A poche settimane dall’appuntamento del prossimo 4 dicembre – con l’atteso referendum attraverso il quale noi cittadini saremo chiamati a confermare o meno la riforma approvata in via definitiva dalle camere lo scorso aprile – il nostro giornale ha pensato d’offrire uno spazio di confronto nel quale possano misurarsi a favore o contro tale proposta rappresentanti delle istituzioni, della politica locale come pure professionisti o semplici cittadini. Cinque identiche domande poste ai vari interlocutori che potranno motivare la loro posizione con risposte contingentate nella loro lunghezza (massimo 400 battute per ogni risposta).
Stavolta andiamo sul confronto generazionale: Simone Simonini è consigliere comunale a Molazza, referente della Lega Nord per la Valle del Serchio. Lavora nella falegnameria del padre.
Il fornacino Enrico Lotti è pensionato. E’ stato consigliere comunale negli anni ’80 per il PSI. Non ha tessere di partito, ma gli piace seguire la politica.
Giovani e meno giovani a confronto sul referendum e su un voto che per il primo è per il No e per il secondo per il sostegno al Sì.
Referendum costituzionale, si o no e perché?
SIMONE SIMONINI:
Assolutamente no.
Una riforma nata male con un governo di non eletti. Con una legge elettorale, l’Italicum che assegna un premio di maggioranza troppo alto.
ENRICO LOTTI:
Voto SI perché ritengo giusta la riforma costituzionale. Mi piace citare un estratto dell’intervento di Meuccio Ruini, Presidente della Commissione incaricata di redigere la Costituzione. “Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa, e che sparirà presto. No; abbiamo la certezza che durerà a lungo, e forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle esigenze dell’esperienza storica. Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, come richiede la tutela delle libertà democratiche, abbiamo consentito un processo di revisione, che richiede meditata riflessione, ma che non la cristallizza in una statica immobilità. Vi è modo di modificare e di correggere con sufficiente libertà di movimento. E così avverrà; la Costituzione sarà gradualmente perfezionata; e resterà la base definitiva della vita costituzionale italiana. Noi stessi — ed i nostri figli — rimedieremo alle lacune ed ai difetti, che esistono, e sono inevitabili.” Confortato da questo autorevole e storico parere voto SI’ per superare il bicameralismo paritario, per abolire il CNEL, per abolire le Province, per definire con chiarezza la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni. Il tutto senza cambiare di una virgola né i principi fondamentali della Costituzione, né i poteri del Presidente della Repubblica, né la funzione della Corte Costituzionale e, soprattutto, contrariamente a quanto si vuol far credere, i poteri del Presidente del Consiglio.
La riforma prevede il superamento del bicameralismo perfetto di cui si parla da 30 anni: giusto o sbagliato e nel caso favorevole o contrario?
ENRICO LOTTI:
Nella Costituente fu dibattuto a lungo se dovessero esserci una o due camere legislative. Fu trovato un compromesso, modificando nella seconda, il Senato, sia l’età dell’elettorato attivo (25 anni) sia l’eleggibilità dei senatori (40 anni). Unici, in Europa, ad avere quello che si chiamò bicameralismo perfetto o paritario. L’anomalia mostrò tutte le sue conseguenze negative, con un allungamento eccessivo dei processi legislativi. Tutti i Governi, condizionati dalla necessità di accelerarli, hanno posto rimedio sia con la cosiddetta decretazione d’urgenza (Decreti Legge: immediatamente attuabili da convertire da Camera e Senato entro 60 giorni), sia con l’abuso del voto di fiducia che tagliava la discussione. Con questa riforma, concentrando la fiducia e tutti i processi legislativi in una sola Camera, lasciando alla seconda la formulazione di un parere e la potestà legislativa solo in casi limitati, si cerca di porre rimedio ad una situazione oggettivamente negativa, riconosciuta come tale in un pluriennale dibattito fra le forze politiche.
