Corse in bagno, doveva chiamare il dottore ma aveva lasciato il cellulare in camera, fece velocemente e ricorse in camera mentre sentiva un formicolio strano prendergli le gambe.
“Oddio sto svenendo, adesso cado, batto la testa e muoio di commozione cerebrale, qui da solo come un cane e mi trovano lunedì, dovranno sfondare la porta”
Si lanciò sul letto con questi pensieri e attese il suo momento.
Boh, non moriva o era morto e non se ne accorgeva?
Forse era morto perché tutti i sintomi dell’infarto erano scomparsi improvvisamente e lui si sentiva leggerissimo. Si guardò le mani, sembravano quelle di sempre. Non aveva il coraggio però di alzarsi e guardarsi allo specchio, aveva paura di vedersi, si, aveva paura. Era bloccato sul letto a pancia in giù e aveva paura di alzarsi. Gli venne in mente che qualcosa o qualcuno avrebbe potuto colpirlo alle spalle e allora si girò di botto, a pancia in su.
Il soffitto.
Quello era il soffitto di camera sua, il solito di sempre, vedeva il lampadario di vetro di murano che gli aveva regalato sua mamma quando era andato a vivere da solo…
“Mamma” pensò, e gli venne da piangere.
Prima gli occhi si riempirono di lacrime e un dolore sordo gli prese le tempie, stava resistendo a qualcosa di grosso che gli montava dentro e saliva sempre più pesante, gli sembrava di averci una bolla in gola che andava su… le lacrime iniziarono a scendere calde e morbide sul viso, sempre più abbondanti, iniziò a piangere come un bambino di due anni, piangeva e piangeva e piangeva e non si fermava anzi, quasi quasi….
Piangeva Giuseppe, piangeva come non aveva mai pianto in quarant’anni di vita e mentre singhiozzava e rantolava gli venivano i ricordi di lui da piccolo e della sua nonna che lo aveva guardato seria seria una volta e gli aveva detto che i maschi non piangono.
Glielo aveva detto con una faccia così seria, così dura, che lui, piccolo, si era sentito in colpa e qualcosa dentro aveva deciso che da quel giorno non avrebbe più pianto e così era stato, fino a quel momento.
Ci stava prendendo gusto a piangere, gli cominciava a piacere, le lacrime uscivano e con loro tutti i ricordi dolorosi riaffioravano e Giuseppe li lasciava andare insieme alle lacrime. Quella volta al liceo che il suo migliore amico gli aveva voltato le spalle, lasciandolo come un pirla, si, un pirla, da solo al bar …come c’era rimasto male…ma adesso che finalmente poteva piangere, quasi quasi quel ricordo del pirla lo faceva ridere, si..e gli venne da ridere e iniziò a ridere forte.
Rideva Giuseppe, rideva e piangeva e poi rideva e poi piangeva perché si stava vedendo scemo, ma si era simpatico. Si perché era una brava persona Giuseppe e nella vita se l’era sempre preso in quel posto perché lui, ai valori, ci credeva veramente e all’amicizia ci credeva e credeva anche alla parola data lui, che per niente al mondo avrebbe mai tradito.
Piano piano si stava calmando e sentiva un amore verso se stesso del tutto nuovo. In fondo era proprio una gran brava persona, doveva ammetterlo e lo ammetteva e ammettendolo si sentiva orgoglioso di sé, della sua onestà interiore, della sua ingenuità, che poi ingenuità non era ma va bene così, che la gente pensa che sei un coglione quando sei una persona per bene.
Si sentiva sollevato, come se avesse poggiato un fardello che si portava dietro da anni senza accorgersene. Pian piano i pensieri iniziarono a fluire da soli e Giuseppe si addormentò.
Sognava di essere su un tram in una città, forse Milano, e aspettava la sua fermata. C’erano molte persone, gli venne incontro la cassiera del supermercato che aveva comperato un quaderno con la copertina rosa, poi le porte si erano aperte e lui era sceso, ma non sapeva se quella fosse la sua fermata ed era in un posto strano, dentro un albergo.
Sapeva di dover raggiungere la sua camera ma non aveva la chiave.
