ANDAR PER FUNGHI E ALTRE BOSCHERIE BARGHIGIANE
Manuale pratico per chi vuole iniziare la ricerca dei funghi ed avventurarsi nei boschi
Come raccogliere e cucinare i funghi dell’Appennino Tosco Emiliano
4^ PARTE
3.3. Andar per funghi: le famiglie dei chiodini
Si tratta di famiglie che si assomigliano e stanno bene insieme. La più nota è l’Armillaria mellea, che significa anellata color del miele, il classico chiodino.
Sono funghi caratterizzati dal crescere sulle ceppaie in autunno inoltrato. Orientatevi verso pioppi, salici, castagni. Ma non ne troverete una sola. In genere in pochi metri quadrati potrete trovare anche cinque o sei famiglie. Prima di tutto la gioia! Uno scatto con il telefonino e, solo dopo la raccolta. Sarete dotati di un coltellino, in modo da tagliare gli esemplari rasoterra e da raccogliere con una mano sola tutta la famiglia. Se giovane, i cappelli saranno piccoli e color marrone. Se composta da esemplari adulti, il cappello si sarà allargato, con colorazione giallo scura (appunto, color del miele). Se formata da esemplari vecchi, potranno avere muffe bianche sul cappello e lungo il gambo, come spruzzi di cipria sul naso: in questo caso raccogliete solo gli esemplari non incipriati.
Come mangiarli? Attenzione, nel cucinare queste prelibatezze, abbiate l’accortezza di farle sempre precedere da una bollitura di dieci minuti almeno. Quindi risciacquateli in acqua fredda e fateli saltare in padella con i vostri condimenti preferiti. Si adattano anche a lunghe cotture. In fondo sono proprio chiodi: non si sciuperanno restando sul fuoco un po’ di più. Gran parte dei funghi che crescono nel tardo autunno vanno prebolliti. Questo per abbattere gli elementi tossici che si dissolvono con la cottura. Oltrettutto risulteranno più digeribili, almeno per me. Anni fa, mio padre ottantenne ne raccolse molti esemplari e mia madre li cucinò, senza previa bollitura. Io ci misi tutta la notte a digerirli, alzandomi dal letto diverse volte per camminare in lungo e in largo nella camera da letto. Loro due si alzarono di buon umore la mattina seguente, dicendo che da tempo non dormivano così profondamente…
Ricetta: chiodini in umido
Solo a descriverli mi viene l’acquolina in bocca! Sento l’autunno, le passeggiate con il cane, la legna che scoppietta nel camino, il maglione di lana annodato in vita che si infila in fretta quando va via il sole. E vedo un cestino colmo di generosi chiodini.
Io prediligo una lunga cottura in bianco, con prezzemolo, olio e aglio. Ottimi da accompagnare a polente o a purea di patate. I gambi, generalmente, vengono scartati, perché un po’ legnosi. Ma negli esemplari piccoli potete usare tutto. Tagliuzzateli fini ed aggiungeteli ai cappelli. I cappelli, al contrario, non si tagliano perché della dimensione di un cucchiaino da caffè. Ma se sono grandi, allora tagliateli in due. Portate l’acqua a bollore e tuffatevi i funghetti così tagliati, facendoli cuocere per ameno dieci minuti; scolateli e raffreddateli in acqua fredda, nello scolapasta. Mettete burro e olio in casseruola e fateli cuocere, almeno per lo stesso tempo, aggiungendo un trito di prezzemolo e aglio. Aggiungete sale e un pizzico di pepe, abbassate il fuoco e coprite con il coperchio. Servite sia caldi che tiepidi. Ottimi serviti su uova sode tagliate a metà: questo come antipasto.
Per chi desidera gustarli sott’olio, queste varietà si prestano benissimo ad essere conservate in vetro e, personalmente, le trovo insuperabili, anche più del porcino. La varietà che sto per raccontare, trova nella conservazione il suo più eccellente esaltatore di sapore. Sapevate che i funghi sotto olio migliorano con gli anni come il vino? Mio marito è enologo ed io lo sfido con barattoli di chiodini d’annata!
Introduco un fungo che ha la stessa consistenza dei chiodini prediligendo, oltre alle ceppaie, prati e fossi: il Lyophiylum aggregatum, di colore più scuro rispetto all’Armilaria mellea. E questa è stata la mia prima esperienza. Cresciuta fra la menta e la melissa, su una ceppaia di salice, una splendida famiglia di Lyophiylum aggregatum è stata da me immortalata, non senza fatica, in una memorabile fotografia. Raccolsi la famiglia con tatto e scelsi tante locazioni diverse prima di scattare. Questo perché la ceppaia era troppo bassa e non sarei potuta sdraiarmi a terra per riprenderla. Nel cestino mi sembrava troppo sacrificata; quindi la posai sulla panca in pietra, ma non andava bene neanche lì, il grigio non le donava; sotto il nocciolo no, era troppo buio; infine, disposta per bene su un sedile ricavato da un tronco di castagno, troneggiava fiera: scattai. Non volevo farne del cibo, mi sarebbe piaciuto tenerla così, intatta, per sempre. Quei funghetti tutti attaccati fra di loro, erano tanto belli da sembrare finti. Come si dice delle cose tanto perfette da non sembrare vere. Quindi optai per la conservazione sott’olio. Mi decisi a staccarli l’uno dall’altro e a sbollentarli con gli aromi per venti minuti (foglie d’alloro, pepe in grani, qualche chiodo di garofano, sale grosso, aceto), quindi a lasciarli asciugare per bene stesi su un telo di cotone. Dopo poche ore si ritrovarono tutti stretti gli uni agli altri, sott’olio, insieme alle spezie. Sul libro dei funghi avevo letto che dopo due anni di conservazione diventano squisiti. Ma non avevo certo la pazienza di aspettare; così, dopo sei mesi li aprii. Li mangiammo in un baleno: io, mio figlio e mio marito. Almeno ne conservo la fotografia, come se avessero sentito di meritarsi una lunga posa fotografica giacché il loro destino nel piatto sarebbe stato breve.
