Gli interrogativi restano tanti, il lavoro di confronto tra istituzioni, sindacati e azienda sul futuro dello stabilimento metallurgico di Fornaci è solo all’inizio e la strada da percorrere è per tutte la parti ancora molto lunga, anche se alla reale scadenza dell’operazione, agli inizi del 2016 quando tutto il settore del rame dovrebbe essere trasferito nello stabilimento tedesco di KME a Osnabrück, non manca poi tan to.
Merita però in questa fase approfondire quanto è emerso in questi giorni sul progetto presentato da KME e che riguarda Fornaci.
Quale è infatti la reale scommessa di KME per Fornaci, almeno sulla carta? ecco un po’ di dati e informazioni.
Nel progetto si parla del più grande sito italiano di agricoltura idroponica che raggiungerebbe nei primi tre anni un volume di produzione di circa 8 mila tonnellate con l’intento di ottenere una posizione leader di mercato nelle produzioni fuori suolo di alta qualità e in prodotti orticoli ad alto valor aggiunto.
Il prodotto principale di riferimento, anche se non l’unico, sarebbe il pomodoro e non a caso visto che in Italia si importa oggi l’80% della consumo totale, con la maggioranza della produzione proveniente perlopiù dall’Olanda. Qui a Fornaci una parte della produzione di pomodori sarebbe dedicata al cultivar di alta qualità (datterino e ciliegino)
Si punta naturalmente alla grande distribuzione che potrebbe essere il partner di riferimento per le commesse, a cominciare da Coop e Esselunga. Tra gli uomini del Gruppo c’è peraltro una convinzione, ovvero che la forza del progetto e la sua appetibilità per la grande distribuzione sta nel fatto che la produzione sarebbe garantita tutto l’anno, sarebbe programmabile e modulabile e assicurerebbe prezzi fissi. I ricavi, a pieno regime, sono stimati in 32 milioni l’anno con una redditività del 9-10%.
Il mercato di riferimento delle produzioni della nuova fabbrica potrebbe essere proprio quello toscano, un territorio dove vivono 8,5 milioni persone, su un raggio di 300 chilometri, (in pratica la Toscana e regioni limitrofe) dove la consegna del fresco potrebbe avvenire in massimo 3 ore.
Per il reimpiego dei 400 dipendenti previsti dal progetto si parla di 40 nell’anno 0, ad avvio della nuova avventura , finalizzati ad attività di riallestimento. Nel primo anno i dipendenti arriverebbero ad un massimo di 130; a 260 unità nel secondo ed infine , a pieno regime, a 400. Ogni anno, dal 2016 in poi e fino alla totale conclusione del progetto, verrebbero allestiti circa 10-15 ettari di superfici destinate alla produzione idroponica: serre sia con luce naturale che con luce artificiale fino ad una superficie complessiva di 40 ettari per i quali verrebbero impiegati sia i capannoni già esistenti che alcuni terreni esterni.
La prima fase del progetto consisterebbe, oltre che nel reperire i finanziamenti necessari, anche nella progettazione degli interventi di infrastrutturazione e la realizzazione delle prime serre. Nella seconda fase appunto al realizzazione ogni anno di 10-15 ettari di serre, da mettere in funzione progressivamente. Sin dal primo anno sarebbe realizzata anche la struttura di confezionamento che consentirebbe il contemporanea avvio dell’attività.
Non sarebbe l’unico caso di azienda metallurgica riconvertita all’idroponico: in Asia a questa produzione è stato destinato uno stabilimento Toshiba per la produzione di semiconduttori e riconversioni analoghe hanno fatto Fujitsu, Panasonic e Sharp. Produzioni del genere si ritrovano anche in Stati Uniti, a Chicago in particolare, in Inghilterra e Olanda.
Tag: piano industriale, riconversione, vicenda kme, agricoltura idroponica, kme
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