Il territorio storico di Barga si estendeva al di là del fiume Serchio fino a comprendere il monte di Gragno e al di là del crinale appenninico spingendosi oltre confini naturali inequivocabili. Le origini di questi possedimenti non risultano documentate in quanto risalgono a tempi assai remoti e ciò rende difficile un’esatta ricostruzione storica. Considerando però una serie di circostanze storicamente accertate, è possibile formulare ipotesi ragionevolmente attendibili.
Le controversie intercorse tra Barga e Gallicano per il monte di Gragno e tra Barga e la gente del Frignano per la zona adiacente al lago Santo sono documentate a partire dal 1400. In seguito sono andate sempre più intensificandosi fino a coinvolgere le rispettive autorità in veri e propri affari di stato. La contemporaneità delle contestazioni per i due «sconfinamenti» lascia immaginare che essi possano aver avuto la stessa origine.
E’ cosa nota che i Longobardi a seguito della loro discesa verso il centro Italia, utilizzarono per quasi un secolo la via transappenninica del passo della Cisa e la valle del Serchio essendo loro impedito il più comodo passaggio lungo il litorale tirrenico dal presidio bizantino di Luni.
L’occupazione di Lucca pare possa risalire ai primi anni del 570. L’invasione longobarda non fu caratterizzata solo dal passaggio dell’esercito ma anche dall’insediamento stabile di gruppi di militari e civili, nelle zone ritenute strategiche. Anche lungo la valle del Serchio la presenza longobarda divenne permanente ed ha caratterizzato la storia locale per i secoli successivi.
Nel 643, lungo il fiume Scoltenna* fu combattuta una cruenta battaglia tra l’esercito longobardo condotto da Rotari e quello bizantino dell’esarca di Ravenna Isacio. Rotari inflisse una dura sconfitta ai Bizantini e da allora lo Scoltenna segnò il confine tra i due contendenti.
Tutto ciò premesso, si può ragionevolmente ipotizzare che il controllo del confine lungo la parte alta del fiume Scoltenna e dei suoi affluenti venisse affidata ai contingenti Longobardi stanziati nei loro presidi più prossimi, che erano quelli di Barga e forse di Coreglia. Le terre di confine vincolate da necessità militari erano dette arimannie e da ciò potrebbe derivare il nome di selva romanesca (silva arimannorum)spesso utilizzato per indicare la zona in questione.
Nei tempi successivi, esaurita la ragione militare e tramontata l’epoca longobarda, tali terreni rimasero nella disponibilità delle genti di Barga e Coreglia con le quali i militi longobardi ivi stanziati con le loro famiglie e discendenti si erano ormai integrati. Sappiamo che nella zona, la successiva affermazione dei Franchi non stravolse gli ordinamenti precedenti. Le famiglie di origine o comunque di legge longobarda restarono al potere per gli anni successivi e spesso mantennero le loro usanze.
Ancora i Longobardi, per controllare il passaggio lungo il Serchio, avrebbero presidiato il castello di Gragno e la sponda opposta, da allora detta monte di Gragno. Come è noto, nel 1256, la piccola comunità di Gragno si unirà spontaneamente con tutte le sue pertinenze al comune di Barga.
Esistono validi elementi di compatibilità tra i privilegi imperiali concessi agli uomini di Barga da Federico I nel 1185 e le ipotesi fatte.
Nel corso dei secoli successivi gli occasionali diverbi tra i pastori dei due versanti, accumunati da un’estrema povertà, non hanno lasciato prove documentali. Solo a partire dal 1374 abbiamo notizia di una rivendicazione della selva romanesca dei barghigiani da parte di Obizzo da Montegarullo, signore di Roccapelago. Il processo conseguente confermò l’appartenenza di quel terreno alla comunità di Barga e allo Stato Fiorentino di cui Barga faceva parte. Seguirono altri ricorsi, finché nel 1568 si giunse al solenne lodo di Pierino Bello, giureconsulto piemontese incaricato da Filiberto di Savoia a comporre “l’affare di stato” che contrapponeva il duca di Ferrara Alfonso II d’Este e Cosimo I de’ Medici. Nonostante vari tentativi di parte di discreditare il pronunciamento di Pierino Bello che confermava la proprietà di Barga, il suo lodo resterà il riferimento ufficiale negli anni successivi.
Infine nel 1844, in esecuzione del riordinamento territoriale deciso nel congresso di Vienna, il confine giurisdizionale tra Emilia e Toscana fu portato lungo il crinale appenninico. I circa 900 ha. considerati, da allora ricadono in provincia di Modena, comune di Pievepelago mentre la proprietà resta della comunità di Barga.
Nel 1986 viene definitivamente chiusa una lunga vertenza aperta per lo scioglimento della promiscuità di pascolo, affidando alla comunità di Pievepelago 194 ha. e riconoscendo alla comunità di Barga la proprietà degli altri 719 ha. A questo punto è utile precisare che si tratta di una proprietà collettiva goduta in forma indivisa dai residenti nel comune e, dal 1997, amministrata tramite un apposito comitato. Tale territorio riveste caratteristiche di demanialità, è pertanto inalienabile e vincolato all’uso agro silvo-pastorale.
Da sempre tra la gente di Pieve e quella di Barga hanno prevalso rapporti di buona amicizia e certamente esiste la reciproca disponibilità ad approfondire questo capitolo di storia locale comune con serena obiettività, senza lasciarsi ingannare da chi evoca “guerre” solo per un tornaconto personale.
*Lo Scoltenna è uno dei principali torrenti dell’Emilia Romagna e il principale immissario del fiume Panaro. Nasce nel territorio di Pievepelago dall’unione di alcuni torrenti che scendono dai monti del Parco del Frignano. Tra gli immissari il principale è il Rio delle Tagliole, lungo 10 Km, che sgorga dal versante nord del Monte Rondinaio (1.964 m s.l.m.), scende a valle in direzione nord-est dopo aver ricevuto gli emissari del Lago Santo e del Lago Baccio e arriva in località Ponte Modino, alla periferia sud di Pievepelago. Scoltenna e Rio delle Tagliole confluiscono in un unico corso nei pressi di Ponte Picchiasassi, località di Dogana nuova.
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Luti Giuseppe
9 Febbraio 2018 alle 14:33
Allora, perchè si fanno dei propblemi?
Graziello Togneri
9 Febbraio 2018 alle 14:50
Perché, caro Giuseppe la storia non insegna niente; nessuno impara dai propri errori, anzi tende a dimenticarli
Alberto Gualtieri
11 Febbraio 2018 alle 6:19
Credo che la data del 1986 relativa all’ affidamento dei 194 ettari a Pievepelago non si esatta è risalga a qualche decennio prima.