Scomparsa (nona puntata)

-

La sveglia suonò puntuale alle sette e Giuseppe aprì gli occhi. Ci mise qualche secondo più del dovuto a riconoscere la stanza, la sua stanza. Allungò il braccio e spense.

Si alzò meccanicamente ed andò in bagno. Seduto sul pensatoio si ricordò improvvisamente di Sirino. Balzò in piedi e in un attimo si trovò in cucina davanti al tavolo, niente era fuori posto. Corse in sala, tutto esattamente come al solito, il cordless giaceva sul divano, scarico. Gli ritornarono in mente frammenti dell’esperienza vissuta, corse alla porta e fece per aprirla. Chiusa.

Tutto era a posto, tutto era esattamente come lo aveva lasciato l’ultima volta che era uscito di casa la mattina precedente e come lo aveva ritrovato al suo rientro la sera, nel tardo pomeriggio, quando aveva deciso di non andare al bar dagli amici.

Tutto esattamente come doveva essere.

Si domandò se avesse cenato… evidentemente no, non ricordava niente… cioè, ricordava a pezzi, era come un sogno. Cosa era successo? Davvero era entrata Adele?

E Sirino? Un senso di inquietudine lo colse. Guardò l’orologio, le sette e venti, doveva vestirsi e andare a lavoro, non c’era tempo di perdersi in ulteriori riflessioni. Si mise i primi pantaloni che trovò, la camicia, un maglione, calzini, scarpe, prese la giacca, le chiavi della macchina e si avviò verso la porta.

Mentre girava la chiave ricordò la voce di Sirino che gli diceva che non stava sognando, sentì un brivido corrergli lungo la schiena, battè col piede a terra e il pavimento rispose.

Aprì la porta di casa e un raggio di sole lo colpì dritto in faccia. Era giorno. Una bella giornata.

Chiuse la porta e si avviò verso la macchina.

Quindi, ricapitolando, mi sta dicendo che la Signorina Adele X è tornata a casa?”

Il maresciallo guardava Giuseppe con un’espressione che oscillava tra il disperato e il preoccupato, poi girava gli occhi verso il Dottor Giannini, che stava serio serio, quasi iconico, con un’espressione molto professionale di chi ha la situazione in mano. In realtà nessuno sapeva cosa fare.

Giuseppe, uscito dal lavoro, era corso in caserma. Il tempo di farsi ricevere dal maresciallo e aveva detto tutto d’un fiato quello che si ricordava, questi aveva chiamato il dottor Giannini che in meno di dieci minuti era arrivato.

Adesso erano tutti e tre seduti negli uffici del maresciallo, a porte chiuse.

Mi dica la verità’ Giuseppe, mi dica tutto, siamo a porte chiuse e le assicuro che le cose che verranno fuori da questa chiacchierata resteranno tra noi, le do la mia parola d’onore”

il maresciallo aveva assunto un’espressione seria e ufficiale. Giuseppe lo guardava stranito, ormai si aspettava di tutto.

Lei assume droghe?”

Questa domanda a bruciapelo però non se l’aspettava. Giuseppe guardò Giannini che a sua volta lo riguardò con espressione interrogativa.

Maresciallo assolutamente no! Se vuole sono pronto a farmi tutte le analisi del caso, anche adesso!!! Le sto dicendo che ha suonato il campanello ed è entrata in casa mia come sempre, era vestita come l’ultima volta che l’ho vista al pub”

Ma scusi, ma lei non le ha detto niente?”

In che senso? Cosa dovevo dire? Cosa vuole sapere? Nelle situazioni bisogna trovarcisi maresciallo, in quel momento io ero stordito, le ho detto che avevo appena avuto una crisi di pianto”

Una crisi di pianto?”

Lo interruppe il Giannini che aveva estratto il suo quadernino e iniziava a prendere appunti.

“E mi dica, le capita spesso di avere queste crisi di pianto?”

No!!! Era la prima volta”

Ah interessante”

Continuò lo psichiatra annotando PRIMA CRISI ISTERICA sul suo quadernino.

Giuseppe vide e intervenne:

Perché scusi ha scritto crisi isterica? Non ho detto che mi stavo strappando i capelli, ho solo detto che ho avuto una crisi di pianto, cosa c’è di strano? Lei forse non piange mai?”

Giuseppe si rilassi, stiamo solo cercando di capire cosa è successo ieri sera in casa sua”

disse il maresciallo con tono fermo e deciso.

Giuseppe era distrutto. Se da un lato si accorgeva di essere in evidente stato confusionale, dall’altro si rendeva conto che tutte queste domande giravano a vuoto intorno a un punto che non si identificava bene.

Il maresciallo estrasse dalla tasca una boccetta di vetro e la rovesciò, uscirono tre pasticche di colore giallo.

Una è più che sufficiente”

disse Giannini, guardandolo fisso.

Il maresciallo sembrò non sentire e se le infilò in bocca tutte e tre, deglutendole senza acqua.

Giuseppe lo guardava e col piede batté sul pavimento, quello rispose.

Mi dice perché fa questo movimento con il piede?”

chiese Giannini armato di penna e quaderno.

Giuseppe lo guardò senza espressione, poi disse:

Non lo so, probabilmente è un tic”.

Mentiva sapendo di mentire.

Giannini annotò: Tic.

Passò una lunga ora alla fine della quale il dottor Giannini aveva praticamente riempito un quaderno intero, Giuseppe era distrutto e il maresciallo, visibilmente rilassato grazie alle tre pasticche gialle, disse:

Bene, io direi che per oggi è tutto. Giuseppe vada a casa e si faccia una bella doccia, si renda disponibile che la chiameremo di nuovo a breve per farle alcune domande. Lei dottor Giannini immagino avrà da studiare il caso, ci sono elementi interessanti su cui riflettere”

Giannini non rispose niente, si limitò a sorridere e si alzò in piedi, visibilmente stanco anche lui.

Si salutarono in fretta e uscirono tutti e tre, ognuno per la sua strada. Non avevano risolto niente, ma almeno adesso sapevano che lo strano personaggio aveva un nome: Sirino.

Quella sera nessuno dei tre riuscì a dormire.

Il maresciallo si continuava a rigirare nel letto preda di angosce nuove e inaspettate. Il dottor Giannini continuava a leggere gli appunti e cercava nei testi accademici qualche segno che indicasse una patologia scientificamente dimostrabile, in modo da poter arrivare all’incontro successivo con qualche risposta in mano. L’unica cosa che lo soddisfaceva era la diagnosi di delirio.

Giuseppe dal canto suo entrò in casa sentendosi diverso, qualcosa lo aveva colto, una strana sensazione, come di rassegnazione e accettazione, non sapeva più cosa pensare, non riusciva più a distinguere il sogno dalla realtà, batteva col piede a terra ma anche quel gesto che ormai era diventato ripetitivo e quasi ossessivo, stava perdendo senso…niente aveva più senso, desiderava solo stendersi, chiudere gli occhi e dormire.

(continua)

Tag: , ,

Lascia per primo un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.