Leggendo per fortuita occasione l’annuncio di una mostra a Lucca, presso la Fondazione Banca del Monte della stessa città dedicata, con l’affascinante titolo “Dipingere l’incantesimo”, alla riscoperta della pittura Toscana del ‘900, e vedendo che era presentata con una pittura di Alberto Magri che raffigura il profilo Apuano visto dalla Valle del Serchio, esattamente da Barga, mi son subito detto: no! Questa è da non perdersi. Così, domenica 20 dicembre, pranzato velocemente, il sottoscritto con sua moglie ha preso la via di Lucca.
Arrivato in piazza San Martino, l’accoglienza è stata delle più belle, con nel mezzo al campanile in restauro e il tetto della chiesa, una bella mezza Luna occhieggiante. Entrato alla mostra, un saluto ai presenti e a due amici di Barga che già giravano intenti ad ammirare i quadri. Il primo impatto, molto emozionante, la vista dello struggente e grande quadro di Lorenzo Viani: “Benedizione dei Morti del Mare” del 1914, in cui l’astante non può che cogliere una grandissima disperazione che ci porta alle dolenti raffigurazioni del Cristo, che lì, al centro, è anche raffigurato nel Volto Santo di Lucca. Nel quadro colpiscono gli abbracci, le implorazioni e quei piccoli figli fasciati o ricercanti il calore e sperando il sollievo alla vedova madre raccolta nelle sue semplici vesti. Altre donne vestono di nero, nei cui sembianti si racconta l’ultimo abbraccio al defunto e il dolore continuo e ora non più segreto, raffigurazioni che inteneriscono e portano alla condivisione, alla muta preghiera e a rinverdire in ognuno la sofferta grandezza d’animo e artistica del suo autore. Non a caso l’opera ebbe anche un premio alla biennale di Venezia del 1922.
Altri i quadri visti di Viani, come di Nomellini, Meschi, Giovan Battista Santini, e altri ancora, tra cui Marco Pasega con la sua bella piazza lucchese che racchiude in un sogno di storia la grandezza spirituale della città; tra i tanti anche Alberto Magri e Adolfo Balduini entrambi di Barga, per il vero il motivo principe della mia visita.
Di Balduini ci sono tre opere: “Veduta di Barga” con il Duomo del 1941, “Veduta di Sommocolonia” del 1932 e “Paese di Trassilico” del 1915. Mentre di Alberto Magri le opere in mostra sono quattro: “Sul Fosso” del 1905, anno dell’erezione ad Antonio Mordini del monumento che qui domina lo sfondo, “La Vangatura” del 1938, datata, ma rimasta incompiuta per le graffiature sulla tavola in diversi particolari certamente non soddisfacenti la complessiva idea figurativa del Maestro. Inoltre, i due pannelli riuniti raffiguranti “La Sementa nella Valle del Serchio” del 1928 e infine “Le Alpi Apuane viste da Barga”, come già detto viste esattamente dal Duomo di Barga, il cui richiamo è nei fregi stellari presi in prestito dal duecentesco pulpito che sta all’interno della chiesa.
Questi due pittori, assieme a Bruno Cordati e, seppure in lidi un poco distanti, anche con Umberto Vittorini, compongano un quartetto di cui Barga ancora oggi ne va giustamente fiera: “Stagione Aurea”, così definì quel periodo barghigiano il suo storico esegeta Umberto Sereni, oggi curatore della Mostra in oggetto, che in tante e diverse occasioni ha sempre tenuto tirata la corda dell’attenzione a quella straordinaria esperienza artistica che molto intrise il pennello nel ricordo e nella poesia pascoliana. Anche qui va detto che non a caso tutti e quattro raggiunsero l’ambito invito alla biennale di Venezia.
Lentamente ho visitato quella mostra e molti i pensieri, i ricordi che mi sono corsi davanti agli occhi, specialmente di Alberto Magri, che ho imparato a conoscere tramite gli articoli che Bruno Sereni, padre di Umberto, scrisse per il suo Il Giornale di Barga negli anni ’60 del Novecento. Dopo questo iniziale accostamento a Magri, con il tempo, indagando nei ricercati testi che parlano di lui e della sua arte, percepito un soffio della sua essenza, specialmente nelle solitarie giornate passate nella sua casa di via del Pretorio, ovviamente con il consenso del figlio Giovanni, anche lui affascinante pittore, l’amore per lo stesso Magri è cresciuto.
Per chiudere queste note che mi hanno portato a rilevare Magri, credo interessante rivisitare uno scritto che parla di lui trentaquattrenne alle prese con il mondo dell’arte pittorica, descrivendone la genesi artistica. Un’intervista a firma D’Aliroc per il giornale barghigiano “La Fiamma”, N. 3, Anno I, del 20 dicembre 1914, periodico nazionalista fondato dai barghigiani Leo Giuliani e Alfredo Stefani, che dopo un anno gli cambiarono nome in “Volere d’Italia”. Il titolo dell’articolo è “Conversando con Alberto Magri” passeggiando sul Fosso di Barga, testo che ha la forza di farcelo vedere assorto a spiegare alle domande dell’autore dell’articolo cosa fosse per lui l’arte pittorica, quale la genesi artistica delle sue opere che lo introdussero nel mondo della pittura con un segno di evidente novità, ricevendo in cambio attenzione al suo messaggio, specialmente da parte di Lorenzo Viani. Interessantissimo lo incipit dell’articolo, dove l’autore si chiede se l’autoritratto di Magri, un semplice profilo eseguito senza mai staccare il lapis dal foglio, possa essere considerato il suo capolavoro per avervi esemplificato tutto se stesso.