SIMONE SIMONINI:
Giusto sarebbe stato abolire il senato se realmente si fosse puntato tutto sul risparmio.
In Italia, tra stato centrale, enti locali, società pubbliche, partiti e tutto l’indotto, vivono di politica circa 1 milione e centomila persone. Il DDL Boschi cancella solo 215 senatori. Per un risparmio del 25% del costo totale del senato. Rimarrà il bicameralismo perfetto. Con un senato depotenziato formato da sindaci e consiglieri regionali in trasferta che dovranno occuparsi di provvedimenti così delicati.
Col nuovo Senato come Camera delle autonomie locali i territori sarebbero più rappresentati anche a livello centrale?
SIMONE SIMONINI:
Per 20 anni abbiamo parlato di distribuire il potere sul territorio in modo che l’istituzione potesse essere più vicina al cittadino.
Oggi con un colpo di spugna ci dicono: abbiamo scherzato, il potere lo riaccentriamo tutto a Roma.
ENRICO LOTTI:
Il raccordo fra lo Stato e le Regioni è attualmente demandato alla Conferenza Stato Regioni, con l’obbiettivo di armonizzare le rispettive legislazioni. Con il nuovo Senato le istituzioni locali potranno dare un parere su tutte le leggi (ora non è possibile), legiferare come la Camera su alcune materie pertinenti le autonomie (ora non previsto). Mi pare oggettivo che la riforma costituzione rappresenta gli interessi delle autonomie locali a livello centrale in modo più esteso e pertinente, rispetto ad ora.
Col nuovo Senato si tagliano poltrone e costi della politica: giusto o sbagliato e nel caso favorevole o contrario?
ENRICO LOTTI:
Francamente non mi appassiona il dibattito referendario sui costi della politica. L’efficienza di una democrazia non si basa su quanto costa, ma su quanto di positivo produce per tutelare i diritti dei cittadini. E caso mai, se vogliamo parlare di diminuzione dei costi della politica, occorre una riforma di più vasta portata che l’eliminazione del Senato attuale. Ma per rispondere al quesito, anche in questo caso, non occorre fare un grosso sforzo intellettivo. Non ci saranno più 315 senatori, con un consistente apparato burocratico di contorno. Al loro posto 100 nuovi senatori, senza stipendio, e con un apparato burocratico ovviamente ridimensionato rispetto all’attuale.
SIMONE SIMONINI:
Con il taglio del senato si tagliano 215 poltrone. Per un risparmio reale di 40 milioni annui, quanto ci costa l’Europa in un giorno e tre quarti del secondo.
Cosa succede il 5 dicembre se vince il si o se vince il no?
SIMONE SIMONINI:
Il 5 dicembre se dovesse vincere il no non ci sarà nessun sconvolgimento, come per la Brexit o per le elezioni Americane. Con la speranza di toglierci però dalle scatole un governo di non eletti che mal sta governando l’Italia.
Se dovesse vincere il sì avremo la parola Europa in costituzione. E sempre più eletti nelle istituzioni non votati dal popolo. Chi governerà sarà un uomo solo al comando.
ENRICO LOTTI:
Semplice. Se vince il SI’ i cittadini, oltre ad approvare la Riforma Costituzionale, esprimeranno un invito a procedere ulteriormente nel processo di riforma delle istituzioni. Se vince il NO i cittadini diranno che non vogliono cambiare nulla, che le cose vanno bene così e le parti riformate della Costituzione devono restare come sono. Capisco che molti favorevoli al no, non sono soddisfatti dello status quo, ma questa non è un’elezione politica con le mediazioni e le alleanze successive, questo è un Referendum, e con il SI’ si cambia e si dà il via ad altri cambiamenti, e con il NO tutto resta com’è. Il 5 dicembre 315 senatori saranno i più felici fra tutti gli italiani e di cambiamenti se ne riparlerà fra una decina d’anni.
Tag: sì vs no, simone simonini, sì, enrico lotti, referendum costituzione, no, costituzionale
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