Ricetta: Lyophiylum in besciamella
Dato che sono “teste dure”, li abbinerei a qualcosa di estremamente morbido, come la besciamella. Dopo aver bollito i funghi, scolateli e tagliateli a fettine; quindi amalgamateli con la besciamella e fatene crostini delicatissimi. Potete anche finire la cottura dentro la besciamella. Come per i chiodini di prima, potete servirli come antipasto su uova sode tagliate a metà.
3.4. Andar per funghi: un fungo invernale
Ricordate il fungo della Befana di Pegnana? Quello che avevo trovato sotto la neve di Capodanno? Naturalmente cresce anche in tardo autunno, ma rischia di venire subissato dalle piogge. In inverno le sue carni si preservano al meglio, compatte per via del freddo. Si tratta della Lepista nuda, che cresce sia sotto le latifoglie che sotto le conifere. Lungo il sentiero che percorro solitamente, costeggio prima le conifere e poi i castagni, trovando sul mio cammino gli stessi esemplari di Lepista.
Detto cimballo viola, essendo il cappello color viola chiaro, questo fungo presenta una superficie liscia, molto carezzevole; il gambo violetto e cilindrico, è di bella presa. Sotto lo completa un’Elisabetta di lamelle lilacine. E’ sicuramente un bel fungo. Gli esemplari non crescono mai da soli; così, dopo averne trovati un paio, si riempie il cestino. Le sue carni sono consistenti, ma ben si prestano all’essicatura.. Se intendete cucinarli appena raccolti, prima sbollentateli.
Ricetta: risotto al cimballo
Intanto prepariamo una buona base per il risotto: un soffritto di cipolla bianca tritata o tagliata fine, in burro e olio extravergine di oliva. Due manciatine di riso per commensale da rimestare sino a che non si tosti bene. Un’aggiunta di vino bianco per sfumare e una presa di sale. Quindi brodo di carni bianche o di verdure delicate, sino a metà cottura. In alternativa una salciccia spezzettata. Aggiunta di cimballo essicato e altro brodo, sino a che riso e cimballo raggiungono la stessa consistenza mangereccia. Prima di servire, mantecare il riso con una noce di burro e spolverizzare con abbondante parmigiano reggiano grattugiato o pecorino stagionato.
Lepista nuda
3.5. Andar per funghi: i funghi dell’inchiostro
Più propriamente classificato come Coprinus comatus, è un fungo eccellente, ma altrettanto delicato ed etereo. Quando mangiarlo? Senza perdere tempo. Da evitare quando le lamelle diventano rosate e quando perdono inchiostro. Da giovane sembra un funghetto rivestito di panna montata, da adulto assomiglia più a un calamaio. Il fatto è che dalla gioventù alla maturità passano poche ore. Trovarlo al momento giusto non è per niente facile.
Si tratta di un fungo piccolo, che potrete trovare nei prati e sulle ripe boschive, dalla pianura alla montagna. Io lo trovo sotto i castagneti da frutto e lungo il sentiero, in macchie d’erba. Lo raccolgo eliminando subito il gambo, anche per controllare lo stato delle lamelle. Se virano leggermente al rosato non lo mangio. Da giovanissimo si può mangiare anche crudo, condito con olio, sale e limone. Ma se per caso non lo noto e passo di lì il giorno dopo, può essersi deteriorato al punto da diventare il famoso fungo dell’inchiostro. Viene da chiedersi come un’essenza così delicata e bianca come lo zucchero a velo, in poche ore possa trasformarsi in una sostanza nerastra e colante. Misteri della natura.
Ricetta: comatus saltato rossonero
Certamente un aperitivo, data l’esiguità degli esemplari. Puliteli delicatamente ed eliminate il gambo. Tagliate in due i cappelli e saltateli in padella con una noce di burro, insieme a pomodorini rossi datterini. Salate e pepate a piacimento, aggiungete foglioline di nepitella e serviteli su un crostino di pane.
3.6. Andar per funghi: funghi rossi nel paniere
Ora intendo parlare della Fistulina epatica e dell’Amanita cesarea. Riguardo alla prima, si tratta della cosiddetta lingua.
Da bambina andavo per lingue. Forse qualcuno di voi le conosce. Le avrà viste sbucare da un tronco di castagno. Le lingue presentano pori chiari e superficie rossa. Possono raggiungere anche i venti centimetri di diametro, se chiacchierone! Quando andavo per castagne in Piemonte nei boschi dei nonni, trovavo molte lingue, alcune delle quali belle mature. Sono ottime in questo stadio, con superficie gelatinosa. Come trasportarle? Si sarebbero sciupate. Così mi mettevo un po’ di sale in tasca e le consumavo direttamente nel bosco. Facevo merenda. Poi mi spellavo un paio di belle castagne ed era fatta. Se era epoca di vendemmia, mi passavo anche un grappolo d’uva dolce. Sapete, quell’uva moscato che ha reso famose le terre d’Asti.
Nel Barghigiano non si trovano spesso. Ma, devo dire, che quest’anno ho ricevuto una grande dimostrazione d’affetto da parte del castagno centenario davanti a casa: per la prima volta dal 2005, mi ha fatto la “linguaccia”. Ed inoltre, in un ferragosto infuocato, sono stati gli unici funghi che ho trovato per farne un eccezionale aperitivo, quando nessun altro fungo stava spuntando per via della siccità.
Ricetta: insalatina di lingua con uva
Se troppo gelatinosa, potete levare un po’ di parte superiore. La parte inferiore è sempre compatta e poco vascolarizzata. La lingua giovane non presenta comunque alcuna gelatina. Potete anche lavarla velocemente sotto l’acqua ed asciugarla con carta assorbente. Tagliatela a fettine e conditela con olio, sale e limone. Un leggero sentore amarognolo vi solleticherà il palato. Potete farne un aperitivo accompagnandola ad un grappolo d’uva dolce.
Ricetta: tramezzino di lingua alla moda veneziana
Dato che il radicchio rosso ha la sua stagione e non si trova in estate, utilizziamo la lingua. Procuratevi pane da tramezzini e farcitelo con formaggio fresco morbido, un filo d’olio, una fettina di uovo sodo, la lingua preparata come nella ricetta precedente, una foglia di insalata verde et voilà. Accompagnatela con prosecco.
L’Amanita cesarea deriva il suo nome dalla squisitezza delle carni, gradite ai cesari romani. I cercatori di funghi la chiamano coccola od ovulo buono. Ne parlo insieme alla Fistulana hepatica perché al Sassello, sulle Alpi Liguri, i miei genitori ed io le trovavamo insieme, a poca distanza l’una dall’altra. Siccome entrambe sono ottime crude in insalata, la mamma ne preparava per cena un bel piatto da antipasto, che risultava rosso e succulento, condito con olio, sale e limone. Funghi rossi nel piatto? Ispirano un certo timore. Possono anche provocare un’intossicazione alimentare, se invece di Amanita cesarea raccogliete Amanita muscaria. Il vostro libro vi spiegherà per bene la differenza tra le due varietà. Io posso dirvi che la muscaria viene anche detta ovolo malefico ed è contraddistinta da un bel colore rosso brillante interrotto qua e là da puntini bianchi. La cesarea, senza puntini di alcuna sorta e dal colore arancione, rappresenta una vera prelibatezza gastronomica. Le muscaria sono davvero coreografiche e le trovate riprodotte nei garden center tra le sculture da giardino, insieme ai nanetti. Le cesaree, meno inclini ad essere rappresentate, le trovate invece nei ristoranti più ricercati, servite crude o cotte al forno, con le patate. Le due varietà quando sono ancora chiuse si assomigliano, quindi evitate di raccoglierle se non siete in compagnia di chi sappia distinguerle.
Ricetta: cesarea con patate
Per un’insalata cruda, rifatevi alla prima ricetta della lingua.
Per la cottura invece, fate bollire le patate e poi mettetele in forno, accostandole ai pezzi di cesarea. Versate sopra olio extravergine di oliva e sale. Il forno dovrà solo dorare le patate e cuocere l’amanita. C’è chi aggiunge anche scaglie di formaggio grana prima di servire. Ma il pecorino dei pastori Barghigiani andrà benissimo: infondo tra qui e Modena ci divide solo l’Appennino Tosco Emiliano, una passeggiata di un’ora dal Rifugio Santi in località Vetricia, ci porterà sul confine dei due territori. D’estate vado a fare trekking lassù e vi assicuro che le pecore non mancano. Da Col Bruciata guardo le Alpi Apuane e l’Appennino Modenese: oltre le greggi al pascolo, lo sguardo si posa sui bei prati verdi emiliani, dove altre greggi, questa volta di mucche, brucano placide. Direte, ma in vetta che funghi si trovano? Si trovano le vesce, che vi descriverò più avanti…funghi che non sanno decidere da che parte stare. Un anno le trovai sul versante emiliano, l’anno dopo, a distanza di due metri, su quello lucchese, nei pressi della Porticciola.
coprinus
Amanita Cesarea
Tag: renaio, funghi, andar per funghi, Brunella Ponzo
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