Parlando di Viani mi torna alla mente quando molti anni fa, trovandomi a Viareggio da amici e con loro recatomi in una bottega, dal proprietario, certamente appassionato dell’arte dello stesso Viani, sentii dire senza che nessuno gli avesse chiesto niente in merito, ma solo spinto dall’avere davanti diversi barghigiani, che nella stessa città l’esperienza artistica di Alberto Magri era un culto.
Prima di passare all’articolo de’ “La Fiamma”, va detto che ognuno degli artisti in mostra meriterebbe l’attenzione che ora dedichiamo a Magri, e come barghigiano, mi pare chiaro stia pensando specialmente a Balduini. Detto queste doverose cose si passi a leggere “Conversando con Alberto Magri”:
“ L’autoritratto di Alberto Magri potrebbe ben essere il capolavoro della sua arte. Non so se il pittore abbia scolpito in pochi tratti le caratteristiche del suo viso, ma certo è necessario , a chi vuole intendere i lavori del Magri, conoscere l’artista di persona, o almeno averne presente il tipo. Decisi i lineamenti che nella fronte ampia si accentuano; gli occhi profondi nelle orbite tratto tratto s’illuminano e osservano, ma più spesso la pupilla immota scopre il continuo lavorio mentale.
Volli conoscerlo, sentirlo parlare della sua arte e, una sera di luglio, passeggiando sul Fosso di Barga, mentre l’alta muraglia si prolungava indefinita a far da base al cielo ricolmo di stelle, io ascoltai la parola dell’artista ispirato che canta in frasi semplici e tronche l’ideale che lo affatica:
-In pittura la rappresentazione non deve esistere.
-Lei dunque, si astrae completamente dall’oggetto che riproduce?
-Tutt’altro. Vivo d’osservazione continua all’aperto, e nel silenzio dello studio, dopo che l’osservazione si è maturata nel cervello, io do nel quadro il tratto caratteristico sia della persona, sia dell’oggetto. I particolari non contano. Deve colpirsi l’atteggiamento, la … silhouette. E soprattutto cerco la manifestazione dei sentimenti. La donna che cuce nella “Casa in ordine” mi ha affaticato. Doveva nella curva del collo, piegato sul lavoro, dare tutta la serenità, tutta la calma … Mi veniva come assopita … ma poi ho trovato.
Si volsero le pupille verso di me, mi scrutarono e ritornarono a fissarsi. Rispettai il silenzio e tacqui, assorto. L’oscurità mi nascondeva il viso dell’artista; non sapevo se pensava ancora.
Azzardai una domanda.
-Ma non sempre il sentimento si manifesta. Come può esprimere in pittura quel che appena si scopre nell’individuo?
-Deformando la figura; esagerando il gesto che dice, per esprimere. Qualunque mezzo io adopro, perché colui che guarda il mio quadro abbia dinanzi tutto l’insieme, tutto quello che ho voluto raccogliere. Mi servo perciò anche delle parole sotto le figure.
Scoprì la mia muta meraviglia.
-Certo bisogna abbandonare la raffinatezza dei pittori moderni, la verniciatura delle loro fotografie e risalire ai pittori del duecento. A Giotto, specialmente. È tutto l’insieme delle madonne e dei santi di Giotto che dà la rassegnazione e la gioia ispirata; non il viso o la mossa sola del viso. Tutto un atteggiamento ha la persona in pianto, la persona in gioia. Ed è appunto quello da colpirsi. Solo nelle scuole del duecento la pittura ha avuto uno sviluppo poetico, idealista. Dopo divenne manierata, senza pensiero, fotografica.
La voce si era fatta vibrante ed io tacevo in ascolto aspettando ancora, quando tacque bruscamente.
Ritornava in sé l’artista. L’apostolo d’una scuola aveva sopraffatto per poco l’individuo assorto, silenzioso. Ma a me non bastava.
-E quali colori adopra?
-Colori seri, non tinte forti ma armoniche di pochi e semplici. Parecchio ho studiato la tecnica dei colori e son riuscito ad adoprare senza difficoltà il verde smeraldo.
Volli qualche giudizio.
-Che pensa di Raffaello?
Raffaello è un decadente di genio. Ha dato il colpo di grazia a quel che rimaneva ancora delle scuole del duecento.
Feci un’ultima domanda inopportuna.
-Lei è estraneo completamente al futurismo?
-Per me il futurismo non è che rappresentazione in altra forma. Si seguita a rappresentare con più tecnica, con canoni diversi: è raffinatezza. Del resto anch’io sarei secondo alcuni un raffinato, che vuol passare per semplicista. Ma non sono adatti a comprendermi.
Accese il sigaro e alla luce fugace del cerino scoprii la leggera curva ironica dei labbri. L’ironia era rivolta a chi non lo comprende? Giudichi maestro, se la merito anch’io.
D’Aliroc”
In questo 1914 Magri espone al Lyceum di Firenze i suoi lavori concepiti, secondo gli intenti dichiarati nell’intervista. Dopo due anni, nel 1916, ecco Lorenzo Viani ricordare quella mostra nell’articolo “Alberto Magri”, da cui stralciamo un brano molto eloquente: “In quei giorni io tentai chiarire sulle colonne del “Nuovo Giornale” il carattere di quest’opera che a parer mio è essenzialmente moderno, perché ha varcato quella linea illuminata dalla luce dell’arte, oltre la quale si respira una giovinezza immortale”.
Pier Giuliano Cecchi
Immagine: Barga, particolare dal quadro di Alberto Magri “La Vangatura”, 1938
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