Sapeva di dover chiamare la reception ma quando provava a fare il numero i tasti si confondevano e lui aveva freddo e voleva andare a letto , sotto le coperte, al riparo. A un certo momento comparve Adele.
“Adele!!!!” Giuseppe sapeva che stava sognando ma era tutto così maledettamente vero che non capiva più niente e lei era lì davanti a lui, bellissima come non mai, sorrideva.
Giuseppe non sapeva cosa fare. Avrebbe voluto toccarla ma non aveva il coraggio, si guardavano.
“Giuseppe, non stai sognando” iniziò a parlargli così e sorrideva “Non devi sentirti in colpa per me, io sto bene, sono solo andata da un’altra parte ma ci sono sempre. Quando senti il mio odore sono lì con te e ti prometto che tornerò presto e ti dimostrerò che questo non è un sogno. Ma devo fare con molta attenzione perché non sei pronto, non siete pronti, e potreste impazzire tutti e l’ultima cosa che vogliono è che ci sia una psicosi collettiva. Sai Giuseppe, mi hanno spiegato tante cose e quando torno dovrò trovare il modo di aiutare tutti, perché è il tempo e non si può più aspettare”.
Giuseppe ascoltava come inebetito e mentre ascoltava, improvvisamente ricordò che doveva comporre il numero di telefono per chiamare la reception.
“Ecco” disse Adele “stai tornando indietro. Ciao Giuseppe ci vediamo presto”.
Giuseppe guardava il cellulare, non riusciva a visualizzare la tastiera dei numeri e fu colto da una fatica immensa. Fece per comporre il numero della reception e si rese conto che oltretutto non sapeva che numero fare, la tastiera scompariva e lui cercava disperatamente di visualizzarla ma niente da fare, gli spariva tra le mani. Si accorse che stava sognando e volle aprire gli occhi. Voleva svegliarsi subito, istantaneamente! Non aveva mai sentito una fatica tanto intensa, un senso di disagio lo colse, voleva svegliarsi ormai era certo che quello era un sogno e lui, in quel sogno, non voleva più starci. Fece uno sforzo erculeo e aprì gli occhi.
Il soffitto.
Il lampadario.
La sua camera.
Stessa scena di prima.
Si era svegliato o stava ancora sognando?
Quanto aveva dormito?
Guardò l’orologio della sveglia sul comodino, segnava mezzanotte. Se vedeva la sveglia voleva dire che era sveglio.
Si toccò le mani, le sentì. Si mise a sedere sul letto. Da qualche parte aveva letto che bisognava fare un saltino e se si ritoccava terra voleva dire che si era svegli, altrimenti si stava sognando.
In piedi a bordo letto, capelli arruffati, occhi segnati dal pianto, Giuseppe fece un saltino e atterrò sul pavimento. Batté col piede più volte, per assicurarsi di essere vivo.
Tutto regolare. Questo significava che aveva dormito circa tre ore. Forse era il caso di mettersi il pigiama e infilarsi sotto le coperte. Mentre si spogliava si ricordò improvvisamente di aver sognato Adele e il cuore gli fece un tonfo, possibile? Si Si, l’aveva sognata ma non metteva a fuoco niente di quello che si erano detti.
Si infilò velocemente il pigiama ed entrò sotto le coperte deciso a riprendere il sogno dove lo aveva lasciato.
In quel momento Romeo saltò sul letto ronfando e iniziò a strusciarsi sulle braccia di Giuseppe. Faceva sempre così la sera, quando c’era Adele entrava sotto le coperte.
Gli venne nostalgia, una nostalgia fortissima.
Chiuse gli occhi e fu pervaso da una dolce tristezza, si lasciò cullare.In quella serata strana aveva deciso di lasciarsi andare, al sicuro nel suo letto, in casa sua, sotto alle sue coperte, Giuseppe si abbandonò al mistero e scivolò in un torpore strano, mezze frasi, discorsi gli affollavano la mente.
Sentiva un vociare lontano come di mercato e iniziava a vedere delle figure muoversi, dove si trovava?
Mentre era intento a guardare tra la folla sentì suonare il campanello di casa e aprì gli occhi.
(continua)
Tag: paola marchi, la scomparsa
Lascia